21 gennaio 2018
Lo stile della "mafia rurale" conosciuta da don Antonio Riboldi
nella Valle del Belice si è conservato nella mafia globale di oggi

Stragi di democrazia e stragi di lavoro nel "silenzio" della mafia
Il processo mimetico che la criminalità organizzata ha compiuto
in questi decenni sta producendo nell'opinione pubblica una "abitudine"

È silenziosa la mafia. Così silenziosa che non solo in Sicilia, ma anche altrove in Italia - a Roma come in Veneto - sono in pochi che la vedono. Non uccide più, non organizza più attentati. È passato un quarto di secolo dalle stragi organizzate dalla mafia per fermare con il tritolo prima il giudice Falcone poi il giudice Borsellino: è storia, è doverosa commemorazione; non è più l'attualità.
Parla, però, la mafia. Parla nelle amministrazioni comunali; parla nei consigli di amministrazione delle aziende; parla in tedesco e in inglese, in spagnolo e in russo. Parla e si fa ascoltare al Nord e al Sud; nei paesi di Sicilia, Calabria, Campania e nelle grandi città europee ed americane.
Sono parole che feriscono istituzioni ed economia, democrazia e globalizzazione. Spesso sono ferite mortali, perché istituzioni decadono e aziende falliscono. Stragi di democrazia e stragi di lavoro segnano gli anni del "silenzio" della mafia.

 
4 marzo 2018
L'omosessualità tra le "parole per ferire"
Una condizione esistenziale utilizzata come insulto
Finisce con la condanna di due ministeri
la vicenda di una patente di guida sospesa "perché gay"

"Patente sospesa perché è gay. Condannati due ministeri". È notizia del 2018, quest'anno. È una delle notizie che durano un giorno: il tempo di incuriosirsi, di domandarsi come sia possibile e di passare immediatamente alla curiosità successiva. "Come è possibile?" è infatti solo una domanda retorica: la risposta ognuno ce l'ha già. Su un fatto che riguarda persone omosessuali però la risposta non è sicuramente la stessa per tutti; addirittura non è la stessa neppure la domanda retorica: "Come è possibile che l'orientamento sessuale influenzi la capacità di guida?", ci si può chiedere; ma ci si può anche chiedere: "Come è possibile che lo Stato paghi 100 mila euro ad un gay solo per averlo trattato da gay".
Dipende da che idea si ha dell'omosessualità.
Spesso è una situazione esistenziale utilizzata come insulto, l'omosessualità ridotta ad etichetta: fenomeni così diffusi da essere tollerati o comunque percepiti come non pericolosi, mentre hanno un effetto a cascata su tutte le altre forme di violenza, cui forniscono l'alibi della condivisione sociale.

 
6 maggio 2018
A mezzo secolo di distanza non genera solo ricordi;
suscita piuttosto discussioni

Il Sessantotto non è un anno ma un tempo
Le esigenze di cui il movimento studentesco globale si stava allora facendo interprete erano profondamente concrete, contemporanee, non velleitarie
L'urlo ritmato era insieme minaccioso e speranzoso: "Ce n'est / qu'un début, / continuons le / combat". Se lo sentivano ripetere i parigini nel maggio di cinquant'anni fa: "Quello cui state assistendo non è che l'inizio, noi continueremo a combattere". Quello che nel 1968 vedevano e sentivano i parigini dal vivo e tutto il mondo in tv erano dimostrazioni studentesche con tanto di barricate.
Il Sessantotto era cominciato da tempo e neppure a Parigi. E non continuò a lungo la lotta studentesca: né a Parigi né altrove; a Parigi meno che altrove.
Dura però il Sessantotto, forse perché non è un anno ma un tempo. Per questo a mezzo secolo di distanza non genera solo ricordi; suscita piuttosto discussioni. Significa che le esigenze di cui il movimento studentesco globale si stava allora facendo interprete erano profondamente concrete, contemporanee, non velleitarie.
 
13 maggio 2018
La discriminazione avviene molto spesso in forme "socialmente tollerate,
che non generano solidarietà

Le vittime dell'omofobia "invitate" al silenzio
Veglia ecumenica organizzata da numerose Chiese locali: un messaggio contemporaneamente di educazione e di accoglienza
C'è un dato molto eloquente sulle discriminazioni: è fornito dall'OSCAD, che è l'Osservatorio per la Sicurezza Contro gli Atti Discriminatori, istituito nel 2010 da Polizia di Stato ed Arma dei Carabinieri. Tra il 2010 e il 2017 nettamente in testa tra le segnalazioni pervenute alle Forze dell'Ordine risulta l'ambito discriminatorio riguardante la razza o l'etnia: oltre la metà delle segnalazioni riguarda questo ambito e non è certo una sorpresa. Meno scontato è che il secondo posto delle segnalazioni di discriminazione tocchi all'ambito dell'orientamento sessuale, che supera di cinque punti percentuali l'ambito delle discriminazioni riguardanti l'ambito religioso.
Invece nella classifica delle segnalazioni costituenti reato: le discriminazioni per credo religioso sono al secondo posto, quelle per orientamento sessuale al terzo. Il dato statistico aiuta ad entrare più in profondità nel fenomeno dell'omofobia: da un lato evidenzia che, come avviene per la violenza contro le donne, non sempre l'aggressione verbale o fisica viene denunciata per cui non lascia traccia; in secondo luogo si conferma che la discriminazione avviene molto spesso in forme "socialmente tollerate", come l'insulto verbale, che non generano solidarietà per la vittima, che è allora costretta ad "autodeterminarsi" in difesa, escludendosi dal contesto o restando in silenzio.

 
17 giugno 2018
Il mondo nuovo era già cominciato: il Sessantotto ne fu insieme la sintesi
e la proclamazione

Una minoranza per un fenomeno planetario di massa
Universitari nati e cresciuti dentro un bisogno che non era loro,
ma dei loro genitori e dei loro nonni: salvaguardare i figli dall'abisso
della guerra in cui loro era precipitati nella prima metà del secolo

Le università sono protagoniste del Sessantotto in una cronologia molto lunga e in una geografia planetaria vastissima.
I "campi di gara" cambiavano a seconda delle condizioni dei singoli paesi: guerra e pace, dovere o diritto di studio, fame nel mondo e aumento dei consumi, classi sociali e stabilità, comunismo e democrazia, il Concilio e la sua attuazione.
I "giocatori" erano sempre gli stessi: i giovani, più precisamente: i giovani studenti, ancora più precisamente: i giovani studenti universitari. Un fenomeno planetario di massa ha come promotori i componenti di un gruppo sociale limitato nel numero (mezzo secolo fa le università - non solo in Italia - non erano certo accessibili a tutti i giovani), senza potere economico, con un bagaglio culturale in formazione. Non c'era internet a far da moltiplicatore ai messaggi e la tv, più o meno a seconda dei Paesi, era una "questione di Stato".
È tuttavia successo.
Quegli universitari erano nati e cresciuti dentro un inedito bisogno della storia, un bisogno che non era loro, ma dei loro genitori e dei loro nonni: salvaguardare i figli dall'abisso in cui loro era precipitati nella prima metà del secolo, l'abisso della guerra mondiale, l'abisso della guerra nucleare.

 
29 luglio 2018
Il Sessantotto non fu rivoluzione politica
ma contestazione di milioni di persone

La prima (e finora unica) rivolta generazionale della storia
Come sarebbero stati questi cinquant'anni se allungando i capelli ed accorciando le gonne ragazzi e ragazze non avessero esibito la loro personalità, diventando persone senza bisogno di assomigliare agli adulti?
È successo che il protagonismo di ogni persona ha fatto diventare alcune rivendicazioni studentesche un'esigenza di una generazione. Il Sessantotto è stata la prima e finora unica rivolta generazionale della storia: questo non fu allora un limite, anzi ne moltiplicò gli effetti sia in quantità che in qualità; fu anche un moltiplicare nel tempo dei contenuti e degli effetti, perché quella generazione ha avuto un lungo futuro nel quale proiettarsi.
Come mai un movimento molto esteso e vitale, combattivo, politicamente colto non riesce tuttavia a contrastare la reazione sia violenta sia elettorale? Una delle risposte è che il Sessantotto non fu rivoluzione politica ma contestazione di milioni di persone. Uno degli slogan più incisivi degli studenti della Sorbona è "Vietato vietare": non un programma politico, ma una richiesta di libertà per ciascuno e quindi per tutti in quanto somma di libertà personali. Quello che prevale è cioè uno spirito libertario, che comunque costituisce uno dei lasciti più duraturi del Sessantotto.
Così è, apparentemente, difficile rispondere alla domanda: cosa resta del Sessantotto a cinquant'anni di distanza? Probabilmente la domanda va reimpostata: come sarebbero stati questi cinquant'anni senza il Sessantotto?
 
16 settembre 2018
Dal prossimo anno il Comune di New York rinuncia a certificare
il genere dei propri cittadini

Gender X: l'utopia del neutro si diffonde attraverso l'anagrafe
Secondo questa teoria il dato naturale è "marginale",
le differenze sessuali sono inessenziali e mutevoli e possono essere modellate sulla base della dell'autodeterminazione individuale

Gli uffici anagrafici di New York stanno preparando in queste settimane moduli e procedure per la rivoluzione che scatterà il primo gennaio 2019: sui certificati di nascita delle persone nate nella Grande Mela le caselle per l'indicazione del genere non saranno più due ma tre: maschile, femminile e X (neutral). Questa terza casella sarà barrata da chi non si riconosce né nel genere maschile né in quello femminile. La novità è prevista da una delibera che al City Council di New York è stata votata all'inizio di settembre da un'ampia maggioranza: quindi non solo dai democratici del sindaco Bill de Blasio ma anche dai repubblicani.
Visto che per quanto riguarda il genere il certificato di nascita non certifica più nulla, l'innovazione più corretta burocraticamente sarebbe stata e sarebbe eventualmente quella di eliminare la voce "genere" dal certificato, avendo almeno la correttezza di non utilizzare strumenti pubblici, come l'anagrafe, per diffondere ed applicare ideologie sociali e teorie culturali.
La delibera del City Council di New York è infatti prima di un atto amministrativo è l'applicazione della teoria del gender a strumenti di vita collettiva (sia normativi che operativi), dando per condivise correnti culturali e intellettuali, che al contrario sono discusse e non prive di rischi.

 
30 settembre 2018
La recente verifica in Bulgaria, ma già l'Italia aveva sollevato il tema
La cultura gender fuori da molte Costituzioni
L'accorata e preoccupata profezia di Papa Francesco accolta con silenzio e sorpresa
Nel corso del suo pontificato Papa Francesco torna spesso sul tema del "genere" della persona umana. Nella messa in guardia dall'utopia del "neutro" c'è la profezia accorata e preoccupata che altri Papi hanno condiviso con la l'umanità - non solo con i credenti - di fronte ad altre utopie. Anche la profezia di oggi sull'utopia del "neutro" non sembra creare preoccupazione sociale e riflessione culturale. Prevalgono silenzio e sorpresa, quasi che l'umanità non sappia nulla apprendere dalle conseguenze delle proprie utopie.
Intanto i segnali di possibili pericoli si moltiplicano e riguardano aspetti diversi e spesso non contigui della vita e della convivenza umane.
È di pochi mesi fa un intervento della Corte costituzionale della Bulgaria, che ha dichiarato incostituzionale il concetto di "gender": l'intervento non è stato motivato da una legge nazionale, ma dalla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e alla violenza domestica: niente a che fare con il gender, se non che all'articolo 3 se ne dà comunque una definizione. Niente a che vedere con l'idea di uomo e donna nella Costituzione bulgara, ma nemmeno nella Costituzione italiana: il Parlamento italiano ha approvato la Convenzione di Istanbul nel 2013, ma insieme alla firma l'Italia ha depositato al Consiglio d'Europa una nota verbale nella quale dichiara che "applicherà la Convenzione nel rispetto dei principi e delle previsioni costituzionali", ed è proprio la definizione di "genere" a presentare "profili di criticità con l'impianto costituzionale italiano".
 
28 ottobre 2018
Un mandato ai giovani nel centenario della fine della Grande Guerra
Arrivare al secolo di pace in Europa
C'è il timore che i Paesi europei e gli Stati Uniti stiano dimenticando le tragiche lezioni del Novecento
C'è un tesoro positivo che noi nipoti dei combattenti e dei caduti della Grande Guerra possiamo trasmettere: a differenza dei nostri nonni e dei nostri genitori la nostra generazione è la prima che ha goduto della pace ininterrotta nell'Europa occidentale. Fino ad oggi, dopo due guerre tra europei che hanno incendiato il mondo, i popoli ed i governanti del continente hanno scelto l'unità europea come condizione di pace e di prosperità.
Il centenario della pace dopo la Grande Guerra è il tempo per chiamare alla costruzione del futuro i ragazzi e i giovani che con i loro coetanei di tutto il Continente vogliono costruire un destino condiviso. Se ciò diverrà convinzione e vita dei giovani sarà davvero un modo positivo per concludere nel 2018 il centenario della Grande Guerra europea, dichiarando a noi e alle generazioni future che vogliamo continuare a camminare sulla strada della pace fino a consegnare ai giovani di oggi il mandato di arrivare al primo centenario di pace in Europa.
 
4 novembre 2018
Il centenario della fine della Grande Guerra
Una cambiale di 16 milioni di morti
Dall'incapacità di onorarla sarebbe poi scaturita la nuova guerra mondiale
È un 4 Novembre speciale questo del 2018. Siamo al Centenario della fine della Grande Guerra. L'evento è storicamente importante e giustifica sicuramente la persistenza della memoria. Per l'Italia è memoria del giorno del pieno raggiungimento dell'unità nazionale, che era perseguita da oltre mezzo secolo. È il giorno della riscossa dopo la rotta di Caporetto, con la resistenza sul Piave, sull'Altopiano di Asiago e sul Grappa, la vittoriosa battaglia di Vittorio Veneto.
La celebrazione del 4 Novembre è nata per la Vittoria, certo, e così e continuata. Ma nel cuore delle famiglie, nella memoria collettiva delle comunità piccole e grandi rimasero i lutti di quella guerra: Trento, Trieste, la Dalmazia diventate italiane con un milione e 200 mila morti tra militari e civili.
L'evento della Grande Guerra è infatti storicamente decisivo anche per il numero dei morti. Sedici milioni di morti sono non solo la cifra di una strage. Sono il conto di un debito con la popolazione cui per la prima volta era stato chiesto così massicciamente di pagare le scelte degli Stati e che poi gli Stati non furono in grado di restituire onorando le promesse: ed è anche dall'incapacità di onorare quella tragica cambiale che sarebbe stata generata la seconda guerra mondiale.
 
11 novembre 2018
Nell'epigrafe collettiva dei monumenti della Grande Guerra
La guerra chiamata per nome
Per la prima volta il marmo serviva a ricordare tutti, nell'eguaglianza della morte; ora anche i nemici
Siamo arrivati a celebrare il secolo della Vittoria del 4 novembre 1918.Una ragione c'è per questa longevità. Ed è scritta sul marmo. È scritta sui monumenti. È nel chiamare la guerra per nome. Questo darle puntigliosamente tutti i nomi di coloro che aveva uccisi è stata una delle novità dopo il 4 Novembre 1918. Nei nostri paesi i monumenti ai caduti sono diventati da allora l'epigrafe collettiva, nella quale non conta il grado per essere ricordati. Era la prima volta che il marmo serviva a ricordare non un condottiero o una personalità, ma uno per uno tutti i caduti, in una uguaglianza nella morte che raggiungerà l'apice con il monumento al Milite Ignoto: lui pure degno di onore, anche se la guerra gli aveva tolto oltre alla vita anche il nome.
 
23 dicembre 2018
La Chiesa: non "fare" un ospedale da campo,
ma "essere" un ospedale da campo

La conversione all'umanità ferita
nei campi di battaglia del nostro tempo

Ineludibile diventa la domanda e la conseguente scelta della risposta: difendere i sani o guarire i malati?
La novità per la Chiesa non è il prendersi cura, perché è la carità che crea la fede, non viceversa.
Non "fare" un ospedale da campo, ma "essere" un ospedale da campo: è in questa inversione la prima proposta dirompente di Papa Francesco per la nostra Chiesa e la ragione dell'attenzione che ha destata. È questa la conversione all'umanità, richiesta dai molti campi di battaglia del nostro tempo. Ci sono le persone ferite, il cui bisogno una per una è la cura. Il primo bisogno è però della Chiesa: o è un ospedale da campo o non è Chiesa.
Ineludibile diventa la domanda e la conseguente scelta della risposta: difendere i sani o guarire i malati?
Se prima vengono i malati, non basta aspettarli, bisogna cercarli. È la seconda proposta innovativa di Papa Francesco: "Invece che essere solo una Chiesa che accoglie e che riceve tenendo le porte aperte, cerchiamo pure di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso chi non la frequenta, chi se n'è andato o è indifferente. Chi se n'è andato, a volte lo ha fatto per ragioni che, se ben comprese e valutate, possono portare a un ritorno. Ma ci vuole audacia, coraggio".

 
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23 marzo 2020
Redazione Euganeo.it
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