1 gennaio 2017
Promossa dalla Chiesa padovana nelle vie del centro storico
La violenza non è la cura per il mondo frantumato
Ancora in Marcia a Capodanno
per la cinquantesima Giornata mondiale della pace

Dalla Cattedrale a Santa Sofia: fare Capodanno in strada è una ormai storica tradizione che la Chiesa padovana ripropone ad ogni 1° gennaio, Giornata mondiale della pace.
A convocarci è come sempre il Papa: Francesco oggi. Papa Francesco nel tradizionale messaggio per la Giornata propone un titolo ed un impegno "La non violenza: stile di una politica per la pace". Non è né facile né immediato il risultato. All'Angelus di oggi a mezzogiorno Papa Francesco lo ha amaramente sottolineato: "Purtroppo, la violenza ha colpito anche in questa notte di auguri e di speranza".
È la "terza guerra mondiale a pezzi" ci ha avvertito tempestivamente Papa Francesco. Ci ritorna su anche nel messaggio di quest'anno: "Il secolo scorso è stato devastato da due guerre mondiali micidiali, ha conosciuto la minaccia della guerra nucleare e un gran numero di altri conflitti, mentre oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi. (…) In ogni caso, questa violenza che si esercita "a pezzi", in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli (…) La violenza non è la cura per il nostro mondo frantumato".
Stasera è comunque Capodanno. Se siamo in marcia, se siamo in chiesa è perché crediamo ancora negli auguri. Ripesco quello di Papa Paolo VI nell'Angelus dell'1 gennaio 1967: "Quest'anno (…) per il mondo avremo sempre presenti i due grandi ideali, per cui pregare e operare: la giustizia e la pace, che costituiscono i maggiori problemi del nostro tempo". Per il Capodanno successivo, quello del 1968, Papa Paolo VI ci avrebbe poi proposto la prima Giornata mondiale della pace. Con quella di oggi ne abbiamo così vissute cinquanta.

 
15 gennaio 2017
Nell'anno del sessantesimo dei Trattati di Roma
Trump e Brexit risvegliano il patriottismo europeo
Una sfida da coniugare con il patriottismo sociale nei singoli Paesi
Nel 2017 l'Unione europea compirà sessant'anni. Il peso degli anni sembra prevalere sulla soddisfazione di essere arrivati fin qui, quasi a non aver tanta voglia di guardare avanti per paura che la vita davanti sia più breve di quella che abbiamo alle spalle, proprio come succede alle persone quando invecchiano. Invece proprio in questo 2017 bisognerebbe avere uno sguardo lungo, quello che riesce a vedere oltre i problemi e quindi ne illumina la soluzione.
Donald Trump, prima ancora di entrare in carica Trump si è messo ad elogiare il Regno Unito che ha rotto con l'Unione Europea e ha promesso di lavorare perché altri lascino l'Unione e l'euro si disgreghi. Potrà essere una bella (perché durissima) sfida per governanti e cittadini europei: è il tempo di un "patriottismo continentale" con il quale non solo difenderci, ma confermare a noi stessi e al mondo che abbiamo molto da dire.
Qualcosa da europei dobbiamo dire subito agli inglesi. Gli europei devono essere fermi nella trattativa, senza rinunciare alla caratteristica fondante dell'Europa: essere attrattiva.

 
29 gennaio 2017
Sembrava abbastanza la Brexit. Poi è stato eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump
Una generazione di europei
per non farci sorprendere dal passato

Dalla demagogia della coppia Reagan-Thatcher sulla globalizzazione
alla demagogia della coppia Trump-May sull'isolamento

Sembrava abbastanza la Brexit. Sembrava abbastanza per gli inglesi, che con un referendum hanno democraticamente deciso di uscire dall'Unione Europea, la Brexit appunto, e dopo il voto si sono ritrovati confusi, divisi, incerti, meno sicuri del loro futuro. Sembrava abbastanza per i governanti dell'Europa. Sembrava abbastanza per i milioni di persone che in tutto il pianeta sono in fuga dalla guerra che le uccide, dall'intolleranza che le schiavizza e dall'avidità che le affama.
Sembrava abbastanza la Brexit. Poi è stato eletto presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Ancora il popolo ha deciso, democraticamente, voto su voto.
Quest'altro voto - ad aver voglia di leggerlo dopo averlo contato - illumina bene sia la scena in cui viviamo sia il panorama verso cui ci stiamo incamminando. Mostra che la Brexit non è abbastanza, la presidenza di Donald Trump non è abbastanza. Il tempo delle "sorprese" non finirà.
La previsione è sufficientemente fondata perché queste "sorprese" non sono una novità; quando "scoppiano" non fanno partire razzi verso il futuro, scavano invece gallerie dentro il passato.

 
26 febbraio 2017
Dopo il risultato del referendum non ci si è fermati
ad ascoltare l'opinione pubblica

Il Pd non poteva guarire dalla frattura sulla Costituzione
Fare della legge elettorale un tema da elaborare nel congresso nazionale
Il risultato del referendum del 4 dicembre, che ha visto la sconfitta della proposta politica e istituzionale del Partito Democratico, anche per le dimensioni di questa sconfitta, segna indubbiamente uno spartiacque nell'intera evoluzione politica italiana. Mi sono tuttavia fatto convinto che la frattura più grave fosse già avvenuta prima di domenica 4 dicembre, quando è stata accettata l'idea che sulla Costituzione, cioè sullo strumento pensato per rendere coesa una comunità di persone e di aspirazioni, non solo ci si barricasse tra partiti, tra maggioranza e opposizioni, ma all'interno dei partiti, all'interno del maggior partito, quello che aveva ed ha la responsabilità del destino della comunità. Come potevano gli italiani dare speranza al loro futuro con una Costituzione aggiornata se questa speranza non era garantita neanche da un partito forte e credibile quale è il Partito Democratico?
Dall'accettazione di quella frattura è nata la sconfitta al referendum, almeno nelle proporzioni in cui è avvenuta. Dall'accettazione di quella frattura è cominciata la scissione del Partito Democratico, che lentamente è arrivata fino a sabato 25 febbraio.
 
7 marzo 2017
Come è stato possibile perdere il popolo facendo riforme popolari
Nell'ascensore sociale bloccato
la velocità del governo non è una virtù

Il Partito Democratico deve chiedersi perché molti risultati popolari e riformisti non sono stati avvertiti come tali dal popolo della sinistra
Magari utilizzando il dibattito congressuale, il Pd farà bene a chiedersi perché molti dei risultati del governo Renzi, palesemente popolari e riformisti, non sono stati avvertiti come tali dall'elettorato democratico, dal popolo della sinistra.
Domenica 5 marzo sul "Corriere" il ricercatore sociale Nando Pagnoncelli ha fatto questa descrizione: "Le motivazioni che stanno alla base di questo clima sociale sono in larga misura riconducibili alla percezione di un peggioramento rispetto al passato e alla convinzione che il meglio lo abbiamo alle spalle: l'ascensore sociale si è fermato e il futuro appare ai più incerto e minaccioso. In questo contesto l'aspettativa di miglioramento è di gran lunga superiore ai risultati fin qui ottenuti".
A questo senso di impotenza e di inutilità nei mille giorni del governo Renzi si è risposto con l'ottimismo del fare, che per essere veloce non si è fermato ad ascoltare e a raccogliere un popolo. È successo così che conquiste attese da decenni, penso alla stabilizzazione di decine di migliaia di insegnanti, abbiamo perso di strada proprio i protagonisti di queste attese.
 
10 marzo 2017
Quando la "novità" del Partito Democratico si è consumata, è rimasto poco
di cui discutere al congresso

Visioni e speranze insufficienti per fare un grande partito
Ci si può augurare che la scissione stimoli il pensiero di chi resta e di va via
In dieci anni con il Partito Democratico milioni di italiani hanno vissuto passioni, entusiasmi, condivisioni, speranze. In milioni li vivono ancora, anche se intanto molte speranze si sono appassite e non sono state sostituite da altre. È di visioni (e quindi di speranze) che il Partito Democratico è nato "povero". Era una novità e sulla novità è nato e con Renzi è arrivato al 40 per cento. Quando la novità finisce servono, appunto, visioni e speranze. Essendo poche e non sufficientemente condivise, visioni e speranze non sono bastate per fare un grande partito.
Infatti, un grande partito, quando non trova una condivisione sufficiente al proprio interno, quando il dibattito non arriva a conclusione, ha uno strumento collaudato: il congresso. Il Pd sta andando a congresso, ma anche questo congresso è una stranezza.
Coloro che se ne sono andati non hanno voluto dire le loro ragioni al congresso, ma non è detto che qualche ragione non ce l'abbiano. E da parte sua Matteo Renzi in nessun modo ha manifestato l'idea di non volere davvero perdere una parte del partito a sinistra.
 
12 marzo 2017
Dieci anni di sperimentazione suggerirebbero qualche miglioramento
Insieme alle Primarie serve il congresso
È proprio giusto che chiunque vuole possa eleggere il segretario
del Partito Democratico?

Le Primarie compiono 10 anni. Le hanno introdotte i democratici da soli in Italia, sperimentate, valutate. Sono uno strumento consolidato, che continua ad essere valido e che può essere tuttavia arricchito da altri momenti di confronto, di scelta e di decisione.
Penso che questo arricchimento sia necessario, se si vuole continuare a definire "congresso" questo appuntamento di partito. Ad esempio neppure in questo congresso non c'è una sede in cui i delegati discutono le mozioni e poi le votano. Strumenti della storia? Non saranno poi strumenti troppo vecchi se ancora vengono utilizzati in Francia, in Germania, nel Regno Unito, in Spagna.
È poi probabile che un qualche elemento di chiarezza democratica vada introdotto se si vuol continuare a far scegliere il segretario di un partito da tutti gli italiani che lo desiderano.
 
15 marzo 2017
Il contesto non è più quello del partito lanciato da Veltroni dieci anni fa
Il Pd troverà se stesso nelle comunità e in tante vite
Se non sono riusciti a fare una legislatura costituente, i democratici potrebbero avere almeno l'ambizione di fare un congresso costituente
C'è il Partito Democratico nel futuro? I profili dei tre candidati alla segreteria giustificano questa domanda. Se ne ricavano infatti prospettive diverse sulla natura stessa del partito: un partito riformista post-ideologico con Matteo Renzi, una socialdemocrazia rinnovata ed europea con Andrea Orlando, un partito dei territori guidato da un governatore regionale con Michele Emiliano.
Se non sono riusciti a fare della legislatura che sta finendo una legislatura costituente, i democratici potrebbero avere almeno l'ambizione di provare a fare un congresso costituente: non per fare un partito nuovo ma per scrivere le ragioni (che vuol dire: il presente e il futuro) per le quali stare insieme in molti.
Il primo luogo in cui cercare queste ragioni non è nel partito, ma nella comunità più vasta di un paese che aveva ed ha voglia di sperare, ma che non era e non è ottimista perché sente di essere sempre meno artefice dei propri destini.
Il secondo luogo in cui cercare le ragioni dello stare insieme è la storia dalla quale il Partito Democratico arriva. "Abbiamo più di un buon motivo - ha scritto recentemente Sergio Zavoli, giornalista e senatore Pd - per non dimenticare uomini che nelle congiunture drammatiche sono stati alle prese con dure spine senza dover tagliare le siepi".
 
19 marzo 2017
Avendo sempre meno da perdere,
molti arrivano a mettere in gioco la democrazia

Una società di diseguali è meno forte e meno sicura
Il Partito Democratico sceglierà la rappresentanza
dei bisogni e delle speranze della comunità tutta intera?

Sono passati meno di trent'anni dalla Caduta del Muro di Berlino: allora la democrazia sembrava destinata a dilagare con la sua forza; addirittura la democrazia sembrava così inevitabile che si è arrivati a teorizzarne e purtroppo a praticarne anche l'esportazione sulle ali dei Tornado. Quella previsione non solo non si è avverata, ma i molti indeboliti nelle sicurezze sociali e di convivenza sono portati a valutare negativamente le capacità della democrazia di rispondere a sfide globali come il terrorismo e le migrazioni. Avendo sempre meno da perdere, molti arrivano a mettere in gioco la democrazia come la conosciamo.
È qui che il Partito Democratico deve scegliere il suo ruolo e il suo compito: la rigenerazione della democrazia, non tanto e non solo nella sua dimensione etica; intendo la rigenerazione della democrazia come forma della rappresentanza dei bisogni e delle speranze della comunità tutta intera.
 
26 marzo 2017
Sessant'anni dell'Europa unita e trent'anni di Erasmus
I nuovi Ragazzi del 99: i diciottenni nati nell'anno dell'euro
La più ambiziosa speranza che motivava i rappresentanti dei sei Paesi firmatari dei Trattati di Roma nel 1957 riguardava i giovani
Sessant'anni e trent'anni: due generazioni, la stessa storia; la storia di noi europei. Il 2017 ci fa incontrare queste altre due date: il 1957 che con i Trattati istitutivi delle Comunità Europee segna l'inizio dell'Unione Europea; il 1987 quando l'Europa avvia il programma Erasmus che ha consentito ad oltre 4 milioni di giovani europei di studiare e di formarsi nelle Università dell'Unione.
Erasmus è l'Europa della libertà e delle opportunità; è l'Europa delle diversità che non hanno bisogno di confini per valorizzarsi; è l'Europa che per superare le difficoltà si costruisce il futuro. A ben leggerne le ragioni per cui è stata fondata, questa è prima di tutto l'Europa immaginata dai Padri Fondatori il 25 marzo 1957 a Roma.
Nel Trattato del 1957 con il quale nasce la Comunità economica europea (la Cee) non si parla dei giovani. Tuttavia la più ambiziosa speranza che motivava i rappresentanti dei sei Paesi firmatari riguardava proprio i giovani: fare in modo che a loro non toccasse quello che era capitano alle generazioni precedenti, cioè di diventare adulti facendosi la guerra, come nella Grande guerra europea (1914-1918) e nella sua ancor più tragica continuazione, la seconda Guerra mondiale.

 
2 aprile 2017
Si conclude il quinto ciclo del Dialogo strutturato europeo
I giovani europei fanno le stesse domande in ogni Paese
Una risorsa su cui l'Unione europea può contare per avere un futuro
Nell'ambito della Presidenza di turno dell'Unione Europea Malta ha ospitato dal 20 al 23 marzo scorsi la Conferenza europea dei giovani. La Conferenza si è conclusa con un piano d'azione che gli Stati membri dovranno attuare; il piano sarà perciò presentato nelle prossime settimane ai Consigli dei Ministri di tutti i Paesi. Sono infatti i singoli Paesi i titolari delle politiche giovani; il fatto però che richieste e raccomandazioni siano uguali per ogni governo, innescherà risposte inevitabili anche da parte delle istituzioni europee.
È stato questo il risultato finale di un percorso di 18 mesi che ha tenuto conto delle proposte presentate da più di 65 mila giovani europei che hanno partecipato al processo noto come il "dialogo strutturato": uno strumento per garantire che le politiche giovanili rispondano alle esigenze e le aspettative dei giovani in Europa; uno strumento sempre più attuale, in considerazione del ruolo che i giovani svolgono oggi e possono ancor più incisivamente svolgere in futuro per il consolidamento dell'Unione Europea.

 
9 aprile 2017
Un settore in cui l'Unione non ha competenza dirette
Sostegno europeo alle politiche nazionali per i giovani
Le iniziative diventano però sempre più strutturate e coinvolgenti
Bruxelles non "comanda" sui giovani. L'Unione europea ha programmi e iniziative specifiche per le nuove generazioni, ma non prende decisioni su di loro. Le politiche giovanili non sono state inserite nel Trattato di Maastricht, che nel 1993 ha fatto nasce l'Unione europea, e non sono inserite neppure nel Trattato in vigore (quello di Lisbona sottoscritto nel 2007 e definitivamente approvato nel 2009) di competenza specifica dell'Unione europea: esse sono di competenza nazionale; questo significa che non è obbligatoria l'armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia e che gli interventi diretti dell'Unione europea hanno come principale obiettivo il sostegno alle politiche nazionali per le quali si prepara un progetto condiviso a livello continentale.
È quanto prevedono gli articoli 165 e 166 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, che sono la base giuridica delle politiche europee con riferimento ai giovani. I giovani europei sono inoltre titolari delle politiche dell'UE in ambiti sanciti da altri articoli dei Trattati, quali l'istruzione, la formazione professionale e la salute, o in relazione ai diritti e alla tutela dei minori e dei giovani.

 
16 aprile 2017
Buona Pasqua a tutte le persone che oggi devono lavorare
Il pannolone per anziani e la gonna alla moda
hanno la stessa urgenza di risposta?

L'incredibile cifra di cinque milioni di lavoratori festivi e la difesa della libertà solo per alcuni
Si risponde alla stessa urgente necessità cambiando il pannolone di un anziano non autosufficiente (come fanno i lavoratori di AltaVita) o facendo provare una gonna ad una signora in gita commerciale (all'Outlet di Serravalle) nella domenica di Pasqua? Sono stati i sostenitori della "libertà di commercio" e della "modernità" a fare il parallelo tra le due prestazioni lavorative. L'apertura pasquale - non solo in quel centro - ha fatto ritornare di attualità il dibattito sulle aperture dei negozi tutte le ore del giorno e tutti i giorni della settimana e tutte le settimane dell'anno. Citando tutti una sola fonte, quindi l'unica che gli dà ragione, mettono in campo cinque milioni di lavoratori italiani che lavorerebbero nei giorni festivi, compresi quelli che stanno nelle case di riposo, negli ospedali, negli aeroporti, sui treni e via lavorando.
Un altro slogan dei sostenitori della modernità è la "libertà economica". Uno dei fondamenti della libertà è la reciprocità: dunque dobbiamo contrattare le nostre libertà. Al momento questa contrattazione è scarsa e in alcuni casi non è applicata. Non ci sono infatti relazioni sindacali consolidate. La flessibilità non è regolamentata da contratti collettivi di lavoro.

 
23 aprile 2017
L'applicazione delle tariffe nazionali per le telefonate
da e per tutto il territorio dell'Unione Europea

Il cellulare è un altro pezzo di Europa che ci mettiamo in tasca
Mercato digitale e roaming fanno parte della vita dei giovani "nativi europei"
L'applicazione delle tariffe nazionali per le telefonate da e per tutto il territorio dell'Unione Europea è prevista da una disposizione Ue in materia di roaming: per tutti gli operatori telefonici l'abolizione degli extracosti deve entrare in vigore entro il prossimo 15 giugno.
Il cellulare diventa così un altro pezzo di Europa che noi cittadini ci mettiamo in tasca, assieme all'euro e alla carta d'identità europea.
Il "roaming a tariffa nazionale" è contemporaneamente lo strumento con il quale realizzare e favorire il funzionamento di un mercato unico digitale in tutta l'Unione.
Mercato digitale e roaming fanno parte della vita dei giovani europei; altrettanto si può dire della libera circolazione delle persone, degli scambi culturali, della mobilità lavorativa. Si conferma così che l'Europa è un paese per giovani.

 
30 aprile 2017
Capitoli importanti dei programmi generali e programmi specifici di spesa
Le nuove generazioni al centro della Strategia Europa 2020
Nel "condominio giuridico" di Stati membri e Unione
i giovani non rischiano di fare l'infelice fine del cane di due padroni

In tutta la programmazione europea in tema di gioventù non compaiono verbi all'imperativo; prevalgono i verbi all'indicativo; destinatari di queste indicazioni sono sempre gli Stati membri assieme alla Commissione europea. È la conferma della base giuridica delle politiche giovanili: la competenza legislativa su questa materia è esclusivamente degli Stati membri.
In questo "condominio giuridico" di Stati membri e Unione europea in cui si trovano, i giovani non rischiano però di fare la infelice fine del cane di due padroni. I programmi di spesa dell'UE hanno specifici riferimenti alle politiche giovanili. Infatti i fondi relativi ai programmi dell'UE, come Erasmus+, Europa creativa e il Fondo sociale europeo, sono mobilitati al fine di realizzare gli obiettivi della cooperazione europea in materia di gioventù. Inoltre ci sono programmi e iniziative che riguardano direttamente i giovani.

 
7 maggio 2017
Dopo che la Brexit ha mostrato che tutto può essere rimesso in discussione
Con Macron la Generazione Erasmus rilancia l'Europa
Il capitale umano del futuro è quello più colpito
dallo scontro intergenerazionale in atto nel nostro continente

I francesi scelgono il loro presidente domenica 7 maggio. Ma è in ballo qualcosa che riguarda anche gli europei. Bernardo Valli ha commentato su "Repubblica" subito dopo il primo turno delle presidenziali francesi: "Il duello decisivo sarà tra l'Europa e l'anti Europa: la prima rappresentata da Emmanuel Macron, ieri arrivato in testa con il 23,9 per cento dei voti, la seconda rappresentata da Marine Le Pen, rimasta sotto il 21,7 percento. Questo è il principale significato del doppio voto. Chi teme e rifiuta una disintegrazione dell'Europa può rallegrarsi del 23 aprile francese".
Il vincitore del primo turno Emmanuel Macron, è stato uno degli studenti dell'Erasmus. Non se n'è dimenticato, tanto che nelle piazze francesi dove c'è lui sventolano insieme la bandiera della Francia e la bandiera dell'Europa: tante bandiere, come non si vedevano da tempo; tante bandiere, in controtendenza rispetto molti altri politici.
C'è oramai, al vertice dei vari governi europei, un gruppo di ex ragazzi che all'università condivisero valori e viaggi in tutto il Continente col programma di scambio studenti.

 
14 maggio 2017
La Colombia sulla dura e pericolosa strada della pace - 1
Tra guerra civile e violenza mondiale del narcotraffico
"Demos el primer paso" è il motto del viaggio pastorale di Papa Francesco all'inizio di settembre
"Demos el primer paso". Facciamo il primo passo. Papa Francesco si fa accompagnare da questo motto nel suo viaggio pastorale in Colombia. Quando vi arriverà, tra il 6 e il 10 settembre di quest'anno, quel "primo passo" potrebbe sembrare a molti già stato fatto; cronisti e commentatori racconteranno, anzi, tanti passi; descriveranno quasi un percorso, prendendo come data di partenza il 23 giugno 2016, quando finisce il più lungo conflitto nella storia contemporanea dell'emisfero occidentale. La guerra civile colombiana è infatti cominciata nel 1964 ed è andata avanti per 52 anni con un bilancio tragico: 220 mila morti, 45 mila persone scomparse nel nulla, sette milioni di sfollati interni (mai contati così tanti, neppure in Siria), decine di migliaia di bambini-soldato, la coltivazione della coca, l'esplosione del narcotraffico.
Sono numeri che spiegano perché non è per niente facile camminare dentro la tragedia della guerra civile colombiana e dentro la violenza mondiale del narcotraffico, pronto all'agguato. Il pericolo di inciampare sulla sofferenza è inevitabile rende incerto ogni passo.

 
21 maggio 2017
Il ministro della Difesa Roberta Pinotti sbaglia tema
all'Adunata nazionale degli alpini di Treviso

I giovani del servizio civile non hanno bisogno
della cartolina precetto

Il principio dell'universalità va oltre quello dell'obbligatorietà:
il Partito Democratico ha fatto una buona legge in materia
ed è questa che ora bisogna applicare

Il ministro della Difesa che invoca il servizio civile è già una notizia. L'invocazione potrebbe diventare provocazione se fatta davanti ad una folta platea di militari ed ex militari, quale era l'Adunata nazionale degli alpini domenica scorsa a Treviso. È qui infatti che il ministro Roberta Pinotti ha lanciato la proposta di un servizio civile obbligatorio per tutti i giovani italiani: ragazze e ragazzi, ovviamente. La "cartolina precetto" che dall'1 gennaio 2005 non circola più per chiamare al servizio militare, dovrebbe riprendere il corso legale per chiamare alla leva civile.
Roberta Pinotti si è presa domenica gli applausi delle "penne nere" e dei militari in genere, a quanto riferiscono le cronache. Nei giorni successivi si è presa i rimbrotti di chi si occupa di servizio civile. All'interno della riforma del Terzo settore, i cui decreti attuativi sono stati approvati giusto in maggio, è stato infatti istituito il Servizio civile universale, con l'obiettivo di permettere a tutti i giovani che ne fanno domanda di svolgere il servizio civile.
Il principio dell'universalità va oltre il principio dell'obbligatorietà. Quest'ultimo principio è ormai inappropriato (e invecchiato) se riferito a questa materia.

 
28 maggio 2017
La Colombia sulla dura e pericolosa strada della pace - 2
"Demos el primer paso" fuori dal passato che non passa
La strada della riconciliazione non è meno impervia, dolorosa e pericolosa della strada che ha portato fuori dalla guerra
"Demos el primer paso" dice Papa Francesco ai colombiani mentre si prepara al suo viaggio pastorale in Colombia tra il 6 e il 10 settembre. Coniuga il verbo alla prima persona plurale, per dire che la cosa riguarda anche lui, che anche il Papa cammina loro a fianco sulla strada della riconciliazione, che non è meno impervia, dolorosa e pericolosa della strada che ha portato fuori dalla guerra. Papa Francesco lo sa e continua a preparare la strada della riconciliazione.
"Demos el primer paso" dice a se stessa la Colombia della biodiversità, perché le piantagioni di coca sono ancora lì, immense, appetitose. Ancora più rischiose, ora che i combattenti delle Farc si sono ritirati dalla battaglia, che non impongono più regole, che non sorvegliano più i traffici illegali, da cui traevano attraverso le "tasse" sulla produzione gran parte delle risorse finanziarie per la guerriglia. Il rischio è che le organizzazioni criminali internazionali si approprino delle colture abbandonate dalle Farc: la Colombia potrebbe diventare ostaggio del narcocapitalismo internazionale.
È il passato che non passa. Per questo a settembre Papa Francesco va a Bogotà.

 
4 giugno 2017
Periodicamente c'è chi guarda indietro alla Democrazia Cristiana
Il Popolarismo si alimenta di futuro
L'enciclica Laudato si' come testo-base di questo secolo; la Repubblica come luogo di partecipazione e uguaglianza
Indietro un altro: fra qualche giorno, venerdì 9 giugno, sarà la volta di Ciriaco De Mita, protagonista della politica nazionale negli anni Ottanta, che a Napoli organizza un incontro che ha come titolo una sua convinzione: "La necessità di una coalizione Popolare".
De Mita ha pienamente diritto di provare a far rivivere i ricordi. I ricordi però non prendono voti, perché sulla scheda elettorale i cittadini segnano il futuro (quello che sperano o temono) e non le memorie. I "reduci di politica" non hanno mai avuto fortuna nelle elezioni che si sono succedute dal 1994 ad oggi. Ed è anche giusto che sia così: la politica ha il colpito di interpretare il presente e di immaginare il futuro. Ci riescono malamente i partiti "vivi"; quelli resuscitati o scongelati proprio non ce la fanno.
Ciò vuol dire che la nostra comunità civile, sociale e politica è destinata a fare per sempre a meno del Popolarismo? Ad ascoltare e a leggere Papa Francesco, direi di no.
Abbiamo poi appena celebrato l'anniversario della nostra Repubblica. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha con l'occasione fornito alcuni spunti, sia con le parole sia con i gesti.

 
11 giugno 2017
Giovani e operai si sono sentiti nuovamente inclusi dalla politica
Il "fronte dei diseguali" blocca i conservatori inglesi
Il laburista Jeremy Corbyn protagonista di un risultato elettorale
in grado di influenzare anche noi europei e noi italiani

Il vincitore politico delle elezioni inglesi è il leader dei laburisti Jeremy Corbyn. Con lui il Labour ha preso il 40 per cento dei voti: 10 punti percentuali in più di appena due anni. Nel programma con cui Jeremy Corbyn ha convinto prima la maggioranza degli iscritti al Partito Laburista e ora una parte importante dell'elettorato ci sono welfare e sicurezza, diritto alla salute e all'abitazione, istruzione per tutti e tasse alle multinazionali; l'austerità non è considerata una ricetta e lo Stato non è a servizio del mercato. Parole d'altri tempi, sentenziano tuttora molti nei partiti popolari e progressisti. Invece gli elettori sentono che sono parole moderne, perché consentono di affrontare la sfida mortale che la globalizzazione ha lanciato contro le nostre democrazie: l'aumento delle diseguaglianze, l'inevitabilità dell'emarginazione (propagandata da programmi tv di successo: "Sei fuori", intimano Flavio Briatore e Donald Trump).
La spinta che viene da oltre Manica fino in Europa e in Italia è appunto questa: il "blairismo" ha concluso il suo ciclo storico; chi nei partiti popolari ritiene che quella politica sia utile nella globalizzazione va incontro a sconfessioni da parte dell'elettorato, anzi da parte del proprio elettorato. Il regresso costante e generalizzato dei partiti "socialisti" in Europa lo aveva già segnalato in negativo. Ora il risultato politico di Corbyn aggiunge in positivo l'indicazione di come invertire la tendenza.

 
27 agosto 2017
La scomparsa di un sacerdote padovano che si era sempre sentito un "delegato"
Don Livio Destro, un prete seminatore
Aveva la buona semente della dottrina sociale della Chiesa; sua era la bravura nel preparare il terreno
Prima a Thiene, città dell'Alto Vicentino, poi a Tombelle, frazione di Vigonovo nella Riviera del Brenta, sabato 26 agosto la Chiesa padovana ha affidato alla misericordia di Dio e alla propria storia Don Livio Destro. In questa duplicazione, che rispetta sicuramente una sua volontà, leggo un messaggio - e non sarà l'ultimo - di don Livio: nel servizio alla comunità (ecclesiale, politica, associativa) non sei mai "titolare" di niente; sei un "inviato".
Don Livio è un seminatore, non un raccoglitore.
Aveva la buona semente della dottrina sociale della Chiesa; sua era la bravura nel preparare il terreno. L'attrezzo di cui si serviva e che molti ricordiamo era il sorriso con cui cominciava e finiva incontri, dialoghi, interventi. A chi non era convinto che la gioia fosse all'inizio e alla fine del credente, non si stancava di ripetere: "Tutto è grazia", come un ritornello della vita.
Quel "Tutto e grazia" per il curato di Bernanos era l'ancora cui legare la barca della vita, per don Livio era il vento che spingeva la barca quando non bastavano… i remi suoi e le braccia di chi viaggiava con lui.
Ecco perché anche con la sua morte il viaggio insieme non finisce.

 
1 ottobre 2017
Papa Francesco: a chi piace e a chi no
Le parole quotidiane della Dottrina che si fa Pastorale
C'è chi lo critica per le "predichette"
e chi lo combatte diffondendo l'ecumenismo del conflitto

La dottrina ha una finalità pastorale sua propria. Non è certo una novità nella Chiesa. Nuova è semmai la scelta di Papa Francesco di utilizzare questa modalità come prevalente nel suo ministero e nel suo magistero: è il suo modo di caricarsi sulle spalle le pecore che non ce la fanno da sole o che non hanno ovile. Le omelie del mattino nella cappella di Casa Santa Marta sono insieme fonte e simbolo di questa dottrina che si fa pastorale. Nulla di nuovo: spezzare ogni giorno il pane delle Parola con i fratelli e farne comunione è pratica utilizzata sempre e dovunque nella Chiesa. Le parole della fede (carità, perdono, peccato, misericordia, grazia, salvezza) diventano parte della giornata; quotidiane.
Può il Papa pronunciare parole "quotidiane"? Il popolo di Dio nemmeno si pone il problema; già gli basta la bella sorpresa di un Papa che non cambia casa e resta ad abitare a Santa Marta. Il problema lo pongono alcuni tra i "sapienti" della Chiesa: il Papa è il Papa, non deve parlare a braccio, non deve fare "predichette" (appunto le omelie a Santa Marta), ma pronunciare discorsi completi e complessi; il Papa deve "insegnare" in ogni momento, fare lezione. Un Papa che fa "ripetizione di Vangelo" perde autorevolezza. E poi nelle "predichette" il Papa può apparire impreciso, non sufficientemente circostanziato; magari incorre in qualche imprudenza. È una delle lamentele che alcuni rivolgono a Papa Francesco; aggiungendo subito che lo dicono per il suo bene, perché non venga manipolato dall'opinione pubblica e dall'informazione.

 
4 novembre 2017
A cento anni dalla disfatta di Caporetto
Cambia la guerra dei fanti italiani: ora combattono
per le loro famiglie

Oggi il Piave che ci salverà non è un confine da difendere,
ma uno spazio comune in cui convivere

Stiamo percorrendo - noi italiani, noi europei - il Centenario della Grande Guerra. Arriveremo - noi italiani, noi veneti - alla terza battaglia del Piave, alla vittoria di Vittorio Veneto, all'armistizio di Villa Giusti a Padova. Arriveremo al 4 novembre 1918, quando le armi smisero di uccidere.
Ci arriveremo. Prima però dobbiamo fermarci a restituire tutto intero l'onore alle nostre Forze Armate, a ciascuno dei nostri soldati. Un onore che un secolo fa, giusto in questi giorni, fu messo in dubbio proprio da chi avrebbe dovuto rincuorarli e sostenerli. Mi pare doveroso dedicare questo Quattro Novembre alla battaglia di Caporetto e a quello che successe tra il 24 e il 27 ottobre 1917, quando gli austro-tedeschi aprirono un varco nel fronte italiano, e poi dal 27 ottobre al 9 novembre, quando il nostro esercito fu costretto ad evacuare un territorio molto vasto.
"Le sconfitte diventano disfatte se non costruisci le possibilità per ripartire. A Caporetto è nato l'orgoglio nazionale", ha potuto dire dieci giorni fa il ministro della Difesa Roberta Pinotti. Dopo Caporetto i nostri soldati non stanno più facendo la guerra di "lor signori"; ora combattono per salvare le loro famiglie, per tornare nella loro terra, per avere una patria.

 
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23 marzo 2020
Redazione Euganeo.it
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