Società. I matrimoni religiosi sono passati da 170 mila e 120 mila nel periodo 2004-2013, un crollo non compensato da quelli civili
Famiglie spaesate nell'era dei diritti
Ci si sposa sempre più tardi e si tiene sempre aperta la possibilità di cambiare idea
Mentre la Chiesa Cattolica dedica un Sinodo alla famiglia, la cronaca italiana racconta della polemica sulla registrazione delle nozze gay. Si potrebbe insistere sullo stato confusionale delle nostre istituzioni - con un "municipalismo di fatto" in cui i sindaci decidono autonomamente anche in aperto conflitto col ministro dell'Interno; o della ignavia di un Parlamento che non si arrischia a prendere posizione sui temi della "famiglia" e dei "diritti individuali". Ma è il contrasto tra i registri della discussione a meritare qualche riflessione.
Con buona pace di chi pensa il contrario, non è difficile prevedere che presto l'Italia si allineerà al tipo di legislazione affermatasi in tutto l'Occidente, con il riconoscimento del matrimonio omosessuale, la fecondazione eterologa, il divorzio breve.
Il tutto mentre si registra un crollo del numero di matrimoni religiosi (scesi in 10 anni da 170 mila a 120 mila), non compensato da quelli civili (stabili attorno agli 85 mila), aumento dei divorzi (oggi un matrimonio dura in media 15 anni) e delle convivenze, riduzione del tasso di natalità, crescita dei figli nati fuori dal matrimonio. Si tratta di una mutazione antropologica molto veloce: comportamenti oggi ampiamente accettati erano rigettati dall'opinione pubblica solo dieci anni fa.
A invertirsi è il rapporto individuo-gruppo. Anche nella vita famigliare a prevalere è il punto di vista individuale. La famiglia non è rifiutata in linea di principio (tanto è vero che anche le coppie omosessuali chiedono l'equiparazione delle loro unioni). Ma è adattata alle esigenze e ai percorsi di vita dei suoi singoli componenti. In una dinamica che ha aspetti positivi (si pensi al lento ma inevitabile riequilibrio dei rapporti di genere), a venire rifiutata è l'idea tradizionale, secondo cui il formare una famiglia comporta la cessione, per così dire, di parte della propria sovranità in un disegno cooperativo e intergenerazionale. Al contrario, la famiglia - che di conseguenza radicalizza i suoi tratti affettivi e emotivi - è vista oggi come un terreno tra gli altri (professionale, amicale...) di realizzazione individuale. Per questo ci si sposa più tardi (dopo i 30 anni), si tiene aperta la possibilità di ricominciare (anche in età avanzata), si praticano le proprie personali preferenze sessuali, si parla del "diritto" ad avere un figlio, desiderato e programmato. È dunque l'individualismo che penetra dentro la famiglia e la ridefinisce in base alle proprie esigenze.
Comunque la si valuti, tale mutazione è una delle cause del blocco demografico dell'Occidente. Basti citare il caso clamoroso della Germania, dove nonostante l'elevato livello di benessere, il tasso di fecondità è precipitato a 1,3 figli per donna. In molti Paesi, si cerca di arginare il problema con politiche a sostegno della natalità, che prescindono dalla forma e natura della famiglia. Azioni che, anche quando riescono a limitare il declino demografico, non sono in grado di risolvere il problema. Senza contare che la concentrazione del disagio sociale aumenta dappertutto proprio tra i minori, anche a causa dell'aumento dei nuclei monogenitoriali che espongono i bambini a una forte vulnerabilità scolastica ed economica.
In sostanza, questa rapida transizione apre un interrogativo di fondo, di cui l'unica a curarsi sembra la Chiesa Cattolica: nella misura in cui la famiglia ha storicamente costituito la forma sociale che ha governato il delicatissimo processo della generazione, è possibile, come oggi si tende a pensare, farne a meno? Rispondere a questa domanda è molto difficile e richiederebbe un dibattito aperto, libero da pregiudizi ideologici.
Da quanto accaduto in questi decenni sappiamo che la conclamata crisi della famiglia non è priva di conseguenze sugli equilibri della vita sociale. E che sul punto le società avanzate saranno costrette a tornare. A meno di accettare passivamente la strada dell'estinzione demografica o la via di un modello basato sulla radicale tecnicizzazione della sfera riproduttiva. Via che aprirebbe la strada all'uomo Uno, che viene al mondo privo del suo costitutivo legame sociale. Due scenari preoccupanti di cui occorrerà discutere, superando l'angoscia, tutta contemporanea, che il legame, di qualunque specie, sia per definizione nemico della libertà.
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