TINO BEDIN

La Legge Comunitaria 2001 e la Relazione sull'Italia in Europa nel 2000
Con l'Ulivo Italia protagonista
in un anno decisivo per l'Europa

La Destra non sembra ora in grado di continuare le politiche innovative che prevedono nuove decisioni al Consiglio europeo di Barcellona

Il Senato ha dedicato le sedute di mercoledì 23 e giovedì 24 gennaio alla discussione e all'approvazione della Legge Comunitaria 2001 e della Relazione sulla partecipazione dell'Italia alla politica europea nel 2000. A nome del gruppo della Margherita sono intervenuti la senatrice Marida Dentamaro e il senatore Tino Bedin. Lo stesso senatore Bedin ha svolto poi la dichiarazione di voto finale a nome del gruppo. Pubblichiamo l'intervento di Tino Bedin nella discussione generale.

intervento in Senato di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli affari europei

Anche il dibattito sulla Legge Comunitaria 2001 e sulla Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione Europea nel 2000 è uno dei contributi che il Senato può dare al processo sul futuro dell'Europa avviatosi a Nizza su iniziativa italo-tedesca e ora confermato a Laeken con la Dichiarazione sul futuro dell'Unione. Ricordare che la dichiarazione sul futuro dell'Europa al Consiglio europeo di Nizza nasce da un'iniziativa italiana costituisce già un elemento di giudizio che diamo rispetto alla relazione che il Governo dell'Ulivo - ricordo che il Senato discute la relazione presentata nel gennaio dello scorso anno dall'allora presidente del Consiglio Amato - propose al Parlamento.
Il 2000, come si ricava dalla Relazione, è stato un anno decisivo per l'avanzamento del processo di integrazione europea. Importanti passi in avanti sono stati compiuti in diversi settori, dalla politica monetaria ed economica a quella estera e di difesa comune, dalle riforme istituzionali all'allargamento e alla coesione economico-sociale. Il Governo italiano - mi riferisco al Governo dell'Ulivo - ha avuto, come è stato riconosciuto da più parti, un ruolo incisivo e spesso decisivo nelle determinazioni che l'Europa ha assunto nell'ambito dei Consigli europei di Lisbona, di Feira e di Nizza.
Il patrimonio politico ed istituzionale di tali Consigli, di cui la Relazione dà conto, rende ora possibile per l'Europa accettare la sfida che viene non solo dai fatti dell'11 settembre, ma dal nuovo ruolo che le è richiesto da una globalizzazione che potrà funzionare se avrà più modelli e più interlocutori. L'intero capitolo sociale aperto dal Consiglio europeo di Lisbona e ribadito da quello di Göteborg è, ad esempio, un patrimonio che non solo stabilizzerà l'Europa allargata, ma renderà meno diffidenti tutti i popoli del pianeta nei confronti dell'Europa.
La lettura di questa Relazione è assai istruttiva, sul modo di intendere l'Europa in Italia ma anche e soprattutto sul modo di intendere l'Italia in Europa. Vi si coglie, infatti, lo spirito propositivo e non solo contrattualistico con il quale il nostro Paese si è rapportato nel 2000 con l'Unione europea riuscendo ad ottenere risultati politici di rilievo e consensi sulle proprie richieste economiche, ma all'interno di una progressione del ruolo dell'Unione e dell'approfondimento dell'attività comune in Europa.
Ricordare il contributo complessivo che nel 2000 è stato dato dall'Italia alle scelte che riguardano l'allargamento, una delle sfide decisive che ci si presentano. In quei mesi l'Italia ha sostenuto che non dovessero esserci graduatorie predefinite dei Paesi candidati, per consentire ad un numero maggiore di Paesi di partecipare. In particolare, il riferimento era ai Paesi direttamente legati all'Italia. Al Consiglio europeo di Nizza questa sfida è stata definita "regata europea", nel senso che si parte tutti insieme e si arriva a seconda delle proprie forze. A Laeken questa intuizione prevalentemente italiana ha avuto un ulteriore sviluppo offrendo a tutti i Paesi una prospettiva certa sulla data dell'allargamento, una data che consentirà a buona parte dei Paesi candidati di partecipare alle elezioni per il nuovo Parlamento europeo eleggendo direttamente nel Parlamento comunitario i membri dei singoli Paesi.
Legando strettamente la data dell'allargamento a quella della scelta democratica dei propri rappresentanti a Strasburgo, ai "nuovi europei" della Grande Europa si assicura così da subito un'esperienza di comune cittadinanza. È una scelta che va nella direzione che sia la dichiarazione sul futuro dell'Europa proposta da Italia e Germania a Nizza sia quella successiva di Laeken hanno dichiarato fondamentale, vale a dire avvicinare l'Unione ai cittadini.
A questa volontà e necessità di avvicinare l'Unione ai cittadini si è rapportata l'Italia guidata dal presidente del Consiglio Amato e dal ministro degli esteri Dini nell'anno 2000; è un modo per fare gli interessi nazionali con più Europa. Sottolineo l'espressione "più Europa" perché è il significativo titolo che il presidente spagnolo Aznar ha voluto dare alla sua presidenza dell'Unione europea. Nel titolo "Più Europa" risiede una sfida a chi, all'interno della maggioranza del Governo italiano, ritiene invece necessario procedere a rinazionalizzazioni; una sfida a chi, con visione utilitaristica della sussidiarietà, spinge perché vi sia "meno Europa".
"Più Europa", ad esempio, con riguardo ai fondi strutturali e vorremmo capire come la maggioranza si rapporta a questo tema fondamentale per l'allargamento, per lo sviluppo economico e per la filosofia che ha consentito all'Europa di vivere in pace, dopo essere riuscita a costruire la sua Comunità e la sua Unione. Dovremmo considerarci in concorrenza con i Paesi candidati e futuri membri dell'Unione o dovremmo collaborare con loro alla ricerca di strumenti comuni per progredire insieme? Nell'attuale situazione dell'Unione europea a me pare, per esempio, dovremmo cercare strumenti più adeguati per lo sviluppo di parti significative del nostro Paese, sfruttando strumenti come il Fondo sociale europeo. L'alternativa tra "più Europa" o "meno Europa" potrà emergere anche dal dibattito sulla Costituzione europea. Ho sentito nominare questa parola come se fosse scontata, ma quanto è successo a Laeken è una rivoluzione. A sentir parlare di Costituzione europea fino a pochi mesi fa alcuni Governi e Parlamenti della nostra Unione avrebbero immediatamente interrotto ogni dialogo. Oggi questa prospettiva è entrata formalmente nel futuro della nostra Unione. Quali contenuti introdurremo nella Costituzione europea? Il Partito Popolare Europeo, nel documento predisposto prima del Consiglio di Laeken, ha chiesto che la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea entri a far parte integrante della Costituzione dell'Unione. Qualche esponente della maggioranza di Destra durante questa discussione ha ricordato il confronto avvenuto nel 2000, precedente il Consiglio di Nizza, come un momento negativo; ha giudicato negativa l'esperienza della Carta dei diritti. Il più grande partito europeo sostiene invece che occorre inserire la Carta nella Costituzione europea. Anche noi lo sosteniamo.
Non è la sola domanda che dobbiamo porci se vogliamo "Più Europa", come propone la Presidenza spagnola.
Qual è la nostra posizione sull'allargamento? Nel dibattito sui confini dell'Europa limiteremo l'Europa ai confini attuali o li estenderemo ulteriormente? Con chi ci confronteremo?. Siamo favorevoli o no al voto a maggioranza qualificata su tutte le politiche, salvo le questioni di identità nazionale? Siamo favorevoli o no all'estensione a tutte le politiche dei poteri di codecisione del Parlamento europeo? Siamo favorevoli o no allo spazio giudiziario europeo, compreso il famoso mandato d'arresto? Siamo favorevoli o no ad un coordinamento più stretto delle politiche di bilancio nell'area dell'euro, affinché si possa parlare di governo economico europeo? Siamo favorevoli o no ad una industria europea della difesa, con le conseguenze che essa comporta in termini di autonomia tecnologica e di equilibrio politico con gli Stati Uniti? Siamo favorevoli o no all'attuazione, in ogni settore della vita economica ed amministrativa, del metodo del coordinamento aperto, deciso a Lisbona, per fare dell'Europa l'economia più competitiva e dinamica del mondo?
Potrei continuare ad indicare i temi che non ci distinguono fra euro-entusiasti ed euro-critici, ma tra coloro che hanno una prospettiva dell'Italia in Europa e chi, invece, lavora per avere "meno Europa".
Mi fermo alla domanda sull'integrazione sociale, giacché il prossimo appuntamento istituzionale dell'Unione, previsto nell'agenda europea e a cui si sta lavorando attivamente, è il Consiglio europeo straordinario di Barcellona. In quella sede la Spagna intende effettuare la verifica ed il rilancio delle decisioni prese a Lisbona, di cui appunto riferisce la Relazione sull'anno 2000.
A Lisbona sono state definitivamente consacrate le scelte che l'Italia aveva sostenuto, allora senza l'accordo necessario, sin dal Consiglio europeo straordinario di Firenze, quello svoltosi sotto la Presidenza italiana, mi riferisco cioè all'inserimento della politica sociale nelle materie da far diventare europee in quanto capaci di arricchire la cittadinanza dell'Unione. A Barcellona, come preannunciato dal presidente Prodi nel corso dell'ultimo intervento tenuto nel Parlamento europeo, la Commissione europea giungerà con una serie di indicazioni, in particolare per quanto riguarda l'occupazione e l'occupabilità. La Presidenza spagnola, da parte sua, porterà il proprio contributo sui temi della formazione. Vorremmo pertanto poter credere che l'Italia a Barcellona saprà essere protagonista, così come emerge dalla relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea nell'anno 2000. Vorremmo poterlo credere, ma il ripiegamento interno che in materia di scuola e di lavoro il Governo e la maggioranza stanno dimostrando non lasciano certo ben sperare. La maggioranza si attarda in questioni ideologiche sull'articolo 18 dello statuto dei lavoratori o sul buono scuola, mentre l'Europa sta costruendo attorno all'occupazione ed alla formazione il suo nuovo traguardo.
Anche questo è un segnale della difficoltà con la quale un governo impegnato a realizzare interessi limitati può partecipare allo sviluppo della società europea. Anche questo è un elemento di chiarezza tra la concezione che la Destra ha dell'Europa e la nostra concezione dell'Europa, che vorremmo continuasse così come emerge dalla Relazione sulla partecipazione dell'Italia al processo europeo nella scorsa legislatura.
Anche sullo strumento della Relazione vale la pena di riflettere. Il tema interessa meno i cittadini, ma è importante per i parlamentari. Infatti, siamo all'inizio di un percorso quinquennale e quindi l'attenzione agli strumenti utilizzati è necessaria e se questi non sono adatti potremmo ottenere risultati inferiori, non solo alle nostre attese, ma, soprattutto, al nostro impegno di assicurare più trasparenza e democrazia alla costruzione europea. Nel corso della precedente legislatura Parlamento e Governo hanno operato perché questo documento, previsto dalla legge, si trasformasse da resoconto notarile di avvenimenti del passato, a strumento di conoscenza del Parlamento sull'attività recente dell'Europa e dell'Italia in Europa, conoscenza che rendesse possibile la formulazione di indirizzi del Parlamento al Governo sui contenuti dell'azione europea in tempo reale. Mi pare che questa trasformazione, di cui la modifica della cadenza da semestrale ad annuale è stata una degli aspetti organizzativi, fosse stata in buona misura compiuta. Oggi siamo ritornati alla condizione iniziale.
La "Relazione" è stata tempestivamente presentata dall'allora presidente del Consiglio Giuliano Amato e trasmessa alla Presidenza del Senato il 31 gennaio di quest'anno. La data corrisponde al calendario prefissato dal Parlamento per utilizzare al meglio questo strumento. Le origini dell'arretramento sono dunque sostanzialmente nel Parlamento ed è quindi opportuno che le evidenziamo. Non possiamo infatti limitarci ad osservare che si è trattato di un anno elettorale e quindi con un calendario straordinario. L'esperienza ci porta a riconoscere che eventi straordinari sono ordinariamente possibili nella nostra attività.
Mi pare piuttosto che, proprio per dare contenuto alle affermazioni che abbiamo fatte in vista del Consiglio europeo di Laeken, sia necessario richiamare alcune questioni.
Ricordo innanzi tutto che la trasformazione della cadenza da semestrale ad annuale della Relazione è stata motivata dalla prospettiva di realizzare alle Camere una "sessione europea" annuale, così come c'è la "sessione di bilancio". Il progetto è valido, ma funziona ad alcune condizioni.
Intanto occorre che questa "sessione europea" sia incardinata nei regolamenti parlamentari, cosa che per il Senato non è avvenuta.
In secondo luogo, occorre che le procedure parlamentari siano omogenee tra le due Camere; neppure questo è avvenuto, nonostante reiterati tentativi fatti anche da me personalmente. Oggi al Senato ci troviamo nella condizione che la titolarità della "Relazione" è affidata alla Giunta per gli Affari Europei, mentre la titolarità della legge Comunitaria è in capo alla commissione Affari costituzionali. In due precedenti occasioni di esame avevo proposto che - pur nella attesa di una revisione generale delle competenze della Giunta - si procedesse alla assegnazione almeno della legge Comunitaria annuale. Allora non abbiamo incontrato il consenso; il questa occasione non ci sono state le condizioni; ma credo sia opportuno porre il problema già nel dibattito presente. Una "sessione europea" può svilupparsi solo se la titolarità complessiva dei suoi contenuti è affidata alla Giunta per gli Affari europei. Si tratterebbe anche di una "semplificazione" del nostro sistema bicamerale, in quando renderebbe meno frammentato il confronto fra i due rami del Parlamento.
Altra questione aperta per realizzare la "sessione europea" è quella dei tempi. La sessione di bilancio ha tempi prestabiliti e prevalenti nel calendario del Parlamento. La sessione europea - per essere davvero tale - deve essere preventivamente incardinata nel calendario annuale del parlamento. A me pare che la parte iniziale dell'anno potrebbe essere quella più adatta sia per valutare l'attività delle presidenze europee dell'anno precedente che per dare indicazioni al governo italiano nell'anno in corso.
In attesa di questa decisione - ed è la terza questione che pongo - è chiaro che la Relazione annuale debba essere esaminata in contemporanea dalle due Camere, in modo che Camera e Senato possano contestualmente dare indirizzi al governo. Quest'anno è toccato al Senato arrivare secondo ed in ritardo; occorre lavorare perché questa esperienza negativa non si ripeta.
Certo la questione dei "tempi" sarebbe meno rilevante politicamente, pur restando istituzionalmente decisiva, se il Governo facesse la sua parte, rispettando l'articolo 6 della legge Comunitaria 2000. Questo articolo ha introdotto nel nostro ordinamento le procedure per dare attuazione a quella parte del Trattato dell'Unione che prevede l'obbligatorietà dell'esame da parte del Parlamento, delle proposte normative comunitarie, entro il termine di sei settimane. L'obbligo di legge previsto per il governo riguarda "tutti gli atti e tutti i progetti di atti normativi e di indirizzo degli organi dell'Unione, nonché degli atti preordinati alla formulazione degli stessi e delle loro modificazioni, indicando la data della loro presumibile discussione o adozione da parte delle istituzioni comunitarie". Sono disposizioni che ancora trovano applicazione con difficoltà.
Va ribadito che la "trasmissione al parlamento" di cui parla la legge è un atto formale, non di pura segnalazione. Formale non in senso burocratico, ma in senso istituzionale. Innanzi tutto comporta una scelta da parte del governo e quindi una sua valutazione politica. Non è un invio burocratico di carte, poco produttivo sotto il profilo dei contenuti e del rapporto tra governo e parlamento che farà crescere la trasparenza nella fase di formazione del diritto comunitario.
In secondo luogo la trasmissione formale impegna il governo ad essere disponibile a fornire al Parlamento tutti gli elementi di cui esso avrà bisogno per la valutazione; anzi ogni atto dovrebbe essere accompagnato da una relazione sullo stato del negoziato e sulla posizione degli altri Paesi.
In terzo luogo la trasmissione formale dovrebbe consentire al parlamento di rapportarsi formalmente non solo con il governo ma anche con le Rappresentanze italiane nelle istituzioni europee; sia presso la Commissione che presso il Consiglio.
Infine, la trasmissione formale renderà ancora più "formali" gli atti di indirizzo, i rilievi e le osservazioni che il Parlamento riterrà di fare.
Parto da quest'ultimo aspetto per chiedere al governo due innovazioni nella stesura delle prossime Relazioni.
La prima ci riguarda direttamente come parlamentari. L'attività formale del Parlamento nella fase ascendente del processo normativo europeo dovrebbe trovare riscontro in futuro in un capitolo della Relazione dell'Italia in Europa, dedicato dal Governo al proprio rapporto con il Parlamento nazionale, in modo che annualmente si possa fare un confronto tra volontà ed indirizzi parlamentari da un lato e risultati conseguiti dall'altro.
Un altro capitolo aggiuntivo dovrà essere dedicato alla partecipazione delle regioni al processo normativo europeo. Il Parlamento repubblicano deve essere messo nella condizione di valutare complessivamente le relazioni delle istituzioni italiane con le istituzioni europee. Anche lavorando con questi metodi e con questi obiettivi si può realizzare in Parlamento quel "più" d'Europa a cui mi sono richiamato citando la Presidenza spagnola dell'Unione: "più" Europa nel Senato della Repubblica e in Parlamento per l'obiettivo che Laeken ci indica, che ho già ricordato ma che ribadisco in conclusione: dobbiamo fare del Parlamento italiano uno degli strumenti attraverso i quali i cittadini italiani si sentono più europei e più rappresentati.

23 gennaio 2002



 DICHIARAZIONE DI VOTO FINALE

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22 dicembre 2001
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