Un articolo per il settimale "La Difesa del
Popolo"
Ci sono già i pilastri
delle buone politiche familiari
Il governo dovrà saper trovare l'equlibrio tra la "centralità dell'impresa" e quella
della famiglia di Tino Bedin
senatore
Non ho votato la fiducia al Governo di Silvio Berlusconi. Non avevo scelta: il nuovo
governo è infatti il risultato della sconfitta della proposta politica da me fatta ai
miei concittadini. Poi Berlusconi ci ha messo anche del suo per rafforzare la mia opinione
contraria sul governo: il modo in cui è stato costituito (non gli bastavano i posti ed ha
fatto un decreto-legge per far quadrare i conti) o ministri-manifesto messi in posti
socialmente delicati (Letizia Moratti a guidare una Scuola che oggi è per tutti). Messa
così, la cosa più desiderabile (solo
per me, ovviamente) che Berlusconi potrebbe
fare è di durare il meno possibile.
Invece non è questo che desidero. C'è un risultato di cui ho parlato con contentezza in
campagna elettorale: la stabilità del Parlamento negli scorsi cinque anni. La desidero
anche ora che sono all'opposizione; ritengo infatti la stabilità della legislatura un
elemento politico essenziale per dare la possibilità ai cittadini di valutare con
cognizione e a chi governa di realizzare il proprio progetto.
Ovviamente desidero una stabilità operosa, impegnata a completare edifici che in questi
anni sono stati innalzati, ma a cui mancano le rifiniture. Il più importante fra questi
edifici è quello della famiglia italiana, anzi delle singole famiglie. Negli anni più
recenti si è finalmente fatto un progetto, si sono gettate le fondamenta e si sono
innalzati alcuni pilastri delle politiche familiari. La nuova maggioranza è nelle
condizioni di realizzare l'edificio secondo il suo "gusto", ma su questi
pilastri.
Non c'è infatti solo il "sostegno" alla famiglia: questo magari è il tetto
dell'edificio. I pilastri portanti sono costituiti dalle politiche economiche che
considerano la famiglia il soggetto principale di crescita e di cambiamento della
società: sono politiche che riguardano i tempi di lavoro, il fisco, la piena cittadinanza
delle donne, il lavoro di cura familiare, il tempo libero. L'altra serie di pilastri
attorno a cui realizzare l'edificio è costituita dalle politiche della natalità: ancora
più complesse, perché entrano in gioco diritti di senza voce (penso all'embrione),
esigenze affettive (il desiderio di genitorialità di cui la procreazione medicalmente
assistita è un aspetto), la struttura dei servizi all'infanzia.
Il complesso di queste politiche esige un ruolo attivo della maggioranza ed una
disponibilità del governo Berlusconi a costruire il consenso all'interno della
maggioranza, ma anche con l'opposizione e con la società. La definizione del ruolo della
famiglia non può essere infatti questione di schieramento.
E del resto solo il dialogo politico e sociale potrà superare alcune difficoltà.
Continuare, ad esempio, a mettere a disposizione soprattutto delle famiglie le risorse che
provengono da conti pubblici in ordine è una scelta che non c'è nel programma, ma che è
sostenuta da alcune componenti della Casa delle libertà. Si tratta di una scelta non
facile, che richiede non poco coraggio politico. Lo si sta vedendo già in queste
settimane: la decisione di togliere i ticket sanitari, fatta dalla legge Finanziaria in
corso, viene contestata da una parte dell'attuale maggioranza per il mancato introito che
ne deriva alle regioni. La soluzione è o ripristinare i ticket (di fatto tassando le
famiglie) o considerare strategica la capacità economica delle famiglie e ridurre di
conseguenza altre spese regionali.
Io credo che la polemica sui ticket sanitari sia già la spia di una delle principali
difficoltà che la maggioranza si trova a gestire. Il programma ufficiale del governo
Berlusconi è infatti calibrato sulle analisi (e le conseguenti richieste) degli
industriali di Confindustria. Si tratta - lo preciso per rispetto istituzionale del nuovo
governo - di una coincidenza di analisi politica e non di una subalternità. Ma non tutta
la maggioranza è portatrice di questa cultura: le componenti che rifiutano la
"centralità dell'impresa" nella vita sociale sono numerose e distribuite oltre
che variamente motivate. Una mancata mediazione tra la centralità dell'impresa e la
centralità della famiglia è destinata a creare le condizioni di quella instabilità che
gli italiani non desiderano.
20 giugno 2001 |