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Giubileo dei Governanti, Roma, 4-5 novembre 2000
La democrazia ha bisogno
di… Santi in Paradiso
Un'antologia delle indicazioni di Giovanni Paolo II e una scheda su san Tommaso Moro

Per due giorni, tra il 4 e il 5 novembre 2000 rappresentanti dei governanti, dei parlamentari, egli amministratori locali e territoriali, insomma di quanti svolgono il servizio politico nelle loro società ed anche in organismi internazionali, hanno celebrato a Roma il Giubileo dei politici. In varie occasioni hanno incontrato Giovanni Paolo II, che non ha mancato di presentare loro idee e proposte. Ne ho riassunte alcune, legandole fra loro anche da discorsi diversi e ricavandone una antologia di frasi, che mi pare utile "riascoltare", qualche volta. Utile a chi svolge il servizio politico tentando di interpretare la dottrina sociale della Chiesa, ma anche a chi, non essendo credente, non per questo ha meno doveri, come ha ricordato il Papa, citando Cicerone.
Uno dei frutti spirituali del Giubileo dei governanti dell'inizio di novembre è un patrono: Giovanni Paolo II ha indicato in Sir Thomas More, san Tommaso Moro, la figura alla quale chi fa politica può guardare sia per seguirne l'esempio, che per chiederne l'assistenza.
Ho messo in questa scheda una biografia di san Tommaso Moro, una sintesi delle motivazioni con cui un gruppo di politici si è rivolto e Giovanni Paolo II e le frasi con cui il Papa lo ha infine indicato ai governanti nel corso del loro Giubileo.
Questo statista diventato santo attraverso la politica è anche una provocazione: per chi è chiamato a svolgere un servizio pubblico, ma anche per i cittadini elettori. Anche loro - da credenti - sono chiamati a rivolgersi a san Thomas More, per imparare a valutare i politici con metri più stabili rispetto al vantaggio locale o individuale e anche per pregarlo. La democrazia ha infatti bisogno di… santi in Paradiso. Santi veri nel vero Paradiso.

Tino Bedin


Idee e proposte di Giovanni Paolo II
per la vocazione all'azione politica

Competenza e moralità nel servizio politico
I Comandamenti, prima che come un codice legale e un regolamento giuridico, sono stati compresi dal popolo eletto come un evento di grazia, come un segno della propria appartenenza privilegiata al Signore. E' significativo che Israele non parli mai della Legge come di un fardello, di un'imposizione, ma come di un dono e di un favore.
Questo è un argomento che vi tocca da vicino. Non è forse, la vostra quotidiana fatica, quella di elaborare leggi giuste e di farle accettare ed applicare? La vostra può ben essere considerata come una vera e propria vocazione all'azione politica: in pratica, al governo delle nazioni, alla formazione delle leggi e all'amministrazione della cosa pubblica, a vari livelli. Nel fare ciò voi siete convinti di rendere un importante servizio all'uomo, alla società, alla stessa libertà. E a buon diritto. La legge umana infatti, se giusta, non è mai contro, ma a servizio della libertà. Questo aveva intuito già il saggio pagano, che sentenziava: "Legum servi sumus, ut liberi esse possimus" - "Siamo servi delle leggi, per poter essere liberi" (Cic., De legibus, II,13).
La libertà a cui fa riferimento Cicerone, tuttavia, si situa principalmente a livello dei rapporti esterni tra cittadini. Come tale, essa rischia di ridursi ad un congruo bilanciamento dei rispettivi interessi, e magari dei contrapposti egoismi. La libertà a cui fa appello la parola di Dio, invece, affonda le proprie radici nel cuore dell'uomo, un cuore che Dio può liberare dall'egoismo, rendendolo capace di aprirsi all'amore disinteressato.
In che modo, nel vostro delicato e impegnativo servizio allo Stato e ai cittadini, potete dare adempimento a questo comandamento? La risposta è chiara: vivendo l'impegno politico come un servizio. Prospettiva luminosa quanto esigente! Essa non può, infatti, ridursi a una riaffermazione generica di principi o alla dichiarazione di buone intenzioni. Il servizio politico passa attraverso un preciso e quotidiano impegno, che esige una grande competenza nello svolgimento del proprio dovere e una moralità a tutta prova nella gestione disinteressata e trasparente del po
tere.

Le leggi della giustizia e della solidarietà sopra le leggi del mercato
La politica è l'uso del potere legittimo per il raggiungimento del bene comune della società. Perciò, il cristiano che fa politica - e vuole farla "da cristiano" - deve agire con disinteresse, cercando non l'utilità propria, né del proprio gruppo o partito, ma il bene di tutti e di ciascuno, e quindi, in primo luogo, di coloro che nella società sono i più svantaggiati. Nella lotta per l'esistenza, che talvolta assume forme spietate e crudeli, non sono pochi i "vinti", che vengono messi inesorabilmente da parte. Questa deve essere, appunto, la preoccupazione essenziale dell'uomo politico, la giustizia: una giustizia che non si contenti di dare a ciascuno il suo, ma tenda a creare tra i cittadini condizioni di uguaglianza nelle opportunità, e dunque a favorire quelli che per condizione sociale, per cultura, per salute rischiano di restare indietro o di essere sempre agli ultimi posti nella società, senza possibilità di personale riscatto.
È lo scandalo delle società opulente del mondo di oggi, nelle quali i ricchi diventano sempre più ricchi, perché la ricchezza produce ricchezza, e i poveri diventano sempre più poveri, perché la povertà tende a creare altra povertà. Questo scandalo non si verifica solo all'interno delle singole nazioni, ma ha dimensioni che ne travalicano ampiamente i confini. Oggi soprattutto, con il fenomeno della globalizzazione dei mercati, i Paesi ricchi e sviluppati tendono a migliorare ulteriormente la loro condizione economica, mentre i Paesi poveri - se si eccettuano alcuni in via di promettente sviluppo - tendono a sprofondare in forme di povertà sempre più penose.
In un mondo ormai globalizzato, in cui il mercato, che per sé ha un ruolo positivo per la libera creatività umana nel settore dell'economia (cfr Centesimus annus, 42), tende però a svincolarsi da ogni considerazione morale, assumendo come unica norma la legge del massimo profitto, quei cristiani che si sentono chiamati da Dio alla vita politica hanno il compito - certamente assai difficile, e tuttavia necessario - di piegare le leggi del mercato "selvaggio" alle leggi della giustizia e della solidarietà. È questa la sola via per assicurare al nostro mondo un avvenire pacifico, distruggendo alla radice le cause di conflitti e di guerre: la pace è frutto della giustizia.
Questo significa che le leggi, quali che siano i campi in cui il legislatore interviene o è obbligato a intervenire, devono sempre rispettare e promuovere - nella varietà delle loro esigenze spirituali e
materiali, personali, familiari e sociali - le persone umane.

Riscoprire il senso della partecipazione
Un politico cristiano non può non fare costante riferimento a quei principi che la dottrina sociale della Chiesa ha sviluppato nel corso del tempo. Essi, com'è noto, non costituiscono un'"ideologia" e nemmeno un "programma politico", ma offrono le linee fondamentali per una comprensione dell'uomo e della società alla luce della legge etica universale presente nel cuore di ogni uomo e approfondita dalla rivelazione evangelica (cfr Sollicitudo rei socialis, 41).
Ciò assume particolare rilevanza in questa fase di intense trasformazioni, che vede emergere una nuova dimensione della politica. Il declino delle ideologie s'accompagna ad una crisi delle formazioni partitiche, che spinge ad intendere in modo nuovo la rappresentanza politica e il ruolo delle istituzioni. Occorre riscoprire il senso della partecipazione, coinvolgendo maggiormente i cittadini nella ricerca delle vie opportune per avanzare verso una realizzazione sempre più soddisfacente del bene comune.


Il dialogo e il confronto con la società pluralistica
La coerenza personale del politico ha bisogno di esprimersi anche in una corretta concezione della vita sociale e politica che egli è chiamato a servire.
Nell'attuale società pluralistica, il legislatore cristiano si trova di fronte a concezioni di vita, a leggi e a richieste di legalizzazione che sono in contrasto con la propria coscienza. Sarà allora la prudenza cristiana, che è la virtù propria del politico cristiano, a indicargli come comportarsi per non venir meno, da una parte, al richiamo della sua coscienza rettamente formata, e non mancare, dall'altra, al suo compito di legislatore. Non si tratta, per il cristiano di oggi, di uscire dal mondo in cui la chiamata di Dio l'ha posto, ma piuttosto di dare testimonianza della propria fede e di essere coerente con i propri principi, nelle difficili e sempre nuove circostanze che caratterizzano l'ambito della politica.
Certo, nell'applicazione di questi principi alla complessa realtà politica, sarà spesso inevitabile incontrarsi con ambiti, problemi e circostanze che possono dare legittimamente adito a diverse valutazioni concrete. Al tempo stesso, però, non può giustificarsi un pragmatismo che, anche rispetto ai valori essenziali e fondanti della vita sociale, riduca la politica a pura mediazione degli interessi o, ancor peggio, a una questione di demagogia o di calcoli elettorali. Se il diritto non può e non deve coprire l'intero ambito della legge morale, va anche ricordato che esso non può andare "contro" la legge morale.


Thomas More,
diventato santo facendo politico

La vita
Lord Cancelliere del Regno d'Inghilterra
Tommaso Moro nacque nel cuore di Londra il 7 Febbraio 1478 e, sempre nella capitale inglese, fu decapitato il 6 luglio 1535.
Compiuti gli studi ad Oxford e presso gli Inns of Court di Londra, divenne un famoso avvocato, membro del Parlamento e prestigioso giudice. Servì il Paese svolgendo diverse mansioni, ma non permise mai che l'attività pubblica lo allontanasse dalla cura della famiglia e dal suo impegno di studioso di primo piano nel panorama dell'umanesimo europeo. A 41 anni entrò al servizio diretto del Re. Le sue responsabilità crebbero, fino a portarlo alla nomina a Lord Cancelliere del Regno all'età di 52 anni. Il 16 maggio 1532 si dimise dalla carica, per sottrarsi dall'appoggiare il disegno di Enrico VIII, che manipolava il Parlamento e l'Assemblea del Clero allo scopo di assumere il controllo sulla Chiesa in Inghilterra. Tommaso Moro venne imprigionato; dopo 15 mesi di carcere, fu processato e giustiziato a causa del suo rifiuto di firmare il giuramento di adesione all'atto di supremazia del Re nell'ordine spirituale.
La coerenza cristiana che Tommaso Moro provò fino al martirio, ha fatto sì che la sua fama si sia incessantemente consolidata nel corso dei secoli. Già in vita egli era noto ovunque per i suoi meriti di studioso e la modernità di molte sue vedute. Così, ad esempio, egli volle che le sue figlie ricevessero la stessa educazione del figlio, cosa davvero rivoluzionaria per i costumi dell'epoca. La sua attività di scrittore - specie le traduzioni di Luciano dal greco, le raccolte di poesie ed il classico Utopia - gli valse un prestigio impareggiabile. L'Utopia è la sua opera più nota. Modellata su La Repubblica di Platone, essa costituisce uno dei testi più stimolanti per il filosofo politico e lo studioso della natura umana. Come La Repubblica, anche l'Utopia presenta delle contraddizioni interne, disseminate nel testo dall'autore allo scopo di stimolare il lettore ad approfondire i valori etici perenni che danno senso alla vita personale e sociale.
Tommaso Moro è stato canonizzato dalla Chiesa cattolica nel 1935 e dal 1980 il suo nome è inserito anche nel martirologio anglicano. Egli viene universalmente riconosciuto come simbolo di integrità ed eroico testimone del primato della coscienza al di là dei confini nazionali e delle confessioni religiose. Le sue ultime parole furono: "Muoio come buon servo del Re, ma anzitutto come servo di Dio".
Il 31 ottobre 2000, il Papa Giovanni Paolo II lo ha proclamato Patrono dei Governanti e dei Politici.

La lettera al Papa
Il primato della coscienza del cittadino sul potere civile
La figura di San Tommaso Moro martire ha, ormai da secoli, suscitato la sincera venerazione del popolo cristiano. Ma egli è anche uno dei santi dei quali il mondo della cultura e quello della politica approfondiscono, con maggiore dovizia di studi e con crescente interesse di scienze e prassi, i molteplici aspetti della vita e dell'opera. Ne traspare un'ammirazione che, al di là dell'apporto offerto da San Tommaso Moro nei settori in cui operò - come umanista, come apologeta, come giudice e legislatore, come diplomatico o come statista -, si concentra sull'uomo: se la santità è di per sé anche pienezza dell'umano, in questo caso ciò appare addirittura tangibile. In lui non ci fu alcun segno di quella frattura fra fede e cultura, fra principi e vita quotidiana, che il Concilio Vaticano II lamenta "tra i più gravi errori del nostro tempo" (Gaudium et spes, n. 43).
Nell'attività umanistica in cui spaziò dall'inglese al latino, al greco, dalla filosofia, specie politica, alla teologia, egli unì lo studio alla pietà, la cultura all'ascesi, la sete di verità alla ricerca della virtù attraverso una dura ma gioiosa lotta interiore. Come avvocato e giudice, finalizzò l'interpretazione e la formulazione delle leggi (è giustamente considerato fra i fondatori della scienza della common law inglese) alla tutela di una vera giustizia sociale e alla costruzione della pace fra gli individui e le nazioni. Più pensoso di eliminare le cause della violenza che di reprimere, non separò la promozione appassionata ma prudente del bene comune dalla pratica costante della carità: "patrono dei poveri" lo definirono infatti i suoi concittadini.
L'incondizionata e benevola dedizione alla giustizia nel rispetto della libertà e dell'umana persona fu la guida della sua condotta di magistrato. Servendo ogni uomo, San Tommaso Moro sapeva di servire il suo Re, e cioè lo Stato, ma voleva servire anzitutto Dio. Questa tensione a Dio ne permeava l'intera condotta. La sua famiglia, ove si premurò di instaurare un'istruzione ad elevatissimo livello morale, venne dai contemporanei definita "accademia cristiana". Da uomo pubblico dimostrò di essere nemico assoluto dei favoritismi e dei privilegi del potere. Lo straordinario buon umore, la perenne serenità, la considerazione delle posizioni contrarie, il sincero perdono a chi lo condannava, mostrano come la sua coerenza si sposasse con un profondo rispetto per la libertà altrui.
La politica per lui non fu una interessata professione, ma un servizio talvolta arduo, al quale si era coscienziosamente preparato non solo con l'approfondimento della storia, delle leggi e della cultura del proprio Paese, ma soprattutto con l'indagine paziente sulla natura umana, la sua grandezza e le sue debolezze, e sulle condizioni sempre perfettibili del vivere sociale. La politica fu lo sbocco di un assiduo sforzo di lucida comprensione. Grazie ad esso, egli poté insegnare la giusta gerarchia dei fini da perseguire nel governo, alla luce del primato della Verità sul potere e del Bene sull'utile.
Di qui la forza che lo sostenne nell'affrontare il martirio. Fu martire della libertà nel senso più moderno del termine, perché si oppose alla pretesa del potere di comandare sulle coscienze: tentazione perenne - e tragicamente attestata dalla storia del XX secolo - di ordinamenti politici che non riconoscono nulla al di sopra di sé. Fedele alle istituzioni del suo popolo - la Magna Charta recitava: Ecclesia anglicana libera sit - e attento lettore della storia che gli mostrava come il primato di Pietro costituisca garanzia di libertà per le Chiese particolari, San Tommaso Moro dette la vita per difendere la libertà della Chiesa dallo Stato. Ma in questo modo egli difese allo stesso tempo la libertà ed il primato della coscienza del cittadino nei confronti del potere civile.

Il discorso di Giovanni Paolo II
Uno statista a servizio della persone
Numerosi ed esigenti sono i compiti che attendono, all'inizio del nuovo secolo e del nuovo millennio, i responsabili della vita pubblica. E' proprio pensando a questo che, nel contesto del Grande Giubileo, ho voluto, come sapete, offrirvi il sostegno di uno speciale Patrono: il santo martire Tommaso Moro.
La sua figura è veramente esemplare per chiunque sia chiamato a servire l'uomo e la società nell'ambito civile e politico. L'eloquente testimonianza da lui resa è quanto mai attuale in un momento storico che presenta sfide cruciali per la coscienza di chi ha responsabilità dirette nella gestione della cosa pubblica. Come statista, egli si pose sempre al servizio della persona, specialmente se debole e povera; gli onori e le ricchezze non ebbero presa su di lui, guidato com'era da uno spiccato senso dell'equità. Soprattutto, egli non scese mai a compromessi con la propria coscienza, giungendo fino al sacrificio supremo pur di non disattenderne la voce. Invocatelo, seguitelo, imitatelo! La sua intercessione non mancherà di ottenervi, anche nelle situazioni più ardue, fortezza, buon umore, pazienza e perseveranza.


XX/XX/2000
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Tino Bedin