i-t51
Lettera dal Senato. 41
24 settembre 2000
Il popolarismo veneto si è
decisamente incamminato verso il futuro
Guardare insieme
per vedere avanti
Una proposta nuova, alla quale non
può mancare il riferimento religioso, come ricchezza per una società che si interroga
sempre più sui destini delle persone
di Tino Bedin
È nato il Partito
popolare veneto. Ed è destinato a vivere pienamente, perché proprio mentre nasceva
progettava già altre nascite, altre novità. Sabato 23 settembre a Mogliano Veneto il
popolarismo veneto ha riconfermato quella capacità di "futuro" che da oltre un
secolo il cattolicesimo sociale del Veneto sa vivere e proporre nei momenti più incerti
della nostra società.
Non è poco per un congresso che alcuni ritenevano non indispensabile o addirittura
inutile. Non che questi alcuni avessero del tutto torto: se le cose di cui discutere
fossero rimaste tutte dentro un movimento politico minoritario ed incerto, non ci sarebbe
stato davvero nulla da decidere di socialmente rilevante. La scelta del nuovo segretario,
il cambiamento dello statuto, avrebbero interessato gli iscritti. Ma dall'insieme degli
interventi e dalle decisioni che ne sono emerse si è capito che il popolarismo veneto ha
iniziato una nuova sfida, una nuova proposta. Si tratta di posizioni esplicite nei
documenti, nella scelta di Margherita Miotto come segretario regionale dopo una relazione
che ha guardato attorno più che dentro, nel documento che Ivano Sartor ha contribuito a
suggerire e a definire; ma anche implicite nel clima generale dei congressisti, disposti a
provare, pronti a sentire Massimo Cacciari non come un ospite ma come una parte del
proprio futuro.
Nella società veneta e
in Europa
Il Partito popolare veneto nasce come
movimento politico federato al Partito popolare italiano per tentare di rappresentare
meglio, insieme ad altri, il futuro del Veneto.
La regionalizzazione è importante perché significherà dare gambe politiche a quelle
riforme amministrative che l'Ulivo ha già approvate ed anche a quei cambiamenti
istituzionali che il Parlamento punta rendere operativi prima della fine della
legislatura. La regionalizzazione sarà importante - spero - anche in funzione dell'Europa
e del dialogo che il Partito popolare veneto riuscirà a stabilire con altre realtà
politiche non italiane all'interno dell'Unione europea. L'Europa federale che stiamo
costruendo avrà bisogno di regioni e di partiti. Il Veneto si prepara anche così ad
essere europeo.
Determinante è poi la scelta politica, scritta anche nel nuovo statuto, che non
circoscrive alla dimensione del partito l'orizzonte delle scelte e delle proposte
politiche. Credo anch'io che oggi la scelta della coalizione plurale e del percorso verso
un nuovo soggetto politico sia indispensabile ed inevitabile: per i numeri, certo, ma
soprattutto per creare un'offerta politica più adeguata alla società in cui viviamo e
che chiede di essere interpretata.
La segnaletica della
vita nel percorso politico
Questo congresso aveva per titolo
"Insieme per… guardare avanti". L'assemblea lo ha bene interpretato, ma
credo che ora lo sforzo progettuale richieda di rovesciare l'ordine della parole del tema
del congresso. Ad esempio così: "Guardare insieme per vedere avanti". Dove
"insieme" non è più un modo di essere interno al Partito popolare, ma è la
condizione in cui esso si mette nei confronti della gente veneta.
Guardare insieme alla società consente di vedere meglio avanti e di seguire in questo
percorso non i "cartelli" delle strade della politica (coalizioni, premier,
elezioni), ma i "cartelli della vita" (povertà, immigrazione, clonazione,
biotecnologie, bambini, mamme e lavoro, Europa e diritti civili). Seguire questi cartelli,
servirà ad un movimento politico per capire e per farsi capire.
Serve anche a costruire davvero un nuovo soggetto politico. Non c'è solo la collocazione
geografica nel pianeta dei partiti e non bastano l'alternatività al centro-destra e la
distinzione dalla sinistra. Quello che si è cominciato a realizzare qui in Veneto
crescerà e resisterà, si diffonderà e sarà amato a condizione che esprima anche una
comune ricerca di contenuti su temi, come quelli scritti sui "cartelli della
vita".
Ci si è interrogati a lungo, ci si sta interrogando sulle ragioni che non hanno
consentito all'Ulivo di produrre quello che pareva possibile: una sintesi creativa di
culture e storie politiche che della loro originalità facessero ricchezza e non
debolezza. Le ragioni sono molte. Dal mio osservatorio parlamentare, mi pare che non
ultima sia stata la difficoltà dinanzi alla quale si è trovato in questi anni l'Ulivo
ogni volta che ha dovuto fare i conti, in Parlamento e nella società, con questioni ad
alta intensità etica, tradizionalmente terreno di scontro tra la sensibilità laica e
quella cattolica.
C'è la persona nella
politica che interessa la gente
Nel momento in cui decidono di incamminarsi
per una strada assieme a molti altri compagni, i popolari veneti devono avere presente
questa difficoltà e risolverla prima.
Per poter "vedere avanti", ecco un'altra serie di questioni da "guardare
insieme". Sono le questioni che riguardano lo stato giuridico della vita personale,
con particolare riferimento alla sua origine, alla sua fine, alla sua riproduzione. Sono i
temi della sessualità, della famiglia, dell'educazione. Ricordo il tema spesso
ricorrente, non solo in parlamento ma anche in molti consigli regionali o locali, del
trattamento giuridico delle famiglie di fatto o delle iniziative di prevenzione
dell'aborto.
Su questi temi, che sempre più conquistano centralità nella discussione sul futuro del
genere umano e quindi della politica che interessa alle persone, la giustapposizione delle
culture tradizionali, con la rinuncia al dialogo e alla costruzione di una cultura
politica comune, sarebbe una limitazione insormontabile per la federazione centrale.
Insormontabile per l'opinione pubblica, che non avrebbe un "insieme" in cui
riconoscersi e da ampliare. Insormontabile anche al futuro della federazione, che
risulterebbe gracile (come lo è stato finora l'Ulivo),se ponesse se stessa come risposta
interna alla politica e non come proposta socialmente condivisibile.
Questa limitazione del resto offrirebbe, come ha offerto, al centrodestra argomenti a
sostegno della tesi propagandistica, che dipinge il centrosinistra come un accordo di
potere, che può reggersi solo a condizione di rimuovere o accantonare almeno una parte
significativa delle grandi questioni di principio che interpellano l'intelligenza e la
coscienza dell'umanità.
Questa è la prima sfida che la federazione centrale presenta: andare oltre la politica
per "guardare insieme" le persone del Veneto, la loro vita, il loro futuro. Per
i popolari veneti è una sfida impegnativa ma non impossibile, perché ad essa si applica
una attitudine che hanno imparata dal Concilio, quella del dialogo.
Il popolarismo veneto è
"religioso"
La seconda sfida è collegata a
questa. Essa, a dire il vero, la precede: precede il dialogo perché chiede di
interrogarsi sulla propria identità.
Io credo che l'identità popolare da vivere nella coalizione non può prescindere
dall'essere Chiesa: laici cristianamente ispirati che vivono la loro missione nella
politica.
Da questo punto di vista il documento congressuale va certamente arricchito. Il richiamo
alla gente veneta, alla sua vita, alle sue caratteristiche sociali ed economiche è
importante ma non determinante per i popolari. Determinante nella storia sociale del
Veneto del secolo che si conclude è stato il riferimento a valori religiosi prima che
sociologici e proprio perché religiosi più stabili, meno individuali: valori personali e
comunitari.
Questa componente dell'identità veneta e popolare va affermata e vissuta, non come
distinzione ma come arricchimento per tutti e come riferimento per chi la sente propria.
Essa, del resto, risulta indispensabile anche perché è in corso una sfida politica
concreta su questo terreno.
Al suo sorgere, Forza Italia aveva al centro della sua proposta politica la
"rivoluzione liberale e liberista"; il suo modello era la signora Tatcher, il
suo slogan "meno Stato, più mercato". Oggi Forza Italia non ha abbandonato il
programma liberista, ma cerca di ammobidirne l'impatto con la società con una proposta
politica nella quale il superamento della frattura laici-cattolici ha un ruolo di primo
piano. Con Emmanuel Mounier si può dire che la destra propone un "cristianesimo
borghese", un cristianesimo minimo, la cui funzione sociale è quella per un verso di
addolcire la durezza del liberismo, per un altro verso di favorire il formarsi di un
blocco moderato potenzialmente maggioritario.
Il crescere delle prospettiva post-democristiana nello schieramento di centro-destra,
rende ancora più urgente organizzare una proposta politica innovativa ed insieme radicata
nel Veneto.
Con semplicità, i popolari veneti oggi hanno davanti a loro, nel fare politica, anche
questo compito: continuare a vivere quella scelta conciliare; coniugare la politica alla
vita delle istituzioni, ma soprattutto alla vita dei poveri, delle persone, delle
famiglie. Il progetto è ancora quello di De Gasperi, è ancora quello di un cattolicesimo
democratico che non rinuncia alle proprie proposte ma accetta di partecipare ad una
sintesi più vasta, con maggiore capacità di interpretazione dell'opinione pubblica. Lo
strumento è quel dialogo che, dopo il Concilio e sotto la spinta di Papa Paolo VI e di
Vittorio Bachelet, prese nell'Azione cattolica il nome di "scelta religiosa". E'
una scelta anche per l'oggi: rompendo ogni collateralismo, essa dà alla comunità
cristiana capacità di ascolto e di parola con l'uomo contemporaneo. Senza promettere
miracoli, perché da cristiani sappiamo che non è questo il nostro compito.
Lasciamo a chi "vende" la politica promettere i miracoli. Non dimenticando però
le parole pronunciate da Giovanni Paolo II al grande Giubileo dei giovani a Tor Vergata:
le ideologie politiche che promettono agli uomini il paradiso in terra, si preparano a
costruirgli un inferno.
24
settembre 2000 webmaster@euganeo.it |
![]() |
il
collegio senatoriale di Tino Bedin |