RASSEGNA STAMPA

La Repubblica,
22 ottobre 2001

Berlusconi i veri conti con la giustizia
Dopo la sentenza della Cassazione

di Giuseppe D'Avanzo

Ha qualche ragione Silvio Berlusconi a protestare dello scarsissimo rilievo dato dai giornali italiani alla sentenza della Cassazione che lo ha assolto dall'accusa di corruzione. In fondo, è una buona notizia per il Paese, e per noi, sapere che non ci governa un corruttore. Ci rende l'animo più leggero avere la consapevolezza che il capo del governo non è un imprenditore abituato a corrompere pubblici ufficiali per rendere più prosperi i suoi affari, uso a condizionare il mercato e ad avere ragione della concorrenza, dunque a deformare quelle regole liberali in nome delle quali gli italiani lo hanno mandato a Palazzo Chigi.
Vale la pena dare un giusto risalto a un'assoluzione che rimette in sesto la reputazione del capo del governo in un momento in cui sarebbe utile che il governo italiano e il suo premier avessero una buona reputazione e una solida rispettabilità nel mondo. Il fatto è che quella buona notizia (Berlusconi non è un corruttore) nasconde una cattiva, cattivissima notizia. Infatti, se non ci sono prove sufficienti per poter dire che Silvio Berlusconi fosse a conoscenza dei trucchi utilizzati dai suoi manager per non pagare le tasse dovute, la sentenza della Cassazione conferma - definitivamente - che la Fininvest ha corrotto gli uomini della Guardia di finanza. Non è una buona notizia. E' una pessima notizia che Silvio Berlusconi non sembra prendere nemmeno in considerazione nella lettera che ha inviato sabato al "Corriere della Sera".
In questa missiva, come abitualmente gli capita, Silvio Berlusconi confonde il gioco. Grida con qualche indignazione, per dirne una, che la sua incriminazione "ha cambiato la storia d'Italia" perché "fu all'origine del ribaltone". Come tutti ricorderanno, il primo governo Berlusconi saltò per una debolezza intrinseca della coalizione politica di centrodestra e non per effetto di un avviso di garanzia (e meno male). Quel che conta dire qui è altro. Se è vero come scrive il presidente del Consiglio alla luce della Cassazione che "Silvio Berlusconi non ha corrotto nessuno", è altresì vero che la sua Fininvest ha invece messo mano alla corruzione, anche se Berlusconi non se ne cura. Il gruppo di Segrate si era difeso per sette anni invocando la concussione: non siamo stati noi a voler corrompere gli ufficiali della Guardia di finanza venuti nei nostri uffici per controllare i conti, ma sono stati loro a chiedere tangenti per chiudere gli occhi una volta messo piede nei nostri uffici. La Cassazione ha bocciato questo argomento. Ribaltandolo.
Sono stati i dirigenti della Fininvest a fare dei pubblici ufficiali dei corrotti. Ora chi si è presentato all'opinione pubblica, e agli elettori, come un uomo operoso, capace di fare, di costruire un'impresa dal nulla dovrebbe dar conto del come quell'impresa è cresciuta e prosperata fino a diventare, come ha ammesso anche Massimo D'Alema, "una risorsa nazionale". Lo ha fatto, dice la sentenza che "restituisce l'onore" a Silvio Berlusconi, anche attraverso la corruzione di pubblici ufficiali. E' un problema o non è un problema per il Silvio Berlusconi presidente del Consiglio? Ha qualche parola da spendere su questa questione? Com'è evidente, non parliamo più di responsabilità penale. Anche, se converrà come sempre attendere le motivazioni della sentenza, la soluzione della Cassazione va rispettata (e conviene che anche i centurioni del premier imparino a farlo). Restano però sul terreno le responsabilità personali di Berlusconi e la responsabilità politica del presidente del Consiglio.
Due differenti responsabilità che sollecitano qualche domanda. Una volta appreso che alcuni suoi top manager sono dei corruttori, quali provvedimenti il fondatore di FininvestMediaset ha consigliato ai suoi figli, che oggi amministrano l'azienda, per allontanare dalla sua impresa chi ha violato la legge e tradito la sua fiducia? Perché è parlamentare di Forza Italia quel Massimo Maria Berruti, già ufficiale della Finanza e manager della Fininvest, condannato per favoreggiamento? Quali procedure e regole si è data FininvestMediaset per evitare che si ripetano le illegalità del passato? E ancora, per affrontare le responsabilità politiche del capo del governo: ritiene che le routines che oggi regolano i controlli della Guardia di finanza sulle imprese preservino i pubblici ufficiali dalle offerte degli imprenditori e gli imprenditori dalle pressioni dei pubblici ufficiali? Ritiene che le leggi oggi in vigore garantiscano correttezza e trasparenza nel rapporto tra impresa e Stato?
Accanto alle legittime ragioni di un uomo, che a lungo accusato si vede considerare assolto, si sarebbe voluto leggere nella lettera di Berlusconi le risposte a queste domande di un imprenditore che non governa più soltanto un'azienda ma il Paese. E tuttavia comprendiamo l'opportunità per il presidente del Consiglio di non affrontare queste questioni. Che avrebbe potuto dire? Che la sua maggioranza ha modificato la legge sul falso in bilancio che rende più semplice truccare, senza dolorose conseguenze, i conti delle aziende con una sana benedizione alle regole del mercato e alle norme che regolano la concorrenza? O che la sua maggioranza si appresta a legiferare senza danno per chi dispone il rientro di capitali costituiti all'estero? O che la sua maggioranza ha varato una indecente legge sulle rogatorie internazionali che, retroattiva, cancella di fatto i processi in corso e per il futuro rende più tortuoso il lavoro della magistratura nell'accertare nuove responsabilità penali?
Mentre la Cassazione liberava il capo del governo da ogni responsabilità, la quarta sezione penale del tribunale di Milano ha reso note le motivazioni della sentenza che ha condannato l'avvocato Giovanni Acampora a sei anni di carcere. Questo avvocato Acampora con la complicità di Cesare Previti e di magistrati come Renato Squillante - dice la sentenza - avevano costituito una "struttura parallela" capace di fornire "risposte anticipate e certe" sull'esito dei processi e di condizionare l'esercizio della giustizia. Per dirla chiara, c'era a Roma un network di avvocati e magistrati che manipolava - pronto cassa - le sentenze. Di questo network faceva parte anche l'avvocato della Fininvest, e oggi onorevole di Forza Italia, Cesare Previti. Di questo network, si è avvalsa per risolvere qualche problema anche la Fininvest di Silvio Berlusconi.
Ha qualcosa da dire Silvio Berlusconi per vedersi restituire totalmente, come chiede, la sua onorabilità? Chiederà forse che Cesare Previti, che ha tradito la sua fiducia, sia allontanato come Massimo Maria Berruti dalle file del suo partito? Il presidente del Consiglio proporrà, con la sua maggioranza, pene più severe per i magistrati che si lasciano corrompere? Sarebbe un sollievo sentire il capo del governo affrontare anche queste questioni. Ma non lo farà. E allora non rimproveri più di tanto i giornali che hanno dato scarso rilievo alla sua assoluzione perché in fondo, a ricordarli tutti, i suoi comportamenti politici e amministrativi sono più prossimi alle opacità della sua Fininvest che non alla sua personale innocenza.

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10 ottobre 2001
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