Intervento Per l'Unione non è più tempo di Cig Serve uno strumento più flessibile per la modifica dei trattati europei
Una conferenza di rappresentanti dei governi sta esaminando, già da qualche settimana, il progetto di Costituzione europea elaborato dalla Convenzione sotto la presidenza di Valéry Giscard d'Estaing. I singoli Paesi hanno formulato in maniera approfondita le proprie posizioni. Si tratta ora di entrare nella vera e propria fase negoziale, nella speranza di raggiungere in dicembre un compromesso il più dinamico possibile. Ciò richiederà non soltanto una buona volontà a livello collettivo, ma anche un reale spirito europeo. Una conferenza intergovernativa (Cig) rappresenta infatti una procedura solenne e gravosa, basata sulla regola dell'unanimità con la successiva ratifica da parte dei singoli Stati membri. Oggi, tale procedura costituisce tuttavia l'unico strumento per adottare il progetto di Costituzione, che definisce il quadro istituzionale, i diritti fondamentali dei cittadini nonché i valori, gli obiettivi e le competenze dell'Unione europea. Non dovremmo forse interrogarci sulla proliferazione di tali conferenze? In meno di 20 anni, ne sono state organizzate quattro, conclusesi con altrettanti trattati: atto unico europeo, trattato di Maastricht, trattato di Amsterdam, trattato di Nizza. Di fatto, il ricorso a tale procedura solenne è diventato quasi costante, essendo indispensabile per qualsiasi revisione, anche minore, del diritto primario dell'Unione. Si tratta di un vero problema. L'Italia, che attualmente presiede la Cig, non l'ha del resto eluso ed ha aperto recentemente un dibattito sulla questione. Con oltre un centinaio di emendamenti nazionali riguardanti il capitolo sulle politiche europee e appena quattro riunioni operative da qui alla fine di dicembre, la Cig già si insabbia nelle questioni di natura istituzionale. La necessità di prevedere in futuro un meccanismo più semplice per la revisione dei trattati appare evidente. L'importante è che le politiche dell'Unione possano adeguarsi alle aspettative degli europei, destinate a mutare. Si pensi, ad esempio, alla politica agricola comune (Pac). Gli articoli degli attuali trattati riguardanti quest'ultima sono stati semplicemente ricopiati dalla Convenzione nel progetto di Costituzione. Essi si riferiscono ancora agli obiettivi del 1957, quando l'insufficienza degli approvvigionamenti rappresentava la principale preoccupazione. E la sicurezza alimentare? Lo sviluppo sostenibile? Oggi queste esigenze non trovano riscontro da nessuna parte. Attenzione: alcune politiche europee potrebbero essere costrette a subire una rapida evoluzione. Quando è scoppiata l'epidemia della polmonite atipica abbiamo infatti constatato che l'Unione europea non ha potuto agire in maniera coordinata, in quanto non dispone dei mezzi giuridici per rispondere tempestivamente a queste crisi di natura transfrontaliera, o ad eventuali attacchi terroristici con armi biologiche. Dovremo organizzare una Cig, con tutte le ratifiche nazionali che essa comporta, ogni volta che delle situazioni impreviste rivelano le lacune dei trattati europei? Tale problema si pone in maniera acuta anche per le politiche riguardanti le imprese europee. Proprio quando gli sviluppi della globalizzazione risvegliano l'interesse per una politica industriale europea basata su misure più incisive delle semplici valutazioni o delle "migliori pratiche", non aiutiamo certo le nostre imprese, se impediamo a noi stessi di adeguare i trattati in funzione delle esigenze, inserendo una clausola di revisione più flessibile. Resta ovviamente da stabilire come introdurre tale flessibilità. La Commissione ha proposto una procedura particolare: il Consiglio europeo, che riunisce i capi di Stato o di governo, potrebbe modificare gli obiettivi e gli strumenti delle politiche europee mediante una decisione adottata da una maggioranza di cinque sesti degli Stati, con l'accordo del Parlamento europeo. Tale procedura non necessiterebbe dunque della ratifica da parte dei Parlamenti nazionali. É evidente che l'unanimità e la ratifica da parte di tutti i Paesi resterebbero obbligatorie qualora una modifica della Costituzione comportasse un cambiamento delle competenze dell'Unione europea o degli equilibri istituzionali. Com'è noto, l'Unione non è né uno Stato federale né uno Stato tout court. La Costituzione americana poteva essere ratificata soltanto da nove dei 13 Stati fondatori. La Costituzione tedesca entrò in vigore nonostante l'opposizione della Baviera. Nel caso dell'Unione europea, ciò non è né possibile né auspicabile. L'Unione è più che una mera organizzazione internazionale. Il termine "Costituzione" simboleggia un destino comune, fondato non soltanto su un semplice trattato internazionale. Non ritengo pertanto ragionevole che, ad eccezione di alcune questioni altamente politiche, ogni minima modifica di uno dei 465 articoli della Costituzione o dei 123 protocolli allegati ai trattati richieda la convocazione di una Cig seguita dalla ratifica da parte dei singoli Stati. Solo tornando alle fonti dell'integrazione europea possiamo preparare l'Unione al grande salto costituzionale. Affinché sia degna del suo nome, la Costituzione europea deve essere fatta per durare, il che significa che deve poter evolversi nei dettagli, mantenendo integri i suoi elementi fondamentali.
*Commissario europeo per la Politica regionale e la riforma istituzionale
|