Popolazione. Due studi demografici segnalano una rivoluzione legata alle nascite in calo e agli immigrati in aumento Veneto, cambia la mappa di chi conta
Tutto sta a decidere dove vogliamo andare, e in quanti. Perché oggi come oggi il Veneto dove si nasce poco e si lavora tanto ha di fronte a sè due poli estremi, da qui a metà secolo, quindi nell'arco di un paio di generazioni: o tiene le porte aperte all'immigrazione, e allora passerà dai 4 milioni e mezzo di abitanti attuali a oltre 6; o le chiude del tutto, e allora scenderà a 3 milioni e mezzo. Con evidenti impatti, nell'uno e nell'altro caso, sia sulla struttura sociale che su quella produttiva. La mappa del Veneto prossimo venturo sta in un dossier elaborato da Enzo Migliorini, per conto di Veneto Lavoro. E si intreccia con una ricerca coordinata da Paolo Feltrin per l'Osservatorio Economico di Treviso, che mette la lente sulla Marca, ma inquadrandola nel contesto regionale. E qui l'analisi si fa interessante: perché non basta dire di quanto aumenterà o diminuirà la popolazione veneta nel suo complesso; ai fini pratici, conta vedere come queste variazioni si distribuiranno nelle singole province. Ne esce un'auentica rivoluzione, come si vede dal grafico a fianco, che mette a confronto la situazione attuale con quella prevista per il 2020 in due scenari diversi: il primo bloccando i flussi migratori; il secondo tenendo aperte le porte, sia pure con delle regole. Senza immigrazione, tutte le province perderebbero popolazione ; Venezia più di ogni altra, scivolando dal terzo posto odierno (quasi a pari merito col secondo di Verona) al quinto, e con un calo addirittura del 63 per cento. Padova, pur perdendo, riuscirebbe comunque a mantenere il primo posto; Belluno rimarrebbe il fanalino di coda. Nello scenario di arrivo di immigrati, Verona passerebbe al primo posto, ma di pochissimo; il vero balzo lo farebbe Treviso, che dalla quinta posizione attuale salirebbe alla seconda, con un incremento percentuale del 170 per cento; un forte incremento avrebbe pure Vicenza, e uno più modesto Padova, mentre perderebbero comunque popolazione Venezia, Rovigo e Belluno. Non sono solo aridi dati statistici. L'entità della popolazione serve come parametro per molte scelte: ad esempio, la delimitazione dei collegi elettorali, la dislocazione dei servizi pubblici, gli incentivi economici, le valutazioni ai fini degli investimenti sui mercati pubblicitari, le politiche infrastrutturali. Dunque, un Veneto che sicuramente da qui a una quindicina d'anni sarà radicalmente diverso rispetto a quello attuale, dopo decenni di assetto tradizionale. Lo studio di Migliorini sull'intera regione parte dalle nascite: nel 2001, in regione sono nati 45.000 bambini. Che sono certo più dei 35.000 del 1987 (il punto più basso), ma comunque molti di meno dei circa 80.000 dei primi anni Sessanta, l'epoca del baby-boom. Il cambio di tendenza rispetto alla fine degli anni Ottanta reca anche, e in misura consistente, la firma delle donne immigrate. E in futuro? Nei prossimi cinquant'anni, la risalita potrebbe continuare, fino a giungere a quota 50.000 l'anno se il movimento demografico seguisse un trend naturale; in tali condizioni, già nel 2010 oltre 10.000 bimbi nati in Veneto proverrebbero da donne immigrate nel decennio, mentre i nati dalle attuali residenti scenderebbero già a 35.000. Nel 2030 oltre 20.000 nati su quasi 50.000, dunque poco meno della metà, proverrebbero dalle immigrate dopo il 2000; mentre nel 2050 i nati dalle immigrate sarebbero ben 32.000 su 50.000. Ma se, per ipotesi, si decidesse di chiudere le porte all'immigrazione, allora si scenderebbe a 35.000 nascite (quindi gli stessi livelli del 1987) già nel 2010. E nel 2050 i nuovi nati sarebbero appena 20.000, col risultato di portare la popolazione veneta all'estinzione nel giro di alcune generazioni. In mezzo ci stanno gli scenari intermedi proposti da Migliorini, e che vedono comunque il numero complessivo dei nati mantenersi costantemente attorno alle 45.000 unità. Il passo successivo è quello di considerare il quadro nella sua componente economica, che in Veneto assume un peso decisamente rilevante. La ricerca considera prima di tutto la popolazione in età lavorativa ristretta, quella cioè tra i 20 e i 49 anni, che oggi in regione è di circa 2 milioni di persone. Con porte aperte, dovrebbe registrare un leggero aumento, mentre a porte chiuse si potrebbe registrare la perdita di 200.000 unità entro il 2010, per dimezzarsi, scendendo sotto il milione, prima del 2050. Se poi si guarda al complesso dell'intera popolazione in età lavorativa, cioè tra i 15 e i 64 anni, nel primo caso si arriverebbe a 3,7 milioni entro il 2050, nel secondo si scenderebbe ad appena 1,7 milioni. Tutto questo ha evidenti ricadute sulla struttura complessiva della popolazione . Oggi, l'età media dei veneti è di 42 anni (40,2 per i maschi, 43,7 per le femmine), ed è comunque destinata a salire in misura sensibile qualsiasi sia lo scenario tendenziale preso in esame: circa 2 anni in più entro il 2010, circa 7 anni in più entro il 2050. Senza l'apporto degli immigrati (che mediamente sono molto più giovani), l'età media della popolazione veneta complessiva salirebbe a metà secolo a circa 53 anni per i maschi, e a oltre 56 per le femmine. E se si chiudessero le porte all'immigrazione, nel 2050 ci sarebbero quattro ultrasessantacinquenni per ogni giovane sotto i 15 anni. È chiaro che in ogni caso la società dovrà prepararsi a fronteggiare il carico specifico derivante dai "grandi anziani", quelli cioè con più di 80 anni, che potrebbero arrivare sopra il 40 per cento nel 2050.
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