RASSEGNA STAMPA

Avvenire
19 marzo 2003
di Romanello Cantini

Le scelte di Bush
Se gli Usa smentiscono se stessi

Non c'è bisogno di essere anti-americani di professione. Anzi è lecito riconoscere, anche in queste ore drammatiche, il contributo che gli Stati Uniti hanno dato nella loro storia alla nascita e all'affermarsi della democrazia nel mondo. Nemmeno oggi possiamo dimenticare che per ben due volte i soldati americani sono arrivati sul nostro continente a salvare l'Europa. E perfino per gli ultimi cinquant'anni non possiamo scordare il ruolo svolto dagli Stati Uniti nel contenere e alla fine vincere una minaccia rispetto alla quale le nazioni europee erano deboli e qualche volta persino tremanti. E tuttavia, nonostante questo, anzi proprio per questo, rimaniamo stupefatti di fronte al tunnel in cui la più grande potenza del mondo si è voluta cacciare e da cui non ha voluto ritirarsi nonostante l'ostilità di tanta opinione pubblica, l'isolamento al Palazzo di Vetro, il monito delle più alte autorità morali a cominciare da quelli ripetuti quasi ogni giorno dal Papa. Il nostro doloroso sbigottimento nasce anche, forse a differenza di altri, da questa lunga stima che è come sospesa, se vogliamo, da una fiducia delusa. L'America che abbiamo conosciuto cercava alleanze, costruiva reti di solidarietà internazionale, era talvolta più generosa contro i nemici dei suoi alleati europei, non esitava a proteggere a Suez gli Stati arabi contro l'ultima avventura coloniale del vecchio continente. Ora, in poco più di qualche settimana, ha umiliato ciò che proprio l'iniziativa americana aveva suscitato in oltre cinquant'anni, dalle Nazioni Unite alla Nato.
Diceva a suo tempo il senatore Fulbrigth che è proprio dei conservatori riservare il massimo rispetto del diritto internazionale e delle istanze che garantiscono l'ordine mondiale. Ma Bush si è assunto il ruolo di giudice unico, di decidere per tutti e quasi contro tutti un intervento con la presunzione inappellabile del big brother (Fratello maggiore) che Theodore Roosevelt riservava solo ai Paesi vicini del cosiddetto "orto di casa".
Quel che seguirà da questa decisione sarà, temiamo, più grave della violenza condensata in alcuni giorni o in alcune settimane. Sappiamo purtroppo che non si può occupare una ex sede di califfo come Baghdaad e invadere un Paese nel cuore dell'Islam senza offrire il fianco a chi vuole confondere Stati e religioni, popoli e governi, misfatti e civiltà.
Alle attese dei disperati del pianeta abbiamo venduto fin qui soprattutto speranza, promesse di fiducia nel buonsenso dei grandi, nella loro potenza responsabile, nella loro compassione benevola, in un dialogo indispensabile anche se difficile e spesso deludente. Ora, di fronte a che sceglie l'arroganza rispetto al consenso, potrebbe venire meno la fede in una umanità meno divisa anche sul dramma della povertà, sul degrado del pianeta, sui rapporti ineguali fra gli Stati, sulle regole commerciali, sulla giustizia internazionale, sulla stessa lotta al terrorismo e alle armi di distruzione di massa che pure sono sventolate ore come bandiere ma solo contro un brandello del mondo.
Se la potenza divorzia dalla saggezza, la domanda sul futuro del mondo, su un suo ordine possibile, sul senso stesso delle cose diventa ancora più tragica.

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24 marzo 2003
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Tino Bedin