RASSEGNA STAMPA

Il Sole 24 Ore
17 agosto 2002
di Enrico Letta*

Intervento
É il debito la vera anomalia
É sbagliato pensare l'Europa come vincolo - All'Italia servono riforme per la crescita

La difesa del Patto di stabilità è un mero tributo a vecchie retoriche filoeuropeiste prive del pragmatismo e della fantasia di cui la difficile situazione economica oggi necessita? Questa domanda, dopo il susseguirsi di dichiarazioni e di commenti di questi giorni, pone sicuramente più di un dubbio a coloro che guardano con giustificata preoccupazione alle sorti dell'economia italiana e che, poco interessati alla polemica politica quotidiana, scrutano ogni possibile spiraglio per uscire dalla crisi.
E se fosse vero che, mettendosi d'accordo con altri Paesi più o meno in difficoltà come noi - la Francia o la Germania - e sconfiggendo la euroburocrazia, si aprirebbe la possibilità del tanto sospirato abbassamento delle tasse e si troverebbero anche le risorse per gli investimenti infrastrutturali? É molto forte la tentazione che sta dietro alle argomentazioni che hanno aperto improvvisamente questa discussione. Credo che siano argomentazioni in gran parte fuorvianti e controproducenti.
É innanzitutto necessario ribaltare uno dei più gravi equivoci che sta prendendo piede. L'Europa non è un vincolo, non è una camicia di forza, non è un elemento oppressore. Dall'Europa vengono e sono venute tutte le norme che hanno obbligato l'Italia a liberarsi dai vincoli, quelli veri, quelli dei monopoli, dell'assenza di concorrenza e di rispetto per il consumatore. Dall'Europa è venuto il sacrosanto obbligo a tenere bilanci statali in ordine e a ridurre il deficit e il debito pubblico. Se non ci fossero stati questi "vincoli" l'Italia avrebbe probabilmente ancora le partecipazioni statali, avrebbe una moneta debole, continuerebbe ad usare le risorse di domani per risolvere i problemi di oggi e manterrebbe i suoi consumatori sotto politiche rigorosamente monopolistiche. Quei vincoli sono oppressivi o sono invece sfide che oggi ci consentono di competere alla pari con i nostri partner europei? C'è semmai da chiedersi perché il nostro Paese ha la tendenza a mantenere comportamenti virtuosi solo in presenza di un chiaro vincolo esterno. Al contrario di quanto è stato evocato (le prese di posizione di cinque ministri, in assenza di smentite hanno configurato nell'opinione pubblica italiana, europea e, soprattutto dei mercati finanziari una decisione consolidata all'interno del Governo), il Patto di stabilità e una sua rigorosa interpretazione, come ci ricordano Romano Prodi e Tommaso Padoa-Schioppa, rappresentano oggi l'espressione più profonda dell'interesse nazionale italiano. Vi è infatti, alla base delle teorie favorevoli a forme di allentamento del Patto di stabilità, una valutazione che, per forza d'inerzia rispetto agli anni passati, fa delle cifre del deficit l'elemento centrale della discussione. Si immagina, di conseguenza, che una modifica di quel parametro o un'intepretazione più flessibile delle tendenze dei deficit nazionali verso il pareggio di bilancio, dischiuda all'Italia ampie prospettive di utilizzo di risorse per sostenere la crescita.
In realtà una simile tesi non fa i conti con la mutata situazione successiva alla nascita dell'Euro che vede, già oggi e sempre più in prospettiva, l'attenzione concentrarsi più che sul deficit, sul peso del debito pubblico di ogni singolo Paese, visto ormai come quota parte di un complessivo debito pubblico di Eurolandia. In questa logica il problema italiano passa, purtroppo, dalla ormai non difficile discussione su frazioni di punto del rapporto tra deficit e Pil alla ben più drammatica considerazione che una metà circa del debito pubblico di Eurolandia è sulle nostre spalle. Questo è il motivo del doppiopesismo del quale spesso ci lamentiamo in sede comunitaria. Quello che ad altri viene facilmente concesso, si dice, per l'Italia è sempre oggetto di umilianti esami. Dalle politiche differenziate per il Sud, alla creazione di Infrastrutture Spa. Finché la discesa del nostro debito pubblico non riprenderà una tendenza e una velocità adeguata rimarremo sempre dei sorvegliati speciali. Vi è un problema di stock complessivo del debito per il quale ci vorranno ancora molti anni, ma vi è anche un problema di velocità della discesa ed è su questo punto che si deve concentrare l'attenzione.
Il problema della crescita del nostro Paese non può essere affrontato con scorciatoie che finiscono dopo poco per rivelarsi controproducenti. É un problema legato a criteri di competitività del sistema, a convinte politiche di liberalizzazione e a un completamento dei processi di privatizzazione, a equilibrate riforme del mercato del lavoro e del Welfare e a sane politiche a favore del Mezzogiorno.
Anche quindi con un allentamento del Patto di stabilità o della sua applicazione, i vantaggi immediati di cui godrebbero Paesi come la Francia e la Germania, privi dei nostri problemi di debito pubblico, sarebbero in gran parte preclusi all'Italia. Quei ridotti vantaggi immediati per noi avrebbero come effetto l'arresto della lenta discesa del debito pubblico e finirebbero, in una prospettiva tutt'altro che lontana, per aumentare la tendenza al doppiopesismo comunitario e il nostro ruolo di sorvegliato speciale. Con tutte le concrete e negative conseguenze del caso.

*responsabile economico della Margherita

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21 agosto 2002
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