RASSEGNA STAMPA

Aggiornamenti sociali
giugno 2006
di Bartolomeo Sorge S.J.


Ripartire dalla Costituzione

Pubblichiano una sintesi dell'editoriale di Aggiornamenti sociali di giugno 2006.

"La Chiesa apprezza il sistema della democrazia, in quanto assicura la partecipazione dei cittadini alle scelte politiche e garantisce ai governati la possibilità sia di eleggere e controllare i propri governanti, sia di sostituirli in modo pacifico, ove ciò risulti opportuno" (Giovanni Paolo II, Centesimus annus [1991], n. 46). È puntualmente avvenuto il 9 e 10 aprile 2006, quando i cittadini italiani - i "governati" - hanno ritenuto opportuno sostituire in modo pacifico i "governanti", dopo averli "eletti" cinque anni fa e "controllati" per una intera legislatura.
Qual è il significato politico di questo risultato? La prima conseguenza importante è l'alt al "berlusconismo". Molte volte abbiamo denunciato i guasti prodotti dal conflitto di interessi che ha indotto il premier a preoccuparsi anzitutto di salvare il suo impero mediatico e finanziario e di sottrarre sé e gli amici ai processi nei quali erano coinvolti per gravi illeciti commessi in precedenza. Tuttavia, i danni maggiori causati al Paese dal susseguirsi di leggi ad personam, condoni e depenalizzazioni sono di natura morale, cioè la perdita di senso civico, di cultura delle regole e di tensione ideale. Il cattivo esempio dei governanti non fa che rafforzare la convinzione che i furbi, i potenti, gli evasori e i corrotti riescono a farla franca e a rimanere impuniti. Sta qui il vero limite intrinseco del "berlusconismo": nella concezione individualistica e utilitaristica della politica che, sul piano economico, porta a subordinare il lavoro alla produttività e la solidarietà all'efficientismo; sul piano politico, si traduce in un populismo insofferente di ogni regola e allergico a ogni forma di concertazione; sul piano sociale, genera conflittualità e antagonismo. Purtroppo, una sorta di "berlusconismo" si ritrova (sotto mentite spoglie) anche nelle frange estreme di un certo radicalismo libertario, che alligna nel centro-sinistra.
Senza una pacificazione morale degli italiani, non è possibile riprendere il cammino. Questa, però, si potrà ottenere soltanto ripartendo dalla Costituzione, ricuperando cioè i valori comuni contenuti nella Carta repubblicana, che in questi anni sono passati in secondo piano, a causa della caduta di tensione morale e ideale di cui dicevamo.
"Ripartire dalla Costituzione" comporta, in primo luogo, respingere decisamente con il referendum del 25 giugno la riforma costituzionale, approvata nel novembre 2005 con i soli voti della maggioranza. Nessuna riconciliazione sociale o pacificazione morale è possibile se l'equilibrio tra i poteri democratici è alterato, se il Presidente della Repubblica è declassato a figura decorativa, se il Capo del Governo gode di poteri esorbitanti senza efficaci controlli, se la devolution introduce il germe della rottura dell'unità nazionale, creando cittadini di serie A e di serie B e abbandonando a se stesse le Regioni più deboli a cominciare da quelle del Sud. La campagna referendaria, dunque, dovrebbe essere l'occasione per riscoprire le radici della nostra identità nazionale e ricomporre l'unità morale dei cittadini in un ethos condiviso, come seppero fare i Padri costituenti dopo la fine della dittatura fascista. Solo così si potrà mettere mano con coraggio alle necessarie riforme istituzionali, nella fedeltà ai principi fondamentali della Costituzione e con la collaborazione tra maggioranza e opposizione.
"Ripartire dalla Costituzione", in secondo luogo, è necessario per coniugare in modo nuovo i diritti inviolabili della persona alla vita, alla famiglia, al lavoro, alla libertà, alla salute, alla formazione; per dare vita a un federalismo non conflittuale, ma solidale, fondato sulla sussidiarietà responsabile delle autonomie locali nel rispetto della unità nazionale; per consolidare i rapporti di collaborazione tra Stato e Chiesa difendendo l'autonomia delle parti, ciascuna nel proprio ambito, attraverso un ripensamento del concetto di laicità in modo che la libertà religiosa e i diritti della Chiesa siano garantiti non meno che la legittima autonomia dello Stato e della legislazione; per rinnovare, infine, l'impegno dell'Italia per la pace nel mondo, attraverso il fermo ripudio della guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.
E i cattolici? In un simile contesto del Paese, la "questione cattolica" coincide ormai con la "questione democratica". Non è davvero più il tempo di storici steccati. Essendo se stessi, i cattolici collaborino fattivamente con gli altri cittadini a restituire un'animazione etica alla democrazia italiana, a ricuperare il senso della legalità e dello Stato, a ristabilire il corretto funzionamento delle istituzioni, a configurare rettamente la vita sociale, rispettandone la legittima autonomia e assumendosi la propria responsabilità. Questa è oggi la loro missione sul piano sociopolitico (cfr Benedetto XVI, Deus caritas est, n. 29).

sommario

rs-06-044
14 giugno 2006
scrivi al senatore
Tino Bedin