RASSEGNA STAMPA

La Repubblica
9 maggio 2006
di Andrea Bonanni

Due pesi e due misure
La complicità della Commissione europea con il governo Tremonti-Berlusconi

Dopo le indebite euforie con cui il commissario Almunia aveva accolto e cauzionato il fantasioso programma di stabilità italiano, che secondo Tremonti avrebbe dovuto portare ad una riduzione del deficit al 3,5 per cento nel 2006, la Commissione europea torna a più sobrie considerazioni sui nostri conti pubblici. Con le previsioni di primavera rese note ieri, Almunia annuncia che l´anno in corso si chiuderà con un fabbisogno al 4,1 per cento del Pil: una cifra uguale a quella del 2005 e completamente al di fuori del percorso di rientro del deficit eccessivo che l´Europa ci aveva assegnato.
Insomma: grazie anche alla complicità della Commissione, il governo Tremonti-Berlusconi ha buttato via uno dei due anni che ci erano stati concessi per rientrare sotto il tetto del tre per cento. E per di più adesso Prodi viene perentoriamente invitato a rispettare un accordo che non ha sottoscritto e che il governo uscente ha reso assolutamente inattuabile.
Se si dovesse fare un bilancio dei danni politici, oltre che di quelli economici, provocati dal disastroso gioco degli equivoci che si è intrecciato tra Roma e Bruxelles a cavallo del Natale scorso, la colonna delle perdite sarebbe affollata. L´Italia ha perso un anno. La Commissione ha perso la faccia e una buona dose di credibilità. L´Eurogruppo, che a rimorchio di Almunia e Barroso aveva approvato la finanziaria italiana, ha perso un´occasione per esercitare quel magistero politico a cui dice di aspirare. E adesso Prodi rischia di vedere messe in discussione le promesse elettorali che aveva fatto sulla base di conti rivelatisi, come al solito, truccati. Nella colonna degli attivi, per modo di dire, c´è solo il fatto che Tremonti e Berlusconi sono potuti andare a "Porta a Porta" in piena campagna elettorale a vantarsi del fatto che i conti pubblici italiani avevano ricevuto il benestare europeo. Non è servito a loro, né al Paese né all´Europa.
Resta da chiedersi perché la Commissione abbia vidimato, pur con qualche gesuitica cautela sui «rischi di attuazione», un programma di risanamento che nessun altra istituzione economica ha preso sul serio. La risposta ha molte facce. Un po´, lasciano capire a Bruxelles, perché dopo numerose insistenze per ulteriori correzioni e conseguenti aggiustamenti del Tesoro, Almunia si convinse che oltre la finanziaria-ter il governo non sarebbe andato. Un po´ perché il commissario spagnolo, traumatizzato da quanto è accaduto al suo predecessore Pedro Solbes, non ha mai voluto esporsi chiedendo misure di rigore che avrebbero potuto essere smentite dal Consiglio dei ministri. Infine perché nei confronti della Commissione il governo Berlusconi ha attuato una sapiente campagna di intimidazione.
L´operazione è cominciata il 25 ottobre con una lettera di protesta commissionata dal governo al nostro ambasciatore presso l´Ue dopo un´intervista di Almunia in cui il commissario, nella sua qualità di ex segretario del partito socialista spagnolo, discuteva sui pro e i contro della creazione del Partito democratico in Italia. La protesta, secchissima, invitava la Commissione ad astenersi da valutazioni che potessero interferire con la campagna elettorale in corso.
Ma, proprio perché evidentemente immotivata, la nota della Farnesina fortemente voluta da Tremonti conteneva in realtà un messaggio trasversale che è stato successivamente esplicitato in una serie di incontri a quattr´occhi: se la Commissione non avesse approvato la finanziaria italiana, ponendo così la questione del dissesto dei conti pubblici al centro della campagna elettorale, il governo italiano avrebbe risposto trascinando la Commissione e l´eurocrazia nella polemica pre-elettorale e additando Bruxelles come responsabile di tutti i mali italiani.
Per un collegio non esattamente eroico come è quella presieduta da Barroso, e già angosciato dall´euro-pessimismo montante, non c´era bisogno di ulteriori minacce. La tregua ufficiale è stata siglata nel corso dell´incontro tra Almunia e Tremonti, quando il commissario ha elogiato i conti pubblici italiani e il ministro dell´Economia, rimangiandosi la sua ben nota eurofobia, ha definito l´Europa come la stella polare del governo italiano.
Il risultato di questo inciucio, scioltosi come neve al sole il giorno dopo l´esito delle elezioni, rischia però di rappresentare un grosso problema per Prodi. La Commissione, infatti, ora si sente sul collo il fiato dei governi «rigoristi», che a marzo erano stati indotti ad approvare il programma di stabilità italiano salvo constatare poche settimane dopo, con la trimestrale di cassa, che le promesse appena consacrate già risultavano non mantenibili. E l´Europa, che ha concesso all´Italia due anni di tempo per rientrare sotto il tetto del tre per cento, non ha alcuna intenzione di concedere un terzo anno per compensare quello perduto dal governo Berlusconi.
Questo spiega la relativa morbidezza con cui oggi Almunia presenta previsioni economiche che pure fotografano una situazione disastrosa. Se infatti Bruxelles spingesse troppo per imporre al nuovo governo la serie di durissime manovre correttive che sarebbero necessarie per rispettare la scadenza del 2007, Prodi e il futuro ministro dell´Economia non avrebbero altra scelta che seguire la strada tedesca: accettare un ulteriore passo nella procedura per deficit eccessivo e pretendere in cambio un anno in più per tornare sotto il tetto del tre per cento.
Ma contro questa opzione, che pure l´Europa ha dovuto concedere alla Merkel, la Commissione e il Consiglio sanno di avere un´arma che per l´Italia risulta molto temibile: un possibile abbassamento del rating del nostro debito pubblico da parte della agenzie finanziarie internazionali. Se Prodi, sussurrano a Bruxelles, dovesse ammettere esplicitamente di non poter rispettare la marcia di risanamento dei conti per ottenere un anno in più, rischierebbe una sanzione da parte dei mercati che renderebbe ancora più costoso il pagamento degli interessi sul già enorme debito pubblico. Quello che la Commissione implicitamente propone per l´Italia è, paradossalmente, un patto di stabilità «all´italiana»: fate finta di credere alla Finanziaria Tremonti, stringete la cinghia, non chiedete un altro anno e noi faremo finta per un po´ che non siano necessarie manovre straordinarie e non inaspriremo la procedura per deficit eccessivo rinviando la resa dei conti al 2007. In realtà il proseguimento dell´inciucio Roma-Bruxelles rischia di trasformarsi per il nuovo governo in una trappola mortale. Se vogliono uscirne, Prodi e il nuovo ministro dell´economia faranno bene a prepararsi a battere i pugni su molti tavoli fin dal loro primo abboccamento con le istituzioni europee. Ne avrebbero tutte le ragioni.

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9 maggio 2006
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