RASSEGNA STAMPA

Corriere della Sera
2 aprile 2006
di Romano Prodi


Aiuti, non saremo più il fanalino di coda del G8

Rispondo volentieri all’articolo di Renato Ruggiero sul Corriere della Sera del 28 marzo scorso dedicato al tema della povertà e della cooperazione internazionale.
Solo pochi giorni prima, il 24 marzo, si è tenuto a Firenze il convegno nazionale dell’Ulivo sulla cooperazione internazionale. In questa occasione, oltre duemila cittadini, esperti, politici, rappresentanti delle istituzioni e della società civile hanno discusso intorno al tema di una cooperazione nuova. Tutto questo purtroppo è avvenuto all’interno di una campagna elettorale fortemente distratta rispetto alle grandi questioni del mondo e del suo futuro. Ecco i dieci punti, emersi in questo convegno e che oggi sono patrimonio dell’Ulivo e dell’Unione:
1) Il futuro del mondo non può essere affidato alla guerra, ma alla cooperazione, all’operare insieme attraverso forme coraggiose di partenariato tra aree del mondo, tra Paesi, tra regioni e municipalità locali, che mettano al centro il diritto dei diritti, cioè la pace.
2) La guerra è la madre di tutte le povertà. Non si conseguono gli obiettivi del millennio, finché la spesa militare complessiva del mondo cresce del 20% dal 2000 al 2005; e nel solo 2004 sono stati spesi in armamenti 1.044 miliardi di dollari e si investono centomila dollari al minuto, per continuare la guerra in Iraq.
3) Dunque non qualunque cooperazione, ma una cooperazione per la riconciliazione, capace di prevenire e di ricomporre i conflitti, sia quelli bellici che quelli prodotti da disuguaglianze intollerabili. Il mondo ha bisogno di unità non di conflitti. Oggi si impone una politica grande, che sappia frenare la corsa agli armamenti, per rispondere alla domanda di giustizia di interi continenti. È questa la via più difficile, ma anche più efficace per sconfiggere il terrorismo e la cultura dello scontro di civiltà.
4) Sta qui l’abbattere muri e costruire ponti, la formula lapiriana, che meglio esprime la nuova cultura della cooperazione. Essa contiene una pars destruens : la cooperazione come abbattimento dei muri culturali, politici, economici, spirituali, che dividono popoli e continenti. E una pars co struens : il costruire ponti di dialogo, di democrazia, di giustizia, di pace e di riconciliazione.
5) Non si tratta di distribuire qualche briciola, sempre più scarsa, come ha fatto l’attuale governo, diventando il fanalino di coda del G8 e disattendendo tutti gli impegni internazionali che si sono presi in sede Onu per arrivare in tempi certi allo 0,70 del pil. Siamo a uno sconsolante e sempre più piccolo 0,10/0,11%. E i fondi della cooperazione, i pochi rimasti, sono stati usati anche per finanziare operazioni militari. Un vero disastro culturale e politico.
6) La cooperazione per la riconciliazione è il nuovo orizzonte, fondamento di una grande politica internazionale. In questa direzione sarà possibile costruire rapporti di partenariato tra governi nazionali, ma anche tra governi locali, in una sinergia di azioni per ottenere stabilità di sviluppo e democrazia.
7) Non solo è necessario innalzare rapidamente le risorse disponibili arrivando in cinque anni allo 0,70%, ma bisogna mettere queste risorse al servizio di un progetto, che valorizzi l’intero sistema Italia: il governo nazionale, le Regioni, le istituzioni locali, le università, le ong, le associazioni e i movimenti, le forze sociali. Si tratta di costruire il sistema italiano della cooperazione, che faccia dell’Italia un punto di riferimento per la politica dell’Europa verso l’Africa e verso il Medio Oriente.
8) Usciamo dall’ottica del progettificio e da ogni prospettiva corporativa, che riduce la cooperazione internazionale a una funzione residuale di distribuzione di risorse. In questi anni siamo rimasti spesso prigionieri di questo orizzonte asfittico, che ha indebolito tutta la nostra cooperazione. Tutti insieme siamo chiamati a fare un salto culturale prima che politico. Oggi l’Africa e il Medio Oriente hanno bisogno di un’Europa coraggioso soggetto di pace e di giustizia e in esso di un nuovo ruolo dell’Italia.
9) Nel nostro governo ci sarà una regìa politica forte e indipendente, capace di saper coordinare tutto il sistema Italia della cooperazione e di farne lo strumento di quella politica di pace che è nella vocazione e nella storia del nostro Paese.
10) Noi ci dobbiamo impegnare a realizzare quanto qui indicato. Un impegno che prendiamo di fronte ai milioni di italiani che hanno capito quello che il governo uscente ha sempre ignorato: il nostro futuro è legato al futuro dei Paesi del Sud del mondo. Ed è un impegno solenne che prendiamo con i Paesi con cui l’Italia ha costruito e costruisce rapporti di cooperazione. Il futuro di pace dei nostri figli è legato al futuro di pace e di giustizia dei loro figli.
Questo è il decalogo della cooperazione. A questo ci atterremo con determinazione e ostinazione.

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2 aprile 2006
rs-06-018
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Tino Bedin