
Ritardi all'italiana
di
Adriana Cerretelli
Il Sole 24 Ore, 4 gennaio 2002
Che quella dell'euro sarebbe stata una rivoluzione carica prima di tutto di trasparenza non era un segreto per nessuno. Trasparenza dei prezzi, naturalmente, ma anche di qualcosa di molto più sottile e profondo: cioè delle strutture stesse, politiche, socio-economiche, amministrative, finanziario-produttive di ciascun Paese aderente. Soprattutto del rispettivo grado di efficienza comparata. Per i magnifici Dodici di Eurolandia si prepara, dunque, la radiografia impietosa di tutti i loro vizi e malanni più riposti, preludio di una concorrenza sempre più aggressiva perché liberata da tutti gli "ammortizzatori", dichiarati od occulti. La partita si annuncia senza esclusione di colpi: se non si metterà al più presto al passo degli altri, se non europeizzerà e senza indugio il proprio sistema Paese, l'Italia rischia di uscirne con le ossa molto ammaccate. Un campanello di allarme è suonato forte e chiaro ieri a Bruxelles quando, a 72 ore dall'inizio delle grandi manovre per l'introduzione dell'euro, la Commissione europea ha segnalato il ritardo con cui finora si è mosso il nostro Paese: con solo il 10% delle transazioni in moneta unica contro una media del 20% e addirittura il 50% di Francia e Olanda. Ennesimo caso Italia, ennesima anomalia nostrana? No. Per inciso, la Commissione si è subito affrettata a sdrammatizzare i suoi stessi dati, spiegando che ci sono due mesi per effettuare la conversione, che ciascuno procede secondo i propri ritmi, l'importante è completare il changeover nei tempi stabiliti, insomma arrivare tutti insieme al traguardo del 28 febbraio. Allora, poco rumore per nulla? Nemmeno. Per una volta la pietra dello scandalo non è il ritardo che - nessuno ne dubita - verrà presto recuperato. Sono piuttosto le ragioni che l'hanno creato. E che, in definitiva, sono da sempre le stesse che tormentano il sistema Italia e la sua capacità di competere in Europa ad armi pari con i propri partner: sono la debolezza relativa delle sue strutture e infrastrutture a tutti i livelli, dalla pubblica amministrazione alle ferrovie, alle poste passando per il gap informatico per finire in troppi casi su quello culturale. Nulla di veramente nuovo, per la verità. Già con l'arrivo, al principio degli anni 90, dell'Europa del mercato unico (sia pure incompleto), molte maschere sono state strappate, molte reti di sicurezza e tanti protezionismi sono saltati.
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