POPOLARI

Un impegno nella complessa epoca della globalizzazione e della paura
Ricomposizione politica
attorno alla dottrina sociale cristiana

La sfida è resa più ardua dalla crescente debolezza delle comunità cristiane nel loro insieme all'interno della società italiana

di Tino Bedin

Non hanno voce, ma parlano molto. Praticamente afoni nelle istituzioni, nei partiti e nell'informazione, i cattolici italiani in politica sono assai ciarlieri tra di loro. Per parlarsi usano niente o poco i personal media e i social media: ed è per questo che non si fanno… intercettare da un'informazione che lavora quasi esclusivamente di rimessa, sfruttando la produzione a costo zero dei social. Si servono a volte di internet, ma solo come alternativa alle tradizionali riviste, perché non ci sono le spese di stampa e di spedizione. Preferiscono di gran lunga i convegni, gli incontri culturali, le tavole rotonde: strumenti e luoghi in cui idee e parole sono anche persone.

Una ricchezza frammentata e ricomposta
Le persone contano sempre molto tra i cattolici democratici, al punto che spesso questa predilezione produce personalismi: individuali o di gruppetto.
Sabato 18 gennaio a Roma si è svolto uno di questi convegni: c'erano 150 persone di ispirazione cattolico-popolare, che rappresentavano 36 sigle: tante isolette "personali" di uno stesso arcipelago ideale e valoriale, quello che si richiama al popolarismo di don Luigi Sturzo e al cattolicesimo democratico della Democrazia Cristiana. La data del 18 gennaio, infatti, era stata scelta come un'evocazione: è il giorno in cui 101 anni fa Don Sturzo ha lanciato il suo "Appello agli uomini liberi e forti"; è il giorno in cui 26 anni fa Mino Martinazzoli dichiarava conclusa la storia della Democrazia Cristiana e provava a far rinascere il Partito Popolare Italiano.
Ad almeno altrettante sigle fanno riferimento i primi 500 firmatari del Manifesto "Per la costruzione di un soggetto politico 'nuovo' d'ispirazione cristiana e popolare", presentato a Roma il 31 ottobre e ribattezzato "Manifesto Zamagni", perché l'ha promosso e presentato Stefano Zamagni, presidente della Pontifica Accademia per le Scienze sociali. Tra i firmatari del Manifesto ci sono anche persone-sigle che abbiamo poi ritrovato il 18 gennaio. Infatti, ha spiegato uno dei promotori, "ciò che anima i sottoscrittori del Manifesto è soprattutto il riferimento ad un pensiero forte, l'unico in grado di consentire al Paese una ripresa reale. Il pensare forte è rappresentato dal riferimento alla Costituzione e a quel messaggio del Pensiero sociale della Chiesa, universale perché non riguarda solo i cristiani, a favore della Solidarietà e di un impegno sempre più decisivo per la Giustizia sociale".
Le fotografie di entrambi gli appuntamenti rimandano all'attualità di una frammentazione, che è certo il frutto dei tentativi personali di resistere alla insignificanza pubblica del popolarismo, ma è anche l'espressione della ricca varietà di contenuti e di risposte che il cattolicesimo democratico ha elaborato a partire dalla seconda metà dell'Ottocento, con l'Opera dei Congressi e l'enciclica "Rerum Novarum", fino alla conclusione del Novecento.
Entrambi gli appuntamenti segnalano tuttavia anche un movimento di ricomposizione politica attorno alla dottrina sociale cristiana, arricchita ed inverata nel nostro tempo dai documenti di Papa Francesco, nei quali si trovano le ragioni di un impegno nella complessa epoca della globalizzazione e della paura.
Era stato del resto proprio Papa Francesco il 10 novembre 2015, nel suo intervento al quinto Convegno della Chiesa italiana a Firenze ad invitare i cattolici a non limitarsi a parlare fra loro: "La società italiana si costruisce quando le sue diverse ricchezze culturali possono dialogare in modo costruttivo. (…) Ricordatevi inoltre che il modo migliore di dialogare non è quello di parlare e discutere, ma quello di fare qualcosa insieme, di costruire insieme, di fare progetti: non da soli, tra cattolici, ma insieme a tutti coloro che hanno buona volontà".

La devozione affidata alla politica
La sola ricomposizione non basterà comunque a restituire ai cattolici italiani la capacità di parola e di azione nella società. Le difficoltà sono molteplici; le più impegnative da superare sono all'interno della comunità cristiana.
In un'intervista ad Avvenire dell'8 dicembre 2018 il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha rilanciato la questione di un protagonismo rinnovato dei cattolici in politica: "È auspicabile un impegno concreto e responsabile dei cattolici in politica". Un anno dopo, da Caltagirone, la città di don Luigi Sturzo, lo stesso cardinale Bassetti ha ricordato che "in più occasioni ho parlato della necessità di un nuovo patto sociale tra tutti gli uomini di buona volontà e ho auspicato la costruzione di una rete di persone che abbiano a cuore il destino dell'Italia". Per questo nuovo patto sociale, "non mi stancherò mai di ripeterlo, è fondamentale superare quella dannosa e sterile divisione del passato tra i cosiddetti cattolici del sociale e i cattolici della morale che ancora continua a resistere nelle nostre comunità. Non ci si può dividere tra coloro che si occupano solo di bioetica e coloro che si occupano soltanto di povertà, perché non esistono tematiche di serie A e di serie B. Esiste invece un messaggio unitario del Vangelo e della dottrina sociale cristiana".
Questa divisione è tuttavia il risultato del ventennio a cavallo dei due secoli, durante il quale autorevoli ecclesiastici hanno affermato che tutta la buona politica si riduce alla difesa dei valori non negoziabili, proprio quelli della bioetica, e in base a questo presupposto hanno avocato a sé il giudizio su scelte politiche (compresa quella di alleanze di governo) che la dottrina sociale della Chiesa riserva ai laici. I cattolici democratici italiani hanno perso la voce prima nella loro comunità e solo dopo nella società. Ora è una bella sfida ricostruire un protagonismo dei laici: essa coinvolge infatti l'intera Chiesa italiana.
La sfida è resa più ardua dalla crescente debolezza delle comunità cristiana nel loro insieme all'interno della società italiana: è una società plurale, diversificata, sempre più scristianizzata; in essa è difficile non solo vivere, ma anche proporre il Vangelo. A partire dalle parrocchie, i laici faticano a trovare una comunità che li formi, li sostenga, li incoraggi, si faccia rappresentare da loro nella società.
Avviene anzi il contrario, ed è una terza ulteriore sfida che nasce all'interno della comunità cristiana: una parte dei cattolici italiani rifiuta il messaggio sociale e comunitario di Papa Francesco, lo valuta estraneo ai propri bisogni; iscrive anche il Papa e la Chiesa tra le élites; affida la sua devozione alla politica al punto da far apparire i raduni di partito come processioni di fedeli che ostentano simboli cristiani.
Questa "devozione politica" è componente di una questione antropologica che ormai parte inscindibile della nuova questione sociale, delle "rerum novarum" del secondo millennio. Il "Manifesto Zamagni" la riassume così: "Il nostro tempo è connotato da fenomeni di portata epocale quali quelli della nuova globalizzazione, della quarta rivoluzione industriale, dell'aumento sistemico delle diseguaglianze sociali, degli straordinari flussi migratori, delle questioni ambientali e climatiche, della caduta di valori etici, nelle sfere sia del privato che del pubblico".
Il "rinnovato impegno" dei cattolici democratici in politica vede allargarsi la sfida all'intera società, non solo italiana. Mentre infatti questi fenomeni crescevano fino ad apparire inarrestabili, l'individualismo neoliberista riduceva nelle persone e nella società le passioni ideali della solidarietà e della partecipazione civica. Ora è che chiaro che l'individuo da solo non ha risposte a fenomeni epocali che lo rendono sempre più irrilevante, le persone sono deluse, confuse, angosciate. Sono impaurite.

19 gennaio 2020


pp-021
20 febbraio 2020
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Tino Bedin