POPOLARI

A 100 anni dall'Appello di Don Luigi Sturzo e dei cattolici popolari "A tutti gli uomini liberi e forti" / 1
Il Popolarismo: dentro una storia
e capace di storia nuova

Ancor oggi, un secolo dopo, quell'aggettivo "popolari" risulta adatto all'attualità della società italiana e alla sua ricerca di futuro

conversazione di Tino Bedin

Populisti. Popolari. Non c'è un solo modo di declinare la parola Popolo. Già questo rende attuale il centenario della nascita del Partito Popolare Italiano. Era in 18 gennaio 1919, giusto un secolo fa, quando con un appello A tutti gli uomini liberi e forti, che in questa grave ora sentono alto il dovere di cooperare ai fini supremi della patria iniziava ufficialmente l'attività un partito nuovo per l'Italia, il cui segretario politico era un prete, Don Luigi Sturzo.

I contenuti della novità
Il nome del partito - come ho detto - è del tutto nuovo per l'Italia nei confini che allora aveva il Regno d'Italia. Non è però nuovo tra i promotori, che decisero di orientarsi verso la denominazione "Popolare": lo avevano usato fino ad allora i cattolici trentini; e infatti fra i promotori c'è un ancora giovanissimo parlamentare della Camera dei deputati d'Austria, Alcide De Gasperi (il Trentino viene unito all'Italia con la Grande Guerra, appena conclusa).
Le caratteristiche del partito le aveva preannunciate più di 13 anni prima, proprio Don Sturzo in un discorso nella sua città, Caltagirone. Un partito "autonomo, libero e forte, che si avventuri nelle lotte della vita nazionale". Un partito non "clericale" nel quale l'ispirazione cristiana non avrebbe fatto velo alla laicità ("Noi ameremmo che il titolo di cattolici - così caro alle convinzioni degli italiani - non fregiasse il nostro partito"). Un partito di "centro" ma non moderato, bensì "temperato" (i cattolici dovevano scegliere legittimamente: "o sinceramente conservatori, o sinceramente democratici"), radicato nella società e nel territorio, dove il movimento cattolico operava già da tempo, capace di coniugare progetto e riforma dello Stato secondo i principi di sussidiarietà e di solidarietà, con un chiaro programma "consono, iniziale, concreto e basato su elementi di vita democratica".
I protagonisti del Partito Popolare non sono quindi direttamente i cattolici, ma "tutti gli uomini liberi e forti", come dice immediatamente l'atto di nascita, anche se furono in grande maggioranza i militanti di Azione cattolica. E anche non pochi furono i sacerdoti a sostenerlo, Sturzo ne afferma la laicità, non come "contrapposizione", ma come "distinzione" di ambiti tra Stato e società civile: laicità non significa subordinazione allo Stato delle comunità religiose e degli altri "corpi intermedi", ma significa il riconoscimento da parte dello Stato della loro funzione e del loro ruolo.
Dentro una storia e capace di storia nuova, il popolarismo sturziano è un passaggio fondamentale che ha consentito di superare l'antica frattura tra la Chiesa e lo Stato moderno.
Esso segna la conclusione della lunga marcia nelle istituzioni del movimento cattolico, iniziata già all'indomani dell'unità d'Italia, superando in modo innovativo e originale "Questione romana" (la breccia di Porta Pia) e "Non expedit" (l'interdizione papale alla vita politica), cioè rifiuto dello Stato unitario nelle sue espressioni laicistiche e l'intransigenza dell'associazionismo cattolico riunito nell'Opera dei congressi, che solo con la Grande Guerra sarebbero venuti meno.

Più duratura della sua vita
Il Partito Popolare dura poco, appena sei anni: nel 1926 viene sciolto dal fascismo.
Don Luigi Sturzo ne resta segretario per soli quattro anni e per oltre la metà dei quarant'anni che vanno dal 1919 al 1959, l'anno della morte, vivrà fuori dall'Italia, nel Regno Unito e negli Stati Uniti.
Eppure lo storico Federico Chabod, nella sua "L'Italia contemporanea" (sulla quale la mia generazione si è formata alla storia) ancora nel 1950 definisce la nascita del Partito Popolare "l'avvenimento più notevole della storia italiana del XX secolo". E Chabod è uno degli esponenti del pensiero laico (e anche anticlericale) italiano.
Così come certamente laico è Antonio Gramsci: eppure in un articolo del 22 dicembre 1918, cioè ancor prima della pubblicazione dell'Appello agli uomini "liberi e forti", egli valuta l'ormai imminente costituzione dei cattolici in un partito politico come "il fatto storico più grande dopo il Risorgimento".
Eppure ancor oggi, un secolo dopo, quell'aggettivo "popolari" risulta adatto all'attualità della società italiana e alla sua ricerca di futuro. Il quindicinale "La Civiltà cattolica" ha appena aperto il 2019 con un editoriale del suo direttore, il gesuita padre Antonio Spadaro, dal titolo "Tornare ad essere popolari". L'implicita citazione dell'Appello ai "liberi e forti" non è solo nel titolo, con la parola Popolari, ma anche nella forma stilistica di un proclama articolato in "sette parole per il 2019" (come recita il sottotitolo) che riconducono alla più recente dottrina sociale di Papa Francesco, così come l'appello di Sturzo rimandava all'enciclica sociale di Leone XIII "Rerum novarum", la prima nella storia della Chiesa.

6 gennaio 2019

Questa conversazione destinata al Salotto Lazzaro ha utilizzato anche i molti materiali storici, studi e commenti sul Partito Popolare Italiano e su Don Luigi Sturzo presenti in Rete. Mentre ringraziamo gli autori e i depositari, ci auguriamo di aver contribuito a diffondere anche i loro contenuti.


pp-015
11 febbraio 2019
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Tino Bedin