Indietro un altro: fra qualche giorno, venerdì 9 giugno, sarà la volta di Ciriaco De Mita, protagonista della politica nazionale negli anni Ottanta, che a Napoli organizza un incontro che ha come titolo una sua convinzione: "La necessità di una coalizione Popolare". La parola "Popolare" con l'iniziale maiuscola è più di un aggettivo: è un lungo tratto di storia italiana, quello in cui i cattolici italiani democratico e popolari hanno dato un contributo decisivo alla vita sociale e istituzionale. Anche Ciriaco De Mita, dunque, si aggiunge alla lunga lista di coloro che dicono di pensare al futuro e hanno la testa rivolta all'indietro.
A dire il vero si tratta di un futuro che è già qui e si consumerà subito: quello delle ormai imminenti elezioni politiche nazionali. Il sistema elettorale sarà comunque proporzionale (anche se aspettiamo il risultato dell'intesa a quattro che sembra reggere alla Camera). Se ci si organizza per superare la soglia di sbarramento, si può provare ad entrare nel prossimo Parlamento senza sottoporsi all'esame di Renzi o di Berlusconi o di Grillo.
I ricordi non prendono voti. "D'Alema e Bersani - osserva Ciriaco De Mita - tornano alle loro radici per fare la sinistra, che anche culturalmente hanno rappresentato da protagonisti. Lo stesso viene chiesto a noi popolari, di fronte alla liquefazione dell'equilibrio politico. Dobbiamo ricompattare l'area di centro". E il riferimento è immediatamente alla Democrazia cristiana, il partito che nella seconda metà del secolo scorso ha presidiato e rappresentato quell'area.
De Mita ha pienamente diritto di provare a far rivivere i ricordi. Ha anche motivo di pensare di riuscirci, visto che l'anno prossimo compirà novant'anni e li festeggerà come sindaco di Nusco, il suo paese in provincia di Avellino.
I ricordi però non prendono voti, perché sulla scheda elettorale i cittadini segnano il futuro (quello che sperano o temono) e non le memorie. I "reduci di politica" non hanno mai avuto fortuna nelle elezioni che si sono succedute dal 1994 ad oggi. Ed è anche giusto che sia così: la politica ha il colpito di interpretare il presente e di immaginare il futuro. Ci riescono malamente i partiti "vivi"; quelli resuscitati o scongelati proprio non ce la fanno.
Ciò vuol dire che la nostra comunità civile, sociale e politica è destinata a fare per sempre a meno del Popolarismo? Ad ascoltare e a leggere Papa Francesco, direi di no. I suoi testi, i suoi discorsi, le sue omelie (anche quelle "semplici" della messa mattutina a Santa Marta) si prestano ad una elaborazione sociale e ad una interpretazione politica. Attorno all'enciclica Rerum novarum, pubblicata da Papa Leone XIII nel 1891, si riconobbe e si sviluppò il cattolicesimo sociale e politico i cui frutti più maturi sarebbero stati nell'arco di un secolo la democrazia non solo politica ma anche economica e l'Unione Europea. Nel 2015 Papa Francesco ci ha proposto l'enciclica Laudato si', una lettera "sulla cura della casa comune": è la base del Popolarismo del primo secolo del secondo millennio. Eppure non lo si ritrova nei programmi di nessun partito o movimento o gruppo parlamentare.
La Repubblica progettata per i giovani. Abbiamo appena celebrato l'anniversario della nostra Repubblica. Il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha con l'occasione fornito alcuni spunti, sia con le parole sia con i gesti.
Le parole di Mattarella: "I valori che ci hanno unito il 2 giugno del 1946 continuano a guidarci per realizzare lo stesso desiderio dei nostri padri: dare alle future generazioni un'Italia di pace, prospera e solidale"; "un'Italia in grado assolvere ad un ruolo autorevole e propulsivo all'interno di quella comunità internazionale che abbiamo contribuito ad edificare", nella "consapevolezza di un destino comune", perché "in un mondo sempre più interdipendente, non potrà esservi vera sicurezza se permarranno focolai di crisi e conflitti; vero benessere se una parte dell'umanità sarà costretta a vivere nella miseria".
Sono parole che facilmente ritroviamo - a volerle cercare - anche nell'enciclica "Laudato si'". Ma non li ritroviamo nella bocca dei partiti in tv.
I gesti di Mattarella: la sfilata ai Fori Imperiali non si apre con i militari; le avanguardie della Repubblica sono quattrocento sindaci dell'Italia centrale; donne e uomini con la fascia tricolore a far marciare le loro comunità, comprese quelle colpite dal terremoto. Per la sua festa la Repubblica mette in mostra i propri "campanili", senza i quali essa sarebbe una burocrazia e non una comunità. La conferma di un messaggio, questa parata dei campanili. E poi c'è la novità di quest'anno: per la prima volta sfilano ai Fori Imperiali i rappresentanti della Ricerca scientifica italiana e non è per far scena. Massimo Inguscio, presidente del Consiglio Nazionale delle Ricerca, spiega bene: "La ricerca e la diplomazia scientifica sono sempre più al servizio delle istituzioni e di supporto nelle politiche nazionali e internazionali per il bene delle persone e per la salute dell'ambiente, del clima e della terra", riconoscendo "l'importanza fondamentale degli obiettivi e degli impegni sottoscritti negli Accordi di Parigi sul clima e, al tempo stesso, l'impegno per il rispetto e la conservazione della terra e dell'ambiente, come sostenuto e scritto meravigliosamente da Papa Francesco nella sua enciclica Laudato si' sulla cura della casa comune".
Qui la citazione di Papa Francesco è esplicita; ma anche la valorizzazione delle comunità locali è uno dei fili conduttori che l'enciclica annoda per la cura della casa comune.
La paura di essere meno… italiano. In questo 2 Giugno 2017 quanti hanno voglia di Popolarismo - ovviamente non solo loro - hanno un progetto a portata di mano per dare concretezza politica alle parole di Papa Francesco e alle sollecitazioni del Presidente Mattarella: la legge sulla cittadinanza. È per l'oggi e per il domani, non per il passato.
È l'oggi nei molti studenti italiani di fatto e non ancora di diritto che nella Festa della Repubblica hanno sventolato il Tricolore assieme ai loro compagni di scuola e di comunità locale.
È il domani di una comunità nazionale che sa essere coraggiosa. Lo dice bene il ministro Graziano del Rio, proprio a proposito del 2 Giugno: Oggi ricorderemo che per la prima volta si votò per la Repubblica e che avvenne con il suffragio universale. Si, perché fino a pochi mesi prima c'era tanta gente che aveva paura di allargare i diritti. Dare il voto alle donne sembrava un rischio grande. Pensiamo a cosa sarebbe l'Italia senza il contributo democratico delle donne. Se vinti dalla paura i politici avessero pensato ad una forma di Patria scelta ed amata da pochi. Ogni volta che si è stati capaci di allargare la sfera dei diritti e di far sentire ognuno parte di una comunità, abbiamo migliorato noi stessi ed il nostro Paese".
E a chi ha paura di essere meno… italiano se altri diventano italiani, Sergio Mattarella, ancora il 2 giugno ha assicurato: "Il concetto di patria non ha nulla a che vedere con le ideologie nazionaliste. Il nazionalismo esclude, la Patria è inclusiva; il nazionalismo è aggressivo, la Patria è solidale; il nazionalismo costruisce muri, il patriottismo tende la mano agli altri".
Da Romolo Murri a Benigno Zaccagnini il Popolarismo italiano ha contribuito per un secolo a questi risultati.
4 giugno 2017