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Il tema dell’assemblea di Rimini
va oltre la scelta del successore di Franco Marini
Nel futuro del Popolarismo
non c’è solo un nuovo segretario
Le dimensioni elettorali registrate il 13 giugno mettono in discussione il rapporto con la società e il futuro; il problema non è la sopravvivenza, ma creare le condizioni per la rappresentanza delle novità sociali in Italia ed in Europa

di Tino Bedin
presidente del Partito popolare padovano

Bastasse un segretario! L’assemblea nazionale che i Popolari si preparano a vivere alla fine di settembre a Rimini è un vero e proprio congresso: lo dimostra il fatto che lì sceglieranno il successore di Franco Marini. Se bastasse un segretario, il compito che a livello locale e poi nazionale tocca in queste settimane al Ppi sarebbe impegnativo ma non decisivo. Ma il segretario non è tutto e un'anteprima illuminante si avrà domenica 5 settembre a Lavarone, dove il dialogo tra Rosy Bindi, Pierluigi Castagnetti e Dario Franceschini sarà opportunamente titolato "Se bastasse un segretario".
Rispetto al consiglio nazionale del Ppi del 9 luglio questo è l’elemento nuovo. Dal 13 giugno fino a quell’appuntamento politico era parso a molti che "il problema" dei Popolari fosse il segretario, fosse Marini; molti hanno sostenuto che la sua sostituzione immediata era la condizione indispensabile per l’attività politica del Ppi. Oggi sappiamo che non è così. Oggi è chiaro che assieme alla discussione sulla strategia politica e alla scelta del nuovo segretario nazionale l’assemblea di Rimini ha un tema più generale da svolgere: il presente e il futuro del Popolarismo.
Le dimensioni elettorali registrate il 13 giugno (a livello nazionale, ma anche a livello veneto) pongono già da sole questo tema.
Se il Ppi si accontentasse di essere un "partito di ispirazione cristiana" queste dimensioni porrebbero un problema di sopravvivenza, affrontabile con operazioni di aggregazione nell’area centrista ex democristiana e risolvibile con la scelta di assumere la "difesa" di alcuni valori all’interno dello schieramento di centro-sinistra. La spinta in questa direzione è forte;viene dall’esterno e dall’interno. Ne abbiamo esempi proprio in queste settimane nelle quali il ruolo del Partito Popolare è evidenziato quasi esclusivamente in riferimento al problema della "presenza cattolica" nel sistema formativo italiano, sia che si parli della parità scolastica, sia che si discuta sull’ora di religione. E’ la spinta che porta i popolari ad "animare cristianamente la politica", assegnando loro un compito di testimonianza e non di guida. Le dimensioni elettorali attuali potrebbero anche essere compatibili con questo compito.
Ma il Ppi è stato pensato tra il 1993 e il 1994 con un diverso obiettivo: assumere la guida delle esigenze di giustizia e di solidarietà in una società non più ideologica. Garantita attraverso la Democrazia Cristiana la libertà politica, il popolarismo si è impegnato, assumendo per questo anche un nome diverso, in un progetto che ha come obiettivo la libertà personale e comunitaria. In questa prospettiva politica le dimensioni elettorali del 13 giugno pongono un problema politico di rappresentanza. E’ evidente che un consenso così ridotto mette in discussione o il Popolarismo come tale o lo strumento scelto per realizzare il Popolarismo. Per entrambe le discussioni non basta un segretario nuovo; questa è una condizione utile ma insufficiente per risolvere il problema.
A Rimini il Ppi si troverà a scegliere fra l’essere un "integratore cattolico" nel menù politico degli italiani e il prepararsi a seminare il nuovo grano per diventare il pane fresco della democrazia nazionale ed europea.
Non sono due scelte comparabili: la prima è quella che tiene conto del presente, è quella più concreta e forse più richiesta. La seconda esige il rischio tipico del contadino che semina: prende tutte le precauzioni ma non è sicuro del risultato.
La politica spinge per la prima scelta (magari senza rinunciare alla seconda). C’è l’urgenza di ridurre la frammentazione nell’area centrale del centro-sinistra; c’è un rapporto da verificare, insieme, con i Democratici; c’è la necessità di realizzare al più presto una coalizione chiara e credibile con un messaggio per le elezioni regionali del prossimo anno. Sono tutte scelte da fare; questioni non rinviabili. Per queste basta un segretario.
La società italiana invece spinge i Popolari alla seconda scelta. Quattro italiani su dieci che non vanno a votare e che chiedono di essere "aggregati alla democrazia", sono anch’essi un obiettivo politico /più incerto rispetto ad "aggregare" Dini e Mastella e Cossiga). La "generazione silenziosa" (è il nome collettivo che Ilvo Diamanti adopera per i nostri ragazzi) forse non chiede di parlare: ma fino a quando gli adulti potranno resistere al silenzio dei giovani? E’ un problema politico lasciare che questo silenzio sia decodificato dalla logorrea televisiva di Pannella: lo si è visto alle elezioni europee. Realizzare il  al Popolarismo è in questo caso tracciare la via politica con la quale i giovani europei si appropriano delle democrazie costruite dai loro genitori e dai loro nonni e le trasformano è anche questa una questione non rinviabile. Per questa non basta un segretario. Per questa serve un partito. Per questa servono i popolari.

Speciale assemblea congressuale di Rimini


18/08/1999
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