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Occorre pronunciarsi su che tipo di federalismo
di Franco Marini
Il termine "federalismo" non ha un significato preciso. Le esperienze
storiche che si sono realizzate con questo nome sono molto diverse fra loro, sia per il
modo con cui si sono formate, sia per il tipo di rapporti che intercorrono fra Stato
federale e Stati federati. In passato, nel periodo di formazione e consolidamento degli
Stati nazionali, il modo tipico di formazione è stato quello dellunione fra gli
Stati (Usa, Germania); attualmente, in un periodo in cui prevalgono le spinte
autonomistiche, alcuni Stati, quando non giungono a frantumarsi (Jugoslavia, Unione
Sovietica), si danno struttura federale più o meno marcata (Canada e Belgio), mentre i
processi di unificazione si producono a livello più ampio, per far fronte ai problemi
della globalizzazione ( Unione Europea).
In certi casi, poi, anche se non si dà allo Stato il nome di "federale",
lautonomia delle sue singole parti può essere più marcata di quella di uno Stato
federale (un attento confronto fra lattuale assetto istituzionale spagnolo e quello
della Germania fa emergere profili di una maggiore disarticolazione nel primo rispetto al
secondo, per il riemergere in Spagna di differenziazioni linguistiche e culturali, oltre
che economiche, che sono pressoché assenti in Germania).
La conseguenza che si trae da queste osservazioni è che non ha senso essere a favore o
contro il "federalismo" ma che occorre pronunciarsi sul tipo di federalismo che
si vuole.
Il Ppi erede della tradizione culturale e politica del cattolicesimo democratico, si trova
in una posizione avvantaggiata rispetto ad altri partiti per contribuirne a individuare
una soluzione appropriata alle diverse esigenze alle quali si deve dare risposta.
I due nostri capisaldi sono: rispetto delle autonomie territoriali e sociali e
solidarietà.
Le autonomie, per noi, sono quelle regionali, ma non meno, quelle comunali e delle
province intese come enti di vasta area per la gestione dei servizi che richiedono tale
dimensione.
Le autonomie territoriali devono, poi, rispettare le autonomie sociali non meno di quanto
debba fare lo Stato.
Le autonomie devono essere vere: non devono esaurirsi nella quantità delle competenze;
devono consentire scelte diverse, indirizzi politici propri. Siamo quindi contrari alle
forme sempre latenti di imbrigliamento delle autonomie che spesso emergono anche ora in
molte leggi o disegni di legge settoriali. Cè il rischio di una certa schizofrenia:
da un lato si proclama in maniera enfatica il valore dellautonomia, dallaltro
la si nega nei singoli settori.
Le autonomie devono quindi consentire una differenziazione: non si può volere insieme
autonomia e uniformità. Non vogliamo impedire alle zone più sviluppate del Paese di
svilupparsi ulteriormente, con tutta lenergia che sanno esprimere; vogliamo però
ribadire i vincoli di solidarietà con le altre zone dellItalia e ormai anche
dellEuropa.
E qui viene il secondo dei nostri capisaldi, quello della solidarietà. La funzione
principale che hanno svolto gli Stati nellultimo secolo è stata quella di
redistribuzione della ricchezza e di promozione dello sviluppo.
Questa funzione non corrisponde a uno specifico articolo della Costituzione ma a tutti gli
articoli nel loro insieme e soprattutto a quelli della prima parte che, per opinione
comune, resterà invariata. Siamo anche noi dellidea che il welfare vada rivisto
nelle esagerazioni e nei burocratismi che aveva determinato negli ultimi due decenni, ma
non siamo affatto dellidea che debba essere messo radicalmente in discussione.
Per realizzare politiche di sviluppo e di redistribuzione della ricchezza è necessario
che lo Stato mantenga un certo numero di competenze diverse da quelle tradizionali dello
Stato liberale che corrispondevano a un livello molto basso di espansione della sfera
pubblica.
Il testo approvato dal Consiglio dei ministri, da un lato riconosce le autonomie in modo
marcato, dallaltro mantiene allo Stato una funzione di sviluppo e di riequilibrio,
risponde alle linee generali alla nostra impostazione (rivedendo, tra laltro, alcune
radicalizzazioni che verano state negli emendamenti approvati alla Camera al testo
della Bicamerale).
Alcune formulazioni possono essere ancora meglio esaminate e corrette, ma sbaglierebbe chi
pensasse a questo testo come la base di partenza per un ulteriore impoverimento dello
Stato.
Cè ancora bisogno dello Stato italiano e questo non può essere la risultante
occasionale di due sottrazioni di competenze, verso lEuropa e verso i livelli
locali. La funzione di sviluppo e di redistribuzione della ricchezza non può essere
efficacemente svolta a livelli troppo piccoli, né trova almeno per ora corrispondenza
nelle funzioni esercitate dallUnione europea.
La prospettiva europea e le sue implicazioni sul testo costituzionale devono forse essere
meglio approfondite. LEuropa è una Unione di Stati, il che vuol dire che lo Stato
è uno Stato, membro di una Unione di Stati.
Questa caratteristica deve essere tenuta presente sia nel disegnare la distribuzione delle
competenze, sia nel senso di rendere possibile una efficace azione dello Stato
allinterno dellUnione. E questo lunico modo che abbiamo per essere
in qualche modo protagonisti a fronte della globalizzazione. Solo lintero sistema
Italia, articolato nel suo interno per rispettare e potenziare tutte le particolarità che
lo formano e riportato a sintesi, può consentirci di svolgere un ruolo efficace in Europa
e quindi nel mondo.
Proprio la globalizzazione rafforza il valore delle radici, sia di quelle locali, sia di
quelle della Patria (la terra dei Padri), come valore di una specificità aperta al mondo.
15
maggio 1999 webmaster@euganeo.it |
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