Bipolarismo addio
Un polo si è sciolto, l'altro non sta troppo bene e il terzo (che pure esiste nel mostro geometrico che è il nostro sistema dei partiti) fatica a crescere. C'era una volta il bipolarismo all'italiana. Lo stanno soffocando nella culla le scelte degli attori e quelle degli elettori. A destra: è fallita la fusione fredda Forza Italia-An. A sinistra: ex Dc ed ex Pci hanno formato galassie attorno all'esile centro di gravità del Pd. Al centro: si moltiplicano i leader e possibili tali (Casini, Rutelli, Fini, Montezemolo) e bisogna vedere di quante truppe disporranno. Il professor Ilvo Diamanti, politologo, docente a Urbino e a Parigi, guarda questo scenario da democrazia liquefatta e, come Gino Bartali, gli verrebbe da dire che "gli è tutto sbagliato, gli è tutto da rifare". A cominciare da una legge elettorale che ha favorito il caos. Ma partiamo dagli effetti per risalire alle cause.
Professor Diamanti, Fini che lascia Berlusconi (o è viceversa?) è opportunismo o è la politica, intesa come volontà di riaffermare le proprie idee, che si è presa una rivincita? "Fare la guerra a un altro, in politica, è comunque una scelta politica. Se oltre 30 parlamentari seguono Fini, abbandonando il Popolo della libertà dopo due anni o poco più, significa che la fusione non era una fusione, semmai un'annessione e che quel partito non è mai nato". Era difficile per chi si è sempre considerato di destra, dunque per la nazione e per l'ordine, digerire il federalismo o gli attacchi quotidiani ai giudici. "Il centrodestra si è unificato su basi fragili. Nel nostro Paese la politica è profondamente influenzata dalle questioni territoriali e la rappresentazione dei loro interessi. E sempre stato così. Prima la mediazione avveniva all'interno dei partiti (penso alla Dc e alla stessa Forza Italia). Adesso il conflitto è più lacerante. Forza Italia era il partito che cementava tutto perché era l'unico ad avere una equa distribuzione del consenso dalle Alpi alla Sicilia. Poi non è stato più possibile". Perché? "Rispondo immaginando cosa succederebbe se si votasse domani. Il centrodestra si presenterebbe con la triade Berlusconi-Tremonti-Bossi. Chiaro che il Mezzogiorno si preoccupa. Ed è altrettanto chiaro il perché la stragrande maggioranza di quelli che hanno seguito Fini sono del Centro-sud. Il fatto è che la frammentazione nel centrodestra è sempre stata risolta dalla leadership di Berlusconi, mentre a sinistra cià non è mai avvenuto perché non c'è mai stato un vero leader". A sinistra l'abitudine alla frammentazione è una costante storica. "Sì, ma è una frammentazione tra piccoli partiti e piccoli leader (non mi sorprende affatto, tra l'altro, che adesso emerga un Vendola da Sinistra e libertà: siamo nella tradizione). Ed è ciò che spinse Veltroni a pensare il Pd come a un soggetto unico per quell'area. Col risultato di svuotare il bacino elettorale di sinistra senza riuscire a canalizzarlo perché in parte è scomparso nell'astensionismo e l'unico ad averne approfittato è stato il partner, cioè l'Italia dei Valori. In definitiva quello che mi sembra fallito è il progetto politico-istituzionale di fatto bipartitico Berlusconi-Veltroni del 2007-2008". Lo dimostrano i numeri. "In un modo implacabile. Alle regionali del marzo scorso i due partiti maggiori insieme hanno raggiunto il 56 per cento più o meno, la percentuale più bassa nella Seconda Repubblica. Era il 70 per cento nel 2006 e il 73 nel 2001. Nel 1994, subito dopo l'esplosione di Tangentopoli e all'alba della caduta del nostro Muro, addirittura il 75 per cento. Oggi c'è un 40 per cento dell'elettorato circa che non si identifica coi partiti maggiori. E ne traggono giovamento le forze come la Lega da una parte e l'Italia dei Valori dall'altra che si distinguono". Ci sarebbe poi il centro. "Il centro, l'Udc, ha la colpa di aver voluto, nel 2005, questa legge elettorale in nome del proporzionale. Senza accorgersi delle conseguenze, del mostro che avrebbe partorito e che sarebbe stato per lui controproducente. Impedisce la nascita del terzo polo e contemporaneamente impedisce al bipolarismo di funzionare. È una specie di maggioritario-proporzionale o viceversa". I rimedi? "C'è un problema di sistema che andrebbe risolto con un minimo di progetto condiviso. All'inizio della Seconda Repubblica si pensava che le istituzioni dovessero cambiare attraverso tre direzioni: maggiori poteri all'esecutivo col semipresidenzialismo o il premierato forte; bipolarismo; federalismo come forma di Stato. Poi si è agito sulla base di spinte diverse, in modo episodico, senza un disegno organico. Oggi siamo un po' più di tutto (più maggioritari, più presidenzialisti, più federalisti), ma in fondo non siamo niente di preciso".
|