RASSEGNA STAMPA

Il Sole 24 Ore
15 agosto 2009
Giuliano Amato

Idee
Più carità per i cattolici, più limiti per i laici
Una società che non sa identificare i vincoli morali che la uniscono dimostra di non esistere

Caro direttore, permettimi una lettera fuori calendario, per gridare a te e ai lettori che io proprio non ce la faccio più. Non ce la faccio più a vivere assediato dai reiterati ritorni di una guerra fra credenti e non credenti, religione e laicità, scienza e fede, che sembra da noi inesauribile. Ma com'è possibile che negli Stati Uniti laicità voglia dire accettazione reciproca secondo gli insegnamenti di John Locke, che in India voglia dire costruire una casa comune per le diverse religioni e le diverse culture come la intendeva il Mahatma Gandhi, mentre da noi ogni occasione è buona perché ci spariamo pallettoni – Chiesa arrogante di qua, bieco illuminismo di là – con moschettoni che da decenni dovrebbero stare soltanto nei musei?
Ci dicono gli studiosi di scienze sociali che non solo in economia, ma anche nella complessiva evoluzione delle società gioca un ruolo formidabile quella che gli economisti hanno battezzato "path dependance" e cioè la forza inerziale del solco in cui ci ha collocato la storia. Ed è ben possibile che talune differenze le spieghi proprio la storia.
Gli Stati Uniti nacquero da insediamenti di coloni che avevano lasciato l'Europa per essere liberi ciascuno di professare la propria religione, senza imposizioni da parte dello Stato. Fu quindi naturale per loro trovare proprio in Locke i fondamenti teorici di una laicità che chiedeva allo Stato non di esistere e legiferare "etsi Deus non daretur", come se Dio non ci fosse, ma di assicurare al contrario la massima libertà di celebrare Dio secondo le proprie credenze. Ben diverso era il clima in Europa, dove il massimo che si era riusciti a fare per porre fine alle guerre di religione fu di imporre a ciascuno Stato un'unica religione e chi non era d'accordo trovava il modo di andarsene (e non a caso da questa Europa erano fuggiti i coloni americani).
In un clima segnato da tanto autoritarismo e da un cattolicesimo controriformista di cui Galileo aveva fatto le spese, l'illuminismo acquistò la doppia valenza di liberazione dello Stato dalla religione all'insegna dell'"etsi Deus non daretur", e di liberazione da essa dello stesso individuo, sostituendo l'autorità dei precetti con un sistema di valori razionali basati sulla scienza. Emanuele Kant, pur condividendo l'intento illuminista di liberare gli uomini «dall'incapacità di servirsi del proprio intelletto senza la guida di un altro», avrebbe rivendicato il diritto di ciascuno di avere il suo Dio. Ma tutto ciò che questa posizione ottenne fu che la religione rimanesse come affare soltanto privato, combattuta da chi, come Augusto Comte, la riteneva propria di uno stadio primitivo della civiltà umana, e destinata ad essere superata dalla scienza. «Se ha ragione Darwin, la Bibbia è tutta un'invenzione».
Fu a questo punto che l'aggettivo "bieco" cominciò ad affiancarsi al sostantivo "illuminismo" nelle riflessioni della Chiesa, la quale, per difendersi, si legò sempre di più ai vecchi regimi mentre tutto stava cambiando in Europa, dando così spago ulteriore a chi la presentava come bastione della preistoria. Non dimentichiamo poi che in Italia, nonostante la perdurante vigenza di uno Statuto che faceva della cattolica la religione ufficiale dello Stato, il neonato Regno unitario avrebbe addirittura privato la Chiesa del suo Stato, e molti conventi dei loro beni, accentuando tensioni e distanze. Il 1870 è, significativamente, l'anno della breccia di Porta Pia e della dichiarazione dell'infallibilità del Papa sulle questioni di fede e di morale.
Il Concordato cambiò il clima dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, non l'humus culturale a cui si dovevano le divergenze fra credenti e non credenti su laicità, scienza e fede e dintorni. Lo fece però, anche se evidentemente non lo fece per tutti, quello che accadde negli anni immediatamente successivi, dalla tragedia del nazismo alla guerra conclusa con un ordigno atomico, prova della capacità raggiunta dalla scienza non solo di migliorare il mondo, ma di distruggerlo.
Di sicuro molte cose sono cambiate da allora. C'è stato il Concilio Vaticano secondo, è stato riabilitato Galileo, un grande papa ha scritto che Dio si è reso impotente per renderci liberi di assumere le nostre responsabilità. E in società sempre più corrose dalla ricerca di appagamenti materiali, la religione è riemersa come fonte tra le più capaci di dare risposta alla domanda di senso, di senso delle nostre vite, mentre i limiti invalicabili per la scienza e quindi il rifiuto del principio "might is right" (se si può fare, è giusto farlo) sono entrati nel bagaglio culturale degli stessi non credenti. Nella società post secolare messa a fuoco da Jurgens Habermas si sono intrecciati fra credenti e non credenti proficui dialoghi post secolari.
Ma se è così, non ce n'è forse abbastanza perché ogni volta che si apre una questione la Chiesa non si senta assediata come ai tempi di Comte e di Porta Pia e non reagisca con scomuniche e vade retro? E non ce n'è abbastanza perché non si compatti l'antico fronte laico, nel quale continuano a guizzare le aspettative liberatorie (dalla religione) di due secoli fa? La mia risposta è assolutamente sì, ma devo constatare che per una serie di ragioni, che vanno dal ritorno dei fondamentalismi in tante parti del mondo, Stati Uniti compresi, alla specialità dell'Italia per una Chiesa che ha in Italia la sua Santa Sede, da noi i fondamentalismi, anziché correggerli, tendiamo ad alimentarli da una parte e dall'altra.
Davanti all'ennesimo ritorno dei moschettoni, risfoderati per combattere o difendere il valore riconosciuto all'insegnamento della religione cattolica nelle nostre scuole, chiedo con tutte le mie forze ai contendenti di uscire dai loro panni antiquati e di ricostruire il loro rapporto, non sull'antica sfiducia reciproca, ma sulle ragioni nel frattempo insorte di possibile fiducia. Lo chiedo, se posso permettermelo, alla Cei e ai cattolici, perché accettino come segni distintivi del cristiano quelli indicati da Locke, la carità, la mitezza e la benevolenza anche verso coloro che non professano la fede cristiana. E lo chiedo, forse ancor più, ai non credenti, i quali non rimuoveranno la diffidenza della Chiesa sino a quando continueranno a teorizzare che le leggi si fanno solo per dare spazio alle libertà individuali e non anche per porre ad esse quei limiti che corrispondono ai vincoli morali da cui la società è tenuta insieme.
Lo so che qui viene subito agitato lo spettro dello Stato etico, ma è uno spettro fuori posto. La verità è che una società che non sa identificare i vincoli morali che la uniscono dimostra di non esistere. La Chiesa ha ragione nel dire che non esistono solo gli individui, ma esiste e deve esistere anche la società. È il contrario di quanto sosteneva la signora Thatcher ed è bene che se lo ricordi in particolare la sinistra, che non può essere più thatcheriana di lei.

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5 settembre 2009
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