Per un'etica condivisa tra laici e cattolici
La laicità è una storia che viene da lontano. Non un dogma, ma una storia. Nell' Ottocento fu la battaglia per l' emancipazione dall' ancien régime e dalla Chiesa. Stato, nazione, cittadinanza, comunità culturale coincisero nell' identità patriottica. Due France, laica e cattolica, entrarono in lotta. Avvenne pure in Italia con lo Stato unitario e Roma capitale. La laicità non è solo separazione dalla Chiesa o posizione anticlericale, ma realizzazione dell'identità dello Stato. Fu religione della laicità e della nazione. Tra laici e cattolici, un forte confronto sale dal Risorgimento: è ben noto. L'accoglienza dei Patti del Laterano nella Costituzione sembrò chiudere la storia e fare della laicità un tema per studiosi. La Dc, perno del sistema italiano per 40 anni, è stata accusata di aver clericalizzato lo Stato. La «laicità democristiana» ha teso invece a superare lo scontro tra guelfi e ghibellini, come voleva De Gasperi. Ma non ha potuto gestire in Parlamento due gravi questioni, il divorzio e l' aborto, all' origine di referendum. Di nuovo, con i referendum, si profilarono due Italie: laica e cattolica. Appariva all' orizzonte la questione sull'etica, la vita. Rinasce oggi il conflitto tra laici e cattolici, come ieri, anche se non più sulla questione romana, ma su quella antropologica? Tale conflitto mette in difficoltà i due poli politici (plurali al loro interno). Ma c'è un fatto da notare. Il tempo è passato e le culture si sono incrociate. Croce scriveva: perché non possiamo non dirci cristiani. Aveva ragione. Un laico sente le acquisizioni del Cristianesimo dentro la laicità. Anche i cattolici possono dire: perché non possiamo non dirci laici. C'è una laicità del cristiano. Tutto è complesso. Eppure il funzionamento dell'opinione pubblica, come un talk show gridato, gioca alla contrapposizione. Il problema, a mio avviso, è invece lavorare per una laicità condivisa, che affronti in modo serio le grandi questioni nazionali, umane, antropologiche, con la convinzione che nessuno ha il monopolio della modernità. Siamo tutti più perplessi di quanto sembri di fronte al futuro. Il conflitto tra le due Italie è fuori luogo, perché il mondo è cambiato. È stato smentito quell'assioma della cultura occidentale per cui più modernità avrebbe significato meno religione: una storia che scorre inesorabile verso la secolarizzazione universale. Ci si trova invece a fronteggiare i fondamentalismi con la riscoperta della laicità. Siamo in un tempo di crisi, non solo economica, ma di identità. L'Italia è sfidata. Diventa multireligiosa con ortodossi, musulmani e altri. Non è più una questione solo tra laici e cattolici. A quale identità si avvia il Paese? Una federazione di identità differenti? Lo scenario si allarga. Di fronte ai «nuovi italiani» dell'immigrazione, alla globalizzazione, ai giganti asiatici, che vuol dire essere italiani? Bisogna riprovare a dire cos'è l'Italia e chi sono gli italiani. C'è da costruire una laicità condivisa nel senso profondo della parola, laòs, popolo. Oggi la laicità si connette all'identità nazionale. È un grande cantiere culturale ed educativo. Ieri, partiti ideologici erano portatori di visioni del Paese. Oggi è diverso. Laicità è ricerca ragionevole, possibile, del bene comune, al di là del messianismo o delle passioni di parte. Ci sono grandi differenze, ad esempio sui temi della vita. Ma i valori del mondo religioso sono tutt'altro che regresso. Ridire l'identità italiana in modo laico coinvolge la Chiesa, tutt'altro che estranea al Paese per la storia, l' eredità umanistica di pietas che segna l' umanesimo italiano. Perché il cristianesimo in Italia è una religione di popolo, parte vitale dell' eredità storica e dell'attualità. Se si prescinde dal cristianesimo italiano, non si può costruire un'identità nazionale condivisa. Il rabbino Jonathan Sacks ha notato: «Il relativismo è inadeguato alla sfida dell'affermazione etnica e dei sistemi di credo esclusivi». C'è una crisi spirituale del nostro tempo, nel vuoto di menti e di cuori, all' origine della violenza dei giovani. La crisi dell' uomo italiano è anche spirituale. Resto fedele alla lezione di Olivier Clément: «Convocare lo spirituale nel cuore della cultura europea: se non vogliamo ritornare all' uomo delle caverne, dobbiamo scoprire l' uomo interiore nelle caverne dell' uomo». Nella crisi della banlieue parigina il detonatore non fu l'islam (erano bande interetniche), ma il vuoto. Régis Debray commentò quegli episodi: «Qui il problema non è la troppa religione, ma la sua scarsa quantità». Il vuoto produce identità contro, senza cultura, espresse da una pratica aggressiva. È pericoloso in tempo di crisi. Si ricordi l' antisemitismo o i movimenti totalitari dopo la crisi economica del 1929. Esclusivismi aggressivi crescono nel vuoto e nella paura di uomini e donne spaesati. Bisogna ridire agli italiani cos' è l'Italia. Le identità non si inventano. Come sono effimere le operazioni che creano arbitrariamente il pantheon delle nuove identità partitiche! Bisogna costruire una laicità di tutti, non facilmente irenica, capace di vivere nelle diversità, ma di dire che c'è un destino comune alla comunità nazionale: laicità di tutti per dire una nuova identità nazionale. È il problema posto da Sarkozy, parlando di «laicità positiva»: «Dobbiamo tener insieme i due capi della corda: accettare le radici cristiane della Francia, e anche valorizzarle, continuando a difendere la laicità giunta a maturità». Benedetto XVI gli ha risposto, insistendo sulla necessità di «una più chiara coscienza della funzione insostituibile della religione per la formazione delle coscienze e del contributo... insieme ad altre istanze, alla creazione di un consenso etico di fondo». Il presidente francese ha auspicato «una laicità che rispetti, una laicità che riunisca, una laicità che dialoghi. E non una laicità che escluda e che denunci». In Italia non c'è un culto sacro della laicità o un complesso cattolico di fronte allo spazio pubblico. Ci sono però un involgarimento del dibattito e tanta timidezza verso le grandi imprese. Non si deve pensare invece a un grande disegno, a cui lavorino cultura, cristiani, laici, ebrei? Dobbiamo non avere paura di investire sul lungo periodo. C'è bisogno di visioni. Nel 2011 ricorrerà il centocinquantesimo dell' Unità: è il tempo di dire al Paese qualcosa di nuovo, coinvolgente, dalle radici antiche, ma proiettato sul futuro.
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