IN POLITICA

A quattro settimane dal voto del 25 settembre
Il sistema elettorale
torna a formare il governo

I collegi uninominali decisivi
nella sconfitta del Partito Democratico e di tutto il centrosinistra

di Tino Bedin

Siamo a quattro settimane dal voto e c'è il governo della Destra a guida Fratelli d'Italia.
Era dalle elezioni vinte dal centro-destra nel 2008 che il sistema elettorale non riusciva a convertire una maggioranza relativa di voti in maggioranza assoluta di seggi. Quindi, a differenza di quanto successo nel 2013 e nel 2018, il governo è il risultato diretto del voto come è stato dal 1994 al 2008.
Non sarebbe successo senza la componente maggioritaria del sistema elettorale. Con la divisione nel campo del centro-sinistra, il centro-destra ha vinto circa l'80 per cento dei collegi uninominali, arrivando così alla maggioranza assoluta nelle due Camere.

Nel centrodestra la grande distribuzione
Il centrodestra ha guadagnato 136 mila voti rispetto al 2018. Lega e Forza Italia hanno perso rispettivamente tre milioni e due milioni di consensi, a livello nazionale: 5.5 milioni. La Meloni ne ha guadagnati 5.8. Come si vede c'è stata soltanto una redistribuzione.
Sono soprattutto elettori di centro-destra, stanchi di Berlusconi e delusi da Salvini, che hanno deciso di giocare la carta Meloni. Da anni all'interno di questo schieramento si assiste a un continuo rimescolamento di elettori tra le sue diverse componenti. Il declino di Berlusconi prima ha favorito Salvini e ora la Meloni.
Con il suo 26,1 per cento di voti, FdI è diventato anche il partito di destra radicale più forte in Europa occidentale.
Per la Lega sono state elezioni disastrose. È passata dal 17,4 per cento delle Politiche 2018 e dal 34,3 delle Europee 2019 all'8,9 del 25 settembre. Non è più il primo partito nelle regioni del Nord, ma nemmeno il secondo. Anche in Lombardia e Veneto è arrivata terza dietro FdI e PD.

Nel centrosinistra la grande divisione
Il Partito Democratico ha perso e mastica amaro, non perché non abbia vinto arrivando al governo: nessuno, nelle condizioni date, lo poteva pensare. E nemmeno perché non sia diventato il primo partito, ipotesi lanciata all'inizio della campagna elettorale ma poi molto sfumata. È che, a livello nazionale, ha perso un milione di voti rispetto al 2018, consensi acquisiti - e le analisi dei flussi elettorali lo confermano - dalle varie formazioni nate nel frattempo dalle scissioni in casa dei democratici.
Eppure, leggendo le percentuali rispetto al 2018, solo due partiti sono avanzati: Fratelli d'Italia in maniera strepitosa, e il PD di una inezia (+0,2 per cento). Tutti gli altri - Lega, M5s e Forza Italia - hanno subito sconfitte catastrofiche, dimezzando o quasi le percentuali precedenti. L'aspettativa per il Partito Democratico era però ben diversa. Di qui la delusione.
D'altronde non poteva andare diversamente visto il divario di voti con la coalizione di centro-destra. Il centrosinistra ha perso clamorosamente. Sono state le elezioni meno competitive della Seconda Repubblica. Mai si è registrato un distacco così ampio tra la coalizione vincente e quella perdente, quasi 18 punti percentuali.
Il centrosinistra è risultato meno convincente e meno competitivo, certamente anche perché ha corso diviso contro un avversario che invece ha saputo presentarsi unito, almeno apparentemente.
Il PD ha provato a fare alleanze. Non è stato possibile farle. Con i 5S è stato impossibile dopo la caduta del governo Draghi. Il campo largo è saltato e non si è potuto recuperare. In vista del voto aveva stipulato un patto di governo scritto con Calenda, che prevedeva anche altre alleanze elettorali; Calenda, dopo averlo sottoscritto, è venuto meno, preferendo l'abbraccio di Renzi.
La campagna elettorale ha fatto il resto. Il PD ha avuto contro tre avversari: un centrodestra coeso e compatto, Azione-Italia viva e il Movimento Cinquestelle.

23 ottobre 2022



Aggiornamento
15 novembre 2022
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Tino Bedin