La pietà popolare non ha mai utilizzato molte parole, né lette né scritte. All'inizio del secolo scorso proprio non le aveva, perché a scuola andavano in pochi e l'analfabetismo era diffuso. In questo secolo sta dimenticando le parole: le usa poco, preferendo guardare ed ascoltare. Restano così gli echi della formazione giovanile, che alimentano nostalgie socioculturali del tempo passato e danno soluzioni a tutto con la semplificazione delle formule catechistiche.
L'analfabetismo funzionale non è un fenomeno tipicamente religioso. La regressione dalla scrittura all'oralità e dalla lettura alla visione ha generato l'analfabetismo con laurea (la definizione è del linguista Tullio De Mauro tre lustri fa), che si è puntualmente replicato al recentissimo concorso per aspiranti magistrati. Succede da tempo in tutto l'Occidente.
Succede, quindi, anche nella Chiesa; anzi nelle Chiese sia europee che americane.
Il "fortino" di una pietà popolare
fondata sull'istruzione ricevuta da bambini
Il fenomeno generale è ampiamente analizzato; un po' meno per quanto riguarda le religioni. Da noi già dal 2014 c'è un "Rapporto sull'analfabetismo religioso in Italia", coordinato dallo storico Alberto Melloni all'interno di un progetto cui collaborano storici, teologici, giuristi, sociologici. Nelle statistiche e nelle analisi socioculturali resta però un capitolo marginale, da cui si estraggono prevalentemente "curiosità" piuttosto che questioni culturali, sociologiche o politiche.
È una curiosità sapere che alla domanda "Quanti sono i dieci comandamenti?" non hanno saputo rispondere 30 italiani su cento. È una questione culturale con dirette conseguenze sulla religiosità il non saper legge testi lunghi e complessi: significa, ad esempio, che delle parole profetiche di Papa Francesco si "orecchia" solo quello che passa in tv; dovrebbe comportare, ancora come esempio, una revisione contenutistica e strutturale delle omelie domenicali, che pur rivolte ad una minoranza sono comunque in grado di raggiungere settimanalmente circa sette milioni di persone credenti in Italia.
Privo di aggiornamento personale (attraverso la lettura) e di aggiornamento comunitario (attraverso le omelie), l'analfabetismo religioso rafforza inevitabilmente il "fortino" di una pietà popolare fondata sull'istruzione ricevuta da bambini, che resta - anche se non praticata - l'unica ritenuta efficace. Soprattutto è ritenuta l'unica legittima, perché è l'unica che si crede di conoscere. L'analfabetismo religioso, come nel suo insieme l'analfabetismo funzionale, ha diffidenza e spesso risentimento verso gli "intellettuali", nei confronti dei quali rivendica la "orgogliosa ignoranza" del popolo. Ma il popolo non ha l'esclusiva di questa denominazione d'origine.
Una buona carta
al bancomat del consenso politico
L'esonero dalla conoscenza traduce in opinioni semplici (semplicistiche?) complesse questioni teologiche, storiche, religiose. Tutti parlano. Tutti sanno.
Sono sicuri di sapere di religione - ad esempio - gli esperti della Commissione Europea autori della circolare interna in cui tra le altre cose si suggeriva ai funzionari di Bruxelles (era in vista lo scorso Avvento) di sostituire, nelle comunicazioni, "Natale" con "festività" e i nomi come "Maria" e "Giovanni" con "Malika" e "Julio".
La circolare è diventata immediatamente moneta al bancomat del consenso politico e sono corse a riscuoterla in Italia e in Europa le forze politiche che utilizzano la carta della "pietà popolare", in questa occasione con il "pin" dell'identità cristiana europea.
Giustamente subito ritirate, quelle linee-guida della Commissione europea erano anch'esse frutto dell'analfabetismo religioso (in questo caso con laurea). Lo ha involontariamente ammesso la commissaria europea all'Uguaglianza, Helena Dalli, quando ha spiegato che scopo del documento era "illustrare la diversità della cultura europea e mostrare la natura inclusiva della Commissione europea verso tutti i ceti sociali e le credenze dei cittadini europei"; e che lo ritirava perché "non è un documento maturo e non soddisfa tutti gli standard di qualità della Commissione".
Come si possa essere inclusivi, escludendo il Natale e tutte le donne europee che portano il nome di Maria, è già un prodotto tipico con il marchio "Orgogliosa ignoranza" religiosa.
L'analfabetismo religioso strutturale di quelle linee-guida è però nella pretesa di trattare l'esperienza religiosa esclusivamente come una nomenclatura, come se "Natale" e "Maria" fossero solo parole. In questa riduzione a nomenclatura quei funzionari europei sono in compagnia degli "atei devoti", che si sono scagliati contro di loro proprio a difesa solo di parole.
L'esibizione della fede continua, infatti, ad essere una buona carta al bancomat del consenso politico. È cambiato però il pin. Nel secolo scorso si utilizzava la combinazione tra pratica religiosa personale e adesione alla Dottrina sociale della Chiesa. In questo secolo funziona la combinazione tra vetrina di oggettistica religiosa (rosari, immaginette, santini) e adesione alla "pietà popolare".
Non è però la politica che ha cambiato carta. Sono gli elettori che hanno cambiato il bancomat di distribuzione del consenso.
La pratica religiosa personale è ininfluente nella vita privata e lo è quindi anche nella vita pubblica.
Le encicliche sociali, complesse e profetiche, mettono in confusione l'attuale bancomat del consenso: a distribuirlo è, infatti, un elettorato che si schiera senza esitazione a difesa del presepe di cartapesta nelle scuole, ma che senza discussione non vota chi considera compito della politica assicurare almeno una mangiatoia per bambini in carne e ossa ai confini tra Polonia e Bielorussia.
5 dicembre 2021