Via 20 Settembre a Padova si conclude con il monumento ai bersaglieri. È la sintesi di come la stragrande maggioranza degli italiani ha memorizzato la data del 20 settembre 1870: due cannonate sulle mura Leonine di Roma, la breccia di Porta Pia, i bersaglieri che entrano di corsa a Roma che da capitale dello Stato Pontificio diventa così la capitale del Regno d'Italia.
C'è dell'altro? Allora, come ora che sono passati 150 anni, c'è chi vi aggiunge lo scontro tra i laicisti e i papalini, con la vittoria dei primi.
I reduci di Porta Pia - Una "vittoria mutilata" anche questa però, a sentire i laicisti, perché non è celebrata abbastanza, perché non è la festa principale dell'Italia unificata; anzi non è più nemmeno festa. Festa nazionale lo è stato il 20 settembre per un po' di anni, fino ai Patti Lateranensi del 1929, che chiusero il contenzioso Stato-Chiesa. Parve allora opportuno non conservare la festa di una delle due parti. E così continua ad apparire da ormai quasi un secolo. Ma l'anniversario dei 150 anni ha rivitalizzato i… reduci di Porta Pia.
Leggo oggi sul maggior quotidiano della Capitale il titolo: "È tempo che la Breccia diventi festa nazionale", nel quale la rivendicazione è accompagnata dalla sconsolata constatazione che non solo i politici ma anche la "coscienza pubblica non ha mai dato il giusto rilievo a questa data", subito ammonendo: "Il che è gravissimo e denota subalternità al potere clericale". A causa di questa subalternità "sempre strisciante al clericalismo, manca una rivendicazione piena dell'orgoglio laico".
Clericalismo e laicismo, come si legge in queste affermazioni, si confondono l'uno nell'altro, quando utilizzano parole come "orgoglio" o quando rivendicano primazie e investiture mai ricevute o quando l'alta considerazione di sé rende insignificante ogni altra persona, al punto da proporre che il "momento di ricostruzione nazionale dopo l'emergenza Covid" è una buona occasione "per dire che la giornata del 20 settembre va reintrodotta nelle festività del calendario laico del nostro paese".
Il vescovo di Roma pellegrino - L'emergenza Covid-19 ha però mostrato esattamente l'opposto di quello che hanno "visto" i laicisti del quotidiano romano.
Abbiamo visto proprio il vescovo di Roma, Papa Francesco, pellegrino solitario in via Del Corso per rappresentare tutti i romani nell'implorazione della fine della pandemia. Abbiamo ascoltato Papa Francesco invitare costantemente i fedeli a sostenere l'azione delle istituzioni civili nella lotta al Covid-19. Abbiamo trovato altari vuoti nelle chiese italiane perché la Chiesa italiana ha aderito subito alla sospensione delle celebrazioni religiose, dando dimostrazione di qualità civiche indispensabili: comprensione della gravità della situazione e servizio al bene comune. Non c'è stata nessuna rivendicazione di esenzione o privilegio per la Chiesa e la comunità dei credenti. Non lo ha fatto la Chiesa italiana e non lo ha fatto la Chiesa francese: lì per la prima volta nella storia è stato chiuso anche il santuario mariano di Lourdes. Solo quando il "laicismo di Stato", anche quello sempre presente come il clericalismo nella Chiesa, ha preteso di posporre il bisogno di culto a molti altri bisogni: quello di un… gelato, ad esempio, solo allora la Chiesa italiana ha richiamato il rango costituzionale (non clericale) che la libertà di culto ha in Italia; subito dopo concordando con le istituzioni tutte le modalità di sicurezza e dando loro attuazione, senza sbavature fino ad oggi. E con questo ha sottratto tutti gli argomenti agli atei devoti della destra italiana, già pronti a baciare (solo in pubblico) rosari e crocifissi.
Così migliaia di comunità parrocchiali e tutta la Chiesa italiana hanno contribuito a rafforzare le istituzioni repubblicane nell'anno della pandemia e del 150° anniversario della Breccia di Porta Pia.
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