IN POLITICA

A mezzo secolo di distanza non genera solo ricordi; suscita piuttosto discussioni
Il Sessantotto non è un anno
ma un tempo

Le esigenze di cui il movimento studentesco globale si stava allora facendo interprete erano profondamente concrete, contemporanee, non velleitarie

di Tino Bedin

L'urlo ritmato era insieme minaccioso e speranzoso: "Ce n'est / qu'un début, / continuons le / combat". Se lo sentivano ripetere i parigini nel maggio di cinquant'anni fa: "Quello cui state assistendo non è che l'inizio, noi continueremo a combattere". Quello che nel 1968 vedevano e sentivano i parigini dal vivo e tutto il mondo in tv erano dimostrazioni studentesche con tanto di barricate nel Quartiere Latino, l'occupazione dell'Università della Sorbona, trecento fra maggiori fabbriche francesi occupate, sciopero generale, scontri con le forze dell'ordine, con migliaia di feriti e anche un morto. E quell'urlo "Ce n'est qu'un début, continuons le combat" riecheggiava, con la stessa minaccia, con la stessa speranza e perfino nella stessa lingua, in tutta Europa, anche in Italia.
La minaccia, che riguardava i cittadini spettatori, era in quell'inizio, nel senso: "Aspettatevi dell'altro, molto altro". La speranza, che alimentava i giovani protagonisti, era in quel continuiamo, nel senso: "Non ci fermeremo; non ci fermerete".
Invece non era quello l'inizio, perché il Sessantotto era cominciato da tempo e neppure a Parigi. E non continuò a lungo la lotta studentesca: né a Parigi né altrove; a Parigi meno che altrove: il 30 maggio un'imponente manifestazione organizzata dal partito gollista fa il pari con l'immenso corteo di studenti, e anche di operai, che il 13 maggio avevano invaso Parigi. Tre settimane dopo, il 22 giugno, sono tutti i francesi a rispondere alla contestazione studentesca con il voto che dà una maggioranza schiacciante al presidente Charles De Gaulle: il "Maggio francese" finisce lì.

Contemporanei di Aldo Moro e Paolo VI. Dura però il Sessantotto, forse perché non è un anno ma un tempo. Per questo a mezzo secolo di distanza non genera solo ricordi; suscita piuttosto discussioni: anche queste prevalentemente tra chi c'era; proprio come allora.
C'era Aldo Moro, lo statista cattolico che dieci anni dopo sarebbe stato assassinato dalle Brigate Rosse. Egli descrive la coalizione di centro-sinistra che aveva già guidata al governo, come "un incontro reso possibile e richiesto dalla moderna società italiana, adatto per rifletterne e favorirne l'ansia di rinnovamento e di evoluzione umana. Questa ansia è ora diventata meno dominabile; si è tradotta in protesta imperiosa ed impaziente, ha messo a dura prova forze politiche. (…) Tempi nuovi si annunciano ed avanzano in fretta come non mai. Il vorticoso succedersi delle rivendicazioni, la sensazione che storture, ingiustizie, zone d'ombra, condizioni d'insufficiente dignità e di insufficiente potere non siano oltre tollerabili, l'ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all'intera umanità, la visione del diritto degli altri, anche dei più lontani, da tutelare non meno del proprio, il fatto che i giovani, sentendosi ad un punto nodale della storia, non si riconoscano nella società in cui sono e la mettano in crisi, sono tutti segni di grandi cambiamenti e del travaglio doloroso nel quale nasce una nuova umanità".
C'era anche Paolo VI in quel 1968. Così, avendo bene in mente il Concilio, il Papa sperava: "Noi avremo un periodo di più grande libertà nella vita della Chiesa e di conseguenza di ciascuno dei suoi figli. Questa libertà significherà meno obblighi legali e meno inibizioni interiori. La disciplina formale sarà ridotta, ogni arbitrio sarà abolito, così come ogni intolleranza, ogni assolutismo. La legge positiva sarà semplificata, l'esercizio dell'autorità temperato, il senso della libertà promosso".

I segni dei tempi. Una domanda, non per risponderci ma per pensarci: quanto sono distanti il "Vietato vietare" (slogan nato alla Sorbona occupata) e "L'esercizio dell'autorità temperato, il senso della libertà promosso" (Paolo VI)?
Ancora, non per risponderci ma per pensarci: "L'ampliarsi del quadro delle attese e delle speranze all'intera umanità" (Aldo Moro) ha forse contagiato migliaia di addetti alle presse della Fiat di Torino, che nel maggio del 1969 anticipano l'Autunno caldo italiano, incitando allo sciopero al grido di "Agnelli, / l'Indocina / ce l'hai / nell'officina", mettendo insieme la loro lotta e quella dei vietcong contro gli americani?
Non tutta la politica, non tutta la Chiesa, certo, avevano la capacità di interpretare quelli che avevamo imparato a chiamare i "segni dei tempi", ma se per capire il Sessantotto oggi possiamo ricorrere a quanto sostenevano Paolo VI e Aldo Moro proprio nel 1968 (le due citazioni sono di quell'anno) significa che le esigenze di cui il movimento studentesco globale si stava allora facendo interprete erano profondamente concrete, contemporanee, non velleitarie.

6 maggio 2018


26 settembre 2018
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Tino Bedin