Avremmo voluto sentir ragionare non sulle date del congresso, ma sul come far parlare e partecipare gli iscritti al congresso.
È una necessità specialmente dopo che si è conclusa la scissione da parte di Bersani e di altri dirigenti e iscritti. Proprio questo indebolimento del partito dovrebbe spingere tutti ad evitare che il congresso sia una sfida sempre più personale invece che un confronto sui contenuti programmatici. Insistere sulla personalizzazione non farà che rendere ancora più fragile il Partito Democratico in uno scenario di fragilità ben più accentuate.
Ora la data delle primarie del Partito Democratico c'è. Segniamo il 30 aprile 2017 non solo per ricordarci di andare a votare, ma perché potrebbe essere un'altra data come il 4 dicembre 2016: a furia di farne una questione capitale e personale, è alto il rischio che le Primarie diventino un altro "referendum" improprio, al quale con motivazioni diverse potrebbero partecipare in molti.
Il Pd va infatti al congresso con le regole che ha. Probabilmente sono regole non più adeguate alla situazione presente.
Cito qualche tema.
Non solo Primarie. Le Primarie compiono 10 anni. Le hanno introdotte i democratici da soli in Italia, sperimentate, valutate. Sono uno strumento consolidato, che continua ad essere valido e che può essere tuttavia arricchito da altri momenti di confronto, di scelta e di decisione.
Penso che questo arricchimento sia necessario, se si vuole continuare a definire "congresso" questo appuntamento di partito. Ad esempio neppure in questo congresso non c'è una sede in cui i delegati discutono le mozioni e poi le votano. Strumenti della storia? Non saranno poi strumenti troppo vecchi se ancora vengono utilizzati in Francia, in Germania, nel Regno Unito, in Spagna.
La base elettorale. È probabile che un qualche elemento di chiarezza democratica vada introdotto se si vuol continuare a far scegliere il segretario di un partito da tutti gli italiani che lo desiderano.
Il 2 marzo Alessandra Ghisleri, la sondaggista direttrice di Euromedia Research, ha evidenziato che si sta profilando un "fenomeno stranissimo": "Dalla metà alla fine di febbraio, quelli che dicono che andranno a votare per il congresso sono passati da 3 milioni e mezzo a 4 milioni e mezzo. Quindi sono aumentati di 1 milione". Tutto questo "entusiasmo" mal si concilia con l'ultimo sondaggio di Ilvo Diamanti, che segnala il Pd al 27,2 per cento, dopo i 5Stelle. E mal si concilia con la rilevazione che Nando Pagnoncelli ha pubblicato domenica 5 marzo sul Corriere: "Cresce la sfiducia nel governo. Lo boccia un italiano su due".
Può darsi che i sondaggi registrino già una risposta ad Emiliano che ha invitato a votare alle primarie in questo modo: "Di qualunque partito siate, venite a votare contro Renzi". Se così fosse il congresso diventerebbe non una discussione ma un campionato di lotta libera.
Concentrato di partito e governo? Questo meccanismo elettorale aperto a tutti i cittadini, certamente meglio calibrato, fa bene alla democrazia e al partito se resta il principio che il segretario è automaticamente il candidato presidente del consiglio.
L'identificazione delle due funzioni in una sola persona è altro punto su cui discutere. Va fatta una valutazione anche sulla base dell'esperienza di questa legislatura. Un bilancio appena sommario indicherebbe una prevalenza di effetti negativi: il governo è privo di un interlocutore politico sia per sé sia per gli elettori; il partito diventa inevitabilmente cinghia di trasmissione del governo e non prepara - con l'ascolto politico - le soluzioni per il futuro; l'interesse organizzativo viene ridotto in quanto il partito guarda verso il centro e non verso la base.
Una valutazione infine va fatta anche in relazione alla legge elettorale. L'identificazione delle due funzioni è coerente con il sistema maggioritario. Se il sistema sarà diverso è necessario verificarne la coerenza.
Regole, non principi. Sarebbe opportuno che su questi temi si discutesse votasse nel congresso, prima di sapere chi vince e chi perde, cioè che si trovasse una sintesi sugli strumenti di partecipazione e di decisione, indipendentemente dalle singole mozioni. La mozione Renzi-Martina prevede ancora "un leader che si candida a guidare dapprima la nostra comunità politica e poi il governo del paese". La mozione di Orlando e quella di Emiliano propongono la non coincidenza forzata dei due ruoli.
Ci sono indubbiamente prospettive politiche diverse nelle due impostazioni, ma si tratta di regole e non di principi. Ed è meglio valutarle prima dei principi.
12 marzo 2017