IN POLITICA

Dopo il risultato del referendum
non ci si è fermati ad ascoltare l'opinione pubblica

Il Pd non poteva guarire
dalla frattura sulla Costituzione

Fare della legge elettorale un tema da elaborare nel congresso nazionale

di Tino Bedin

Il referendum costituzionale è scomparso. Neppure cotto e mangiato; bruciato, piuttosto, e quindi buttato: chi l'ha vinto non s'è curato di farsi carico del risultato e di tener vivo il gusto delle prospettive che aveva proposto agli italiani; chi l'ha perso s'è intestato la sconfitta avendo in mente la rivincita.
Avremmo invece voluto fermarci almeno un attimo dopo il clamoroso risultato del referendum costituzionale, per ascoltare meglio l'opinione pubblica.
Non ritorno sui contenuti della riforma della Costituzione oggetto del dibattito referendario. In questo momento non servono per il traguardo che abbiamo davanti, cioè il congresso del Partito Democratico. Mi pare più utile richiamare alcuni aspetti esterni per così dire alla norma, che possono aiutare il cammino del partito.
Il risultato del referendum del 4 dicembre, che ha visto la sconfitta della proposta politica e istituzionale del Partito Democratico, anche per le dimensioni di questa sconfitta, segna indubbiamente uno spartiacque nell'intera evoluzione politica italiana. È difficile prevedere quanto a lungo questa frattura sia politica sia istituzionale durerà: i commentatori concordano nell'utilizzare come unità di misura i decenni e non gli anni. Di sicuro sarà questo l'orizzonte dentro al quale nascerà il prossimo Parlamento: Senato della Repubblica e Camera dei deputati.

Nessuna divisione crea speranza. Mi sono tuttavia fatto convinto che la frattura più grave fosse già avvenuta prima di domenica 4 dicembre. La frattura è avvenuta quando è stata accettata l'idea che sulla Costituzione, cioè sullo strumento pensato per rendere coesa una comunità di persone e di aspirazioni, non solo ci si barricasse tra partiti, tra maggioranza e opposizioni, ma all'interno dei partiti, all'interno del maggior partito, quello che aveva ed ha la responsabilità del destino della comunità. Come potevano gli italiani dare speranza al loro futuro con una Costituzione aggiornata se questa speranza non era garantita neanche da un partito forte e credibile quale è il Partito Democratico?
Dall'accettazione di quella frattura è nata la sconfitta al referendum, almeno nelle proporzioni in cui è avvenuta. Dall'accettazione di quella frattura è cominciata la scissione del Partito Democratico, che lentamente è arrivata fino a sabato 25 febbraio.

Un "combinato disposto" inutilmente azzardato. Forse la riforma costituzionale sarebbe stata bocciata lo stesso. Ed ancora per ragioni che poco avevano a che fare con il testo della Costituzione aggiornata.
Un limite originale del referendum è stato intestare al presidente del consiglio e al Pd un referendum istituzionale che sarebbe stato più prudente lasciare all'opposizione. Governo e Pd avevano già vinto in Parlamento, non avevano bisogno della rivincita. Questa sarebbe stata certo richiesta dalle opposizioni, ma allora il referendum sarebbe stato naturalmente legato al tema e non sarebbe stato un referendum sul governo e sul Pd.
Uno dei limiti esterni alla proposta di riforma costituzionale era costituito dalla legge elettorale. Nella frenesia che ha finito per oscurare (non solo in questo caso) il molto di buono fatto dal governo Renzi, si è passati ad una legge elettorale monocamerale prima ancora di avere una sola Camera elettiva. Il "combinato disposto" tra riforma costituzionale e legge elettorale è stato uno dei motivi forti del No alla riforma, che pure non comprendeva la legge elettorale. Una procedura più lineare, cioè scrivere la legge elettorale sulla base della Costituzione effettivamente vigente, avrebbe tolto quell'argomento dal dibattito, senza ridurre le opportunità riformatrici: la legislatura in corso aveva tutto il tempo necessario per adempiere a questo compito.

Ora tocca proprio al partito. Doveva essere una legislatura costituente, e Matteo Renzi ha avuto il merito di questa intuizione e di averla perseguita con determinazione. Ci ritroviamo con una Costituzione che difficilmente sarà modificata anche su temi per i quali la disponibilità era diffusa. Ad esempio, era condivisa l'idea che fare del Cnel un organo costituzionale fosse stata un'intuizione probabilmente giusta dei Padri costituenti, ma non suffragata dall'esperienza: meglio far senza. La parità di genere che la riforma introduceva nella Costituzione corrispondeva invece ad un sentire largamente condiviso, oltre ad essere coerente con l'impianto "promozionale" della Carta originale. È finita che ora ci troviamo con le due Camere elettive, due leggi elettorali diverse, tutte e due di fatto scritte dalla Corte costituzionale, con un'impostazione fortemente proporzionale e con i capilista bloccati, che aumentano contemporaneamente il potere e la frammentazione dei partiti. Il governo Gentiloni si è proposto come facilitatore di una legge elettorale meno rischiosa per la stabilità delle istituzioni. Ha ragione a non porsi come protagonista in questa materia, anche perché l'interventismo del governo precedente non aveva suscitato certo entusiasmi. Dunque uno dei compiti del Partito Democratico come forza di governo è quello di arrivare a questo risultato. Dovrebbe essere un tema per il congresso.

26 febbraio 2017


14 marzo 2017
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Tino Bedin