di Tino Bedin senatore Margherita-L'Ulivo
"L'Italia va meglio: è a crescita zero". Titolo di prima pagina del "Gazzettino" di lunedì 22 agosto 2005; titolo serio, che tuttavia comparirà nella prossima raccolta di umorismo involontario, che le condizioni drammatiche spesso generano.
Certo "zero" è meglio di "meno", ma lo "zero" resta il peggior voto che si potesse immaginare quando a scuola i voti arrivavano al "dieci". Ed è anche il peggior numero che si potesse immaginare per l'economia italiana, specie perché si tratta di uno "zero programmato" ed il ministro dell'Economia Siniscalco fa dire a tutti i telegiornali che è contento, perché era proprio quello che aveva pensato di "prendere". Adesso si va fieri anche ad indovinare le disgrazie.
Reddito fisso senza speranze. La crescita "zero" è infatti una pessima condizione per i milioni di italiani che faticano a farsi bastare stipendio o pensione: significa che la torta nazionale non lievita nemmeno di un po' e quindi che neppure un assaggino arriverà sulle loro tavole. Adesso questi milioni di italiani a reddito fisso dovranno stare bene attenti all'imminente legge Finanziaria, perché c'è il fondato rischio che per finanziare gli effetti speciali della campagna elettorale del 2006 (riduzione di tasse, grandi opere, federalismo, e via sparando) il governo chieda indietro un po' della torta familiare o comunale che ogni italiano si è messo da parte.
Il rischio è fondato: il governo, attraverso i propositi del sottosegretario Giuseppe Vegas (è l'esperto di leggi finanziarie della Destra, anche quando faceva il senatore di opposizione), ha già detto che gli servono soldi e che li prenderà dalla sanità, dagli enti locali e dal pubblico impiego. È come prenderli direttamente dai cittadini, visto che dovranno pagarsi di tasca propria quello che sanità, comuni e pubblico impiego forniranno di meno.
I numeri senza i conti. Sul quanto di meno ci sono due maniere di fare i conti. Sempre il mio collega senatore di Forza Italia Vegas dice che la Finanziaria sarà da 12 o al massimo 15 miliardi di euro. Il viceministro Baldassarri, che è sempre un collaboratore di Siniscalco, ma è un professore di Alleanza nazionale, sostiene invece che per far quadrare tutto la legge Finanziaria dovrà essere tra i 25 e i 30 miliardi.
Un governo che a poche settimane dalla presentazione della Finanziaria alle parti sociale e al parlamento spara cifre così diverse, evidentemente non sa nemmeno lui cosa vuole e così dà i numeri senza fare i conti.
Il governo sa che gli altri governi dell'Unione Europea hanno concesso una proroga al decifit italiano a condizione che si cominci a ripianarlo: significa che per questa proroga bisogna mettere in Finanziaria almeno 10 miliardi di euro per ridurre i debiti. Sa che ha promesso di togliere l'Irap: operazione che costa 4 miliardi di euro. Sa che ha assicurato la riduzione del costo del lavoro, che significa tirare fuori dal bilancio nazionale altri 5 miliardi di euro. Poi deve rinnovare la promessa iniziale, quella della lavagna con le Grandi Opere disegnate in diretta tv dall'aspirante presidente del Consiglio Berlusconi: quei disegni costano 12 miliardi di euro, per intanto. Ecco come Baldassarri arriva a 30 miliardi di euro per la Finanziaria.
Ma forse ha ragione Vegas: oltre all'annuale "cambiale del deficit" non si riuscirà a pagare null'altro nel 2006; inutile scrivere illusioni. Non si riuscirà a pagare perché soldi dalle famiglie non si possono più prendere e andare a toccare i beneficiari delle politiche economiche di Berlusconi, Tremonti e Bossi in questi quattro anni non è proprio il caso, se non si vuole perdere anche quei voti, oltre a quelli già volatilizzati di pensionati e lavoratori.
Il diversivo di Casini. Il fatto è che il centrodestra si baloccherà da settembre a dicembre con queste cifre, cambiando i numeri, costringendo il parlamento, compresi senatori e deputati di maggioranza, a lavorare per niente, rifacendo in continuazione i conti ed arrivando all'ultimo momento ad una qualche decisione, presa più per disperazione che per convinzione.
Anche questa è una pessima condizione per l'Italia. La Destra di Berlusconi e Follini, di Fini e di Calderoli non ha nemmeno la sensata astuzia della gran parte dei sindaci che si organizzano nell'ultimo anno del loro mandato per inaugurare lavori, aprire servizi pubblici, tenere ferme le tasse e le tariffe. I sindaci finiscono "in crescendo" il loro mandato perché - in genere - sanno quello che effettivamente la loro gente vuole. Questa Destra, dalla maggioranza parlamentare smisurata, arriva alla fine senza sapere che cosa fare, addirittura senza sapere che cosa dire.
Basta vedere il duetto tra Berlusconi e Casini. Invece di progettare l'Italia questo dibattito nella Destra progetta il futuro personale (con partito di contorno) per il presidente del Consiglio o per il presidente della Camera. Come se, dopo aver alzato la mano disciplinati per cinque anni, ci fossero nel centrodestra persone o partiti che possano chiamarsi fuori dal giudizio degli elettori.
22 agosto 2005
|