PARTITO DEMOCRATICO
Far amare le istituzioni, riducendone i costi
Politica, oh cara!
Il tema entra nel confronto elettorale con i cittadini grazie al Partito Democratico


sintesi a cura di Tino Bedin

Non è possibile essere contemporaneamente il paese con gli stipendi più bassi d'Europa e con i parlamentari più pagati del continente. Bisogna riequilibrare: occorre aumentare stipendi e pensioni e occorre riportare gli stipendi dei parlamentari ai livelli europei. In pratica, vanno tagliate le buste paga di deputati e senatori.
Gli italiani hanno capito perfettamente che nessun partito e nessuna coalizione di governo hanno mai affrontato seriamente l'argomento, al di là di sporadiche iniziative dal chiaro risvolto mediatico.
Proprio perché nei palazzi romani si è fatto poco per l'autoriforma della politica, diventa quasi intollerabile, agli occhi dei concorrenti, che qualcuno s'impadronisca del tema in campagna elettorale. Il PD con Veltroni lo ha fatto. Certo, servirà a poco ridurre i costi della politica, per l'obiettivo strategico di un taglio significativo delle spese. Quel che conta è il segnale simbolico. È uno dei segnali che ci conducono ad un paese sobrio, un paese dove i parlamentari guadagnino di meno e gli operai guadagnino di più.
Con queste motivazioni il Partito Democratico e il suo segretario Walter Veltroni hanno introdotto un tema nuovo nella campagna elettorale per il rinnovo del Parlamento. Grazie a questa iniziativa la riduzione dei costi della politica è non è più il tipico tema da affrontare in modo convergente e "bipartisan", lontano dai riflettori, come normalmente avviene. Le piazze piene e una diffusa attenzione popolare hanno convinto Walter Veltroni a perseverare su questo tema.

Meno lontani nello stile di vita. Secondo un recente sondaggio di "Repubblica", gli italiani sono preoccupati in primo luogo per il carovita, seguito dal lavoro incerto e precario e poi da malasanità e ambiente. Sono le quattro priorità dei cittadini; a ruota sono preoccupati della "casta politica": un quinto posto da non sottovalutare perché è anche il collettore dei risentimenti generati dalle mancate risposte alle prime quattro priorità.
Molto più bassa si fa la tolleranza verso gli sprechi, le ineguaglianze, le sproporzioni di status, se la politica che prima dava, comincia a smettere di dare e poi anche a chiedere, come non potrà non fare.
C'è un legame forte tra le ragioni di malcontento e i comportamenti di chi sta al comando. Se faccio fatica ad arrivare alla fine del mese e vedo che i connazionali in Parlamento guadagnano stipendi da umiliare i parlamentari americani, mi arrabbio. Se faccio fatica ad arrivare alla fine del mese e vedessi però che si sono dimezzati la paga, mi arrabbierei un po' meno.
I cittadini sono più esigenti, e la loro attenzione per la vita dei leader, e per quanto guadagnano, diventa più occhiuta e mirata. I cittadini che chiedono di più alla politica, vogliono coerenza e meno distanza, nello stile di vita e nei guadagni. Tony Blair è stato arrostito sotto la lente dei media molto di più di quanto non lo siano Berlusconi o Fini o Veltroni. Lo hanno costretto a cancellare vacanze con famiglia in Toscana, lo hanno massacrato quando fu sorpreso sulla barca di amici ricchi.
Questa evoluzione potrà anche non piacere, ma è una sorta di inevitabile "ri-moralizzazione" della scena politica.

Non c'è solo il Parlamento da controllare. Ma non bisogna ridurre tutta la questione al Parlamento nazionale.
La Regione Lombardia, che è alle prese con l'approvazione dello statuto, non è ad esempio intenzionata a tagliare rappresentanza e costi: prima c'è stato il no alla riduzione degli 80 consiglieri, poi il sì all'aumento dei 16 componenti della giunta. Il consiglio regionale lombardo si avvia infatti ad istituire quattro sottosegretari, figure che affiancheranno il presidente e che si aggiungeranno alla squadra degli assessori. All'articolo 25 comma 5 si prevede infatti la formalizzazione della nuova figura che "partecipa alle sedute di giunta pur non facendone parte". Ovviamente, l'incarico presuppone un'apposita indennità, per la quale lo statuto rinvia però ad una legge regionale.
La proposta è stata avanzata dalla maggioranza di centro-destra ma accolta senza colpo ferire dall'opposizione, proprio mentre i leader nazionali di PD e Pdl giurano di tagliare ministri, consiglieri e assessori e il presidente lombardo Roberto Formigoni dichiara di voler portare le pratiche virtuose della Lombardia in Italia.
Tra le spese della politica è lievitata negli ultimi anni quella legata alle consulenze, frutto di uno spoil system selvaggio, di un accumulo di cariche, di una gestione poco controllata dei fondi pubblici. L'Italia, oltre alla bellezza di 150 mila eletti, quasi tutti a pagamento, dispone di 300 mila consulenti, tra cui professionisti, giornalisti universitari, tutti a libro paga della politica. Per questo alla voce "Trasparenza per i contratti della e nella politica" il progetto del Partito Democratico sui costi della politica prevede che sul sito unico www.politicatrasparente.it siano pubblicati i nomi dei collaboratori, il loro ruolo, lo stipendio e la durata del contratto.

Costoso addio all'Europa. E poi, nel conto delle spese della politica, ci sono i comportamenti costosi degli eletti: non mi riferisco alle auto blu o alle tessere del cinema (fanno parte delle leggende). Mi riferisco mancato compimento del proprio compito. Con questo sistema elettorale, di nominati e non di eletti, votando un partito o l'altro porteremo in Parlamento alcuni di questi ultimi "spreconi", che sono tra i protagonisti della campagna elettorale in corso.
Tra i candidati ci sono infatti 20 parlamentari europei. Altri 17 europarlamentari hanno lasciato Strasburgo con le elezioni del 2006. Fa un totale di 37: metà della rappresentanza italiana a Strasburgo si è dileguata più o meno abbondantemente prima della fine del proprio mandato. Altri deputati si preparano a lasciare per concorrere per Regioni e Province. Questo turnover, che riduce più o meno a due anni la media di un mandato italiano (dovrebbe essere di cinque) e che in queste proporzioni non ha precedenti a Strasburgo, penalizza il sistema Paese in Europa. Se poi alle incredibili latitanze parlamentari si aggiunge che, sempre per motivi elettorali, anche Franco Frattini lascia l'incarico alla Commissione europea, si può capire come mai l'Italia fa sempre più fatica a far sentire e soprattutto a far pesare la propria voce nell'Unione.
La discontinuità della nostra presenza rema vistosamente contro l'interesse nazionale: sia quando da decidere c'è la legislazione europea che riguarda sempre più da vicino il futuro delle nostre industrie, della nostra economia, della nostra società, sia quando ci sono da spartire le poltrone che contano. In un'Unione allargata dove si sgomita per conquistare un posto al sole, la nostra nonchalance gioca tutta a nostro svantaggio. Oggi l'Europa non è più una causa bella e nemmeno un tram dal quale scendere e salire secondo le convenienze del momento. È un business duro e potenzialmente molto ricco. Che rende solo se lo si coltiva con metodo e professionalità.
Sono altri costi della politica; costi molto elevanti il cui conto arriva a famiglie ed imprese attraverso normative non calibrate anche sulle esigenze italiane.

Il vero rischio è non discuterne in pubblico. Le proposte del Partito Democratico sui costi della politica sono ammiccamenti al grillismo? Non si tratta di cedere all'antipolitica ma di creare le condizioni perché i cittadini tornino ad amare la politica.
Nel programma del PD la politica deve tornare un servizio, oltreché una grande avventura umana. E il servizio deve essere efficiente. Perché i cittadini sarebbero anche disposti a pagare i costi della politica se la politica risolvesse i problemi. Ma avere politici pagati molto e scarsamente efficienti è inaccettabile. Come è inaccettabile avere 51 gruppi parlamentari e 31 giornali di partito che vivono con la sovvenzione pubblica.
La stampa di partito infatti è diventata uno dei mezzi surrettizio di finanziamento alla politica. Bastano due parlamentari per far arrivare parecchio denaro ad una testata di partito o partitino. Il progetto del PD vuole fermare questa deriva e propone di alzare il numero di senatori e deputati necessario e li vincola all'omogeneità politica (non possono essere uno di destra e uno di sinistra).
Aprire in piena campagna elettorale il capitolo che va sotto il nome "costi della politica" è un rischio per tutti, perché nessuno è esente da responsabilità. Per anni i rappresentanti della classe politica, anche i migliori, hanno fatto poco o nulla per ridurre le dimensioni di una macchina elefantiaca.
Anche in questo il Partito Democratico dimostra di discutere con gli elettori di questioni reali.
Dopo un autunno e un inverno di tempeste di anti-politica, dopo il successo (1.200.000 copie vendute) di un libro come La Casta di Rizzo e Stella, che denuncia i privilegi della classe dirigente, dopo l'improvviso assurgere a capo politico di un comico come Grillo, possono i leader politici presentarsi davanti agli elettori con programmi che, a parte la genericità, sorvolano sulla distanza, sulla caduta di legittimazione che tutto questo ha prodotto tra loro e i cittadini?
Quando si affronta il capitolo della moralità, anche nel senso più largo del termine, inevitabilmente il conflitto si accende. Nessuno però si sente di regalare al competitore la bandiera dell'antipolitica. Perciò abbiamo assistito ad una polemica aspra tra Fini e Veltroni: un po' triste, ma salutare. Negli Stati Uniti gli scontri sui nervi dolenti non sono meno duri: appena pochi giorni fa Obama ha sollecitato Hillary Clinton a mettere in piazza la sua dichiarazione dei redditi e lei ha risposto per le rime.

Una strategia complessiva. La proposta di Veltroni di abbassare i compensi alla media europea è dunque giusta, ma merita di essere messa bene a fuoco, se non vuole rimanere un blando auspicio.
Il punto non è ridurre o azzerare il reddito dei parlamentari, dei ministri, dei premier, creando una sperequazione che finirebbe col favorire chi è ricco e può permettersi il gioco della politica, a discapito di chi rappresenta i meno abbienti e deve essere pagato per assolvere al suo compito.
In altre parole, i soldi bisogna meritarseli e guadagnarseli, e le pensioni andrebbero incassate ad un'età da pensione. Per quest'ultimo aspetto la situazione è un po' migliorata, in quanto si è almeno stabilito che il vitalizio decorra dai 60 anni e dai 65 per chi ha una sola legislatura compiuta.
Molto più delle promesse ai pensionati, la proposta del Partito Democratico rappresenta un salto rispetto al passato, la cui novità è da rimarcare. E sarà tremendamente difficile realizzarlo. È vero che quello della "casta" riassume tantissimi problemi nazionali, ma proprio per questo il cittadino chiede: si riuscirà ad aggredirlo?
Walter Veltroni ha chiesto al gruppo di lavoro coordinato da Stefano Ceccanti, Walter Vermi e Claudio Novelli non solo proposte, ma anche numeri, dettagli, cioè dove si può risparmiare e quanto. Abbattere i costi significa anche e soprattutto più efficienza, meno burocrazia. E più sobrietà, certo, perché ne abbiamo bisogno. Bisogna ridurre i bilanci dei politici, delle istituzioni, degli enti locali: chiedono troppi soldi ai cittadini.
E dunque non c'è solo il taglio agli stipendi dei parlamentari nel progetto del Partito democratico, ma una strategia complessiva sui costi della politica per rendere realizzabili le promesse.

Il finanziamento dei partiti. Il grosso delle spese della politica sono i 425 milioni del rimborso elettorale che i partiti si spartiranno dal 13 aprile 2008 fino al 2013. Ad essi vanno aggiunti i 225 milioni che le forze politiche presenti nelle urne del 2006 continueranno ad avere fino al 2011. Per esempio l'Udeur riceverà il finanziamento fino al 2011.
Dentro questo meccanismo c'è, in aggiunta, l'anomalia dei rimborsi elettorali anche ai partiti che non andranno mai in Parlamento. In Italia l'importante è partecipare alle elezioni, non vincerle. E la partecipazione è ben remunerata. Le liste all'1 per cento dei voti, molto al di sotto degli "sbarramenti" per entrare in Parlamento, possono partecipare alla spartizione dei rimborsi. In pratica si concorre non per andare alla Camera o al Senato, ma per finanziare il proprio movimento.
Il sistema partiti ottiene dallo Stato un rimborso elettorale di 425 milioni di euro a fronte di spese per poco meno di 80-90 milioni. Il rimborso è dunque una forma camuffata di finanziamento pubblico dei partiti.
Se c'è un finanziamento pubblico dei partiti lo si chiami così. Non c'è nulla da dire, anzi una forma di finanziamento è auspicabile per evitare che la politica sia appannaggio dei ricconi. Ma il rimborso: deve essere legato alle spese effettivamente sostenute nelle consultazioni elettorali e ben documentate, con un sistema di controlli indipendenti e seri.
Nel progetto del Partito Democratico il finanziamento pubblico ai partiti non sarà più erogato per 5 anni anche in caso di scioglimento anticipato della legislatura, come accade oggi. I soldi pubblici, invece, verrebbero bloccati in caso di voto anticipato e questo comporterebbe un risparmio di almeno 100 milioni di euro all'anno. Così come non riceverebbero più i rimborsi i partiti senza eletti alle Camere.
Per fermare questo fiume di denaro l'idea centrale è comunque quella di ribaltare il sistema del finanziamento ai partiti, privilegiando i contributi privati e riducendo i rimborsi statali. Le forze politiche devono conquistarsi le risorse principalmente attraverso investitori privati. Questo finanziamento deve essere trasparente, pubblicato su Internet e quindi visibile a tutti e sarà defiscalizzato. Una quota minore rimarrebbe pubblica.
Anche oggi i privati finanziano i partiti, ma in minima parte. Diciamo che quel tipo di fonte si affianca ai soldi pubblici. Bisogna rovesciare questa proporzione.
È evidente che questo sistema assesterebbe un colpo alla frammentazione. Soprattutto i partiti più grandi, radicati sul territorio sarebbero in grado di attrarre risorse private. Agli altri, i soldi pubblici garantirebbero il diritto di avere una base di partenza per crescere.

Modifiche al sistema istituzionale. Il progetto del Partito Democratico per la riduzione dei costi della politica prevede anche risparmi ottenibili con alcune modifiche al sistema istituzionale.
La riduzione del numero di deputati e senatori (470 alla Camera e 100 al Senato), presente nel progetto del PD, risponde all'esigenza di una riforma costituzionale che elimini il bicameralismo perfetto, ma è anche una spesa che in questo modo viene ridimensionata.
Nel progetto è previsto il taglio netto dei consiglieri comunali e provinciali con un risparmio calcolato, a regime, di 200 milioni di euro. Si possono abolire le province nelle zone dove nascono le aree metropolitane, si devono tagliare i consiglieri comunali e provinciali con un risparmio di 200 milioni.
Per il capitolo delle consulenze istituzionali, dei contratti che riguardano la politica, nazionale e locale, la parola d'ordine è trasparenza: su un sito unico dovrebbero essere pubblicati tutti i contratti, i compensi, i nomi dei collaboratori.
La stampa di partito sarebbe ancora finanziata attraverso il canale pubblico, ma non basteranno più solo due parlamentari per accedere ai finanziamenti.
Ma nel progetto del PD si passa dalle voci maggiori a quelle minori, proprio perché l'obiettivo è insieme il risparmio e una maggiore qualità del "servizio". Per esempio, una delle 'riforme" punta a unificare le strutture amministrative di Camera e Senato che oggi hanno due biblioteche, due centri studi, due servizi di bilancio, due archivi di documentazione internazionale. Eppure le Camere fanno lo stesso identico lavoro. Questa dicotomia va eliminata.
Va anche cancellata una delle differenze più odiose tra il Palazzo e il paese: il metodo di calcolo delle pensioni, che per i parlamentari si chiamano vitalizi. Bisogna parificarlo a quello previsto per la generalità dei lavoratori. La proposta PD prevede che le pensioni dei parlamentari (e dei dipendenti degli organi costituzionali) passino dal metodo retributivo a quello contributivo, com'è per tutti i lavoratori italiani.

Salvaguardare i costi della democrazia. Sulla base dei dati ufficiali gli esperti hanno calcolato che il finanziamento diretto ai partiti e ai loro rappresentanti costa ai contribuenti 900 milioni, di cui il grosso sono i rimborsi elettorali. Le proposte del Partito Democratico puntano al taglio netto del 50 per cento, in coerenza con le linee programmatiche del PD che al punto 11 parlano di riduzione dei costi della politica.
Su questo è d'accordo anche l'unico alleato elettorale del PD, l'Italia dei Valori. È stato chiesto ad Antonio Di Pietro: se diventasse Guardasigilli che farebbe? "Un paio di decisioni nei primi cento giorni. Aumento del 30 per cento delle risorse finanziarie per la sicurezza con taglio del finanziamento pubblico dei partiti e dei giornali di partito per trovare le risorse", è stata la risposta.
Questo impegno deve essere accompagnato da due consapevolezze.
Innanzi tutto quella di distinguere tra costi della politica e quelli della democrazia. Tagliare gli sprechi e i privilegi di tutti, nella politica e nelle istituzioni, dovrebbe consentire di salvaguardare i costi della democrazia che sono invece i più importanti.
La seconda consapevolezza è che oggi i cittadini sono esigenti con i costi della politica, ma nessuno si scandalizza se un designatore degli arbitri di calcio è pagato con i soldi pubblici e prende tre volte un parlamentare. Insomma Pierluigi Collina guadagna con l'attività pubblica più di un deputato, pur dovendo "rispondere" solo ai tifosi. Il deputato invece deve rispondere a ciascun cittadino.

23 marzo 2008


31 marzo 2008
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Tino Bedin