OGGI

Servono competenze per fare il senatore e il deputato?
Il parlamentare deve aver imparato
ad ascoltare la propria gente

Il nuovo Parlamento chiamato anche a rimediare alla crisi della rappresentanza sociale

di Tino Bedin

Il 15 marzo 2013, all'inizio della nuova legislatura, la diciassettesima della Repubblica, almeno metà dei senatori e dei deputati entreranno per la prima volta a Palazzo Madama o a Montecitorio. Solo uno su due dei parlamentari uscenti si ritrova infatti nelle liste che i cittadini voteranno il 24 e 25 febbraio. E non è detto che siano rieletti. Nelle liste del Partito Democratico, ad esempio, sulla base dell'esito delle Primarie numerosi parlamentari sono nella parte a rischio dell'elenco. Nelle liste della Destra (Pdl e Lega), sono confluiti parlamentari eletti nel 2008 con il premio di maggioranza, che non è detto scatti a loro favore anche questa volta.
La concorrenza non è solo interna, ma anche esterna. Le liste nuove, che presentano "necessariamente" non parlamentari, sono numerose ed accreditate di buoni risultati.

Puntare a risultati per tutti. A conti fatti la rotazione parlamentare ci sarà e sarà in grado di cambiare volto alle due Camere. Porterà solo dei vantaggi o comporterà anche dei rischi?
Con il sentimento prevalente nell'opinione pubblica, già porre questa domanda potrebbe essere... rischioso, perché introduce qualche dubbio sulla convinzione generale che il nuovo sarà comunque meglio di quello che c'era.
Allora cambiamo la domanda: servono competenze per fare il parlamentare?
Certamente sì; anche quella del parlamentare è un'attività che richiede una competenza specifica. La presentazione e la discussione delle leggi, la preparazione nelle commissioni, la predisposizione degli emendamenti, e - più avanti - il ruolo di relatore, quello di portavoce del proprio gruppo parlamentare in commissione, i rapporti con il governo (sia dalla parte della maggioranza che dalla parte dell'opposizione), sono tutte attività che non si improvvisano se si vuole che portino risultati per tutti e non solo notorietà al parlamentare.
Sono competenze che si apprendono e poi si affinano nell'attività parlamentare stessa.

Competenze di comunità. Ci sono però competenze di cui bisogna essere esperti prima di entrare in Parlamento e non mi riferisco a quelle professionali (l'attuale governo dei tecnici non ha brillato per capacità politica). Sono invece indispensabili le competenze comunitarie: sapere come si fa (ed essere disponibili a farlo) a rappresentare la comunità di cui si è espressione: la comunità geografica e la comunità di valori, interessi, professioni.
Bisogna aver imparato prima ad ascoltare la propria gente e conservare la voglia di farlo.
La Costituzione ha al riguardo una precisazione che di solito è letta in senso negativo: il parlamentare esercita la propria funzione "senza vincolo di mandato" e si intende che non debba necessariamente rispondere al partito nel quale è stato eletto; è così ma i Costituenti intendevano che questa libertà fosse funzionale non a cambiare schieramento ma a dare preminenza alla rappresentanza dei cittadini.
Nel nuovo Parlamento questa "competenza comunitaria" potrebbe diventare una delle attività prevalenti dei deputati e dei senatori, in considerazione del calante ruolo delle rappresentanze sociali, che nei primi cinquant'anni della Repubblica avevano svolto un ruolo importante nel canalizzare esigenze, rivendicazioni e rabbie verso soluzioni collettive da proporre alla politica ed in particolare al Parlamento.
Una delle conseguenze del ventennio berlusconiano è anche l'indebolimento di queste forme di partecipazione collettiva, verso le quali la politica ha ostentato un decisionismo escludente: uno dei primi anni della Destra di governo è stato di negare valore alla concertazione sociale e di dipingere come "consociativismo" ogni ricerca di mediazione sociale.
Le conseguenze sono sotto gli occhi dei cittadini: le rappresentanze sociali si sono indebolite fino a perdere il loro ruolo, oppure hanno cercato di agire direttamente nel terreno politico. Vale per il sindacato, le organizzazioni professionali; vale anche per la Chiesa.
Ora toccherà al nuovo Parlamento rimediare, anche in considerazione della provenienza non politica della maggioranza dei senatori e dei deputati.

Il protagonismo dei cittadini. Il Partito Democratico ha dato un contributo decisivo a questa urgente necessità di dialogo tra la Repubblica e la società, nella consapevolezza che per certi versi bisogna ricominciare da capo. Lo ha fatto innanzi tutto scegliendo proprio il metodo della costruzione comunitaria. Tre milioni di italiani che hanno partecipato alla scelta del candidato presidente del Consiglio, sulla piattaforma di un programma condiviso, pur con accentuazioni diverse, sono ora la base di un nuovo protagonismo dei cittadini, che eleggono rappresentanti e non ratificano scelte.
Proprio perché inserita in un percorso comunitario, la lista del PD è l'unica che non ha il nome di un capo. Non è un vezzo, ma un nuovo inizio, anche in questo caso: indica una strada sulla quale si è incamminati insieme e che porta non all'affermazione di una persona ma alla realizzazione di un progetto collettivo.
La seconda fase è stata la scelta dei candidati, superando con i fatti - per quanto possibile - i limiti dell'attuale legge elettorale. Le primarie, cui hanno partecipato oltre un milione di cittadini (14 mila a Padova), e i loro risultati danno il senso del cambiamento con l'inserimento massiccio di giovani e di donne. La vita dei giovani, la vita delle donne. Questo risultato va al di là del ricambio e del rinnovamento. La sua rilevanza consiste nell'aprire la rappresentanza parlamentare e quindi la decisione democratica alla presenza di componenti della cittadinanza progressivamente escluse: appunto, le donne e i giovani.
Dipende ora da loro - quelli che di diventeranno deputati e senatori e quelli che faranno solo esperienza di campagna elettorale - fare in modo che nulla sia come prima. Ora sono "dentro", non come singoli ma come collettivo. Il loro obiettivo è portare nelle leggi la vita dei giovani e la vita delle donne: non per rivendicazione, ma nella convinzione che la vita delle donne e quella dei giovani sono capaci di dare futuro alla vita della comunità nazionale.
Bisogna che si dedichino, bisogna che studino, bisogna che si preparino con pazienza, umiltà e consapevolezza.
Quello che non troveranno a Montecitorio o a Palazzo Madama devono andare a cercarlo nella loro comunità, quella che li ha scelti ed eletti. A questa comunità devono rispondere settimana dopo settimana. Così diventeranno sempre più forti.

27 gennaio 2013


22 febbraio 2013
og-037
scrivi al senatore
Tino Bedin