OGGI

Impossibile una missione che dipenda dagli angloamericani
La presenza italiana in Iraq
solo su mandato dell'Unione Europea

Se si vuole fare l'interesse degli iracheni e non un presunto "interesse nazionale" italiano

di Tino Bedin

Appena ha visto uno spiraglio per un'Italia in armi in Iraq il governo di italiano ci si è buttato per farlo diventare un'autostrada. Utilizzando le immagini dei saccheggi nell'Iraq occupato dagli angloamericani e dell'assenza di una qualsiasi forma di organizzazione pubblica sia a Bagdad che nelle altre città irachene, Berlusconi vuole immediatamente arruolare l'Italia.
La guerra unilaterale non è ancora finita, ma sembra ormai in una fase che finalmente consente a Berlusconi di "obbedire" agli ordini del Pentagono, che assai prima del governo di Roma avevano avvertito gli italiani che per il dopo-bombe ci sarebbe stato bisogno dei carabinieri. Anticipazioni troppo spesso sentite ormai per non ritenerle, appunto, ordini diretti del governo americano agli italiani, senza passare per la riflessione e la decisione delle istituzioni rappresentative.
Ripetendo esattamente il copione recitato con l'invio degli alpini in Afghanistan, sotto il comando americano, Berlusconi chiede a posteriori il voto del parlamento italiano sulla decisione di Bush.

Doveroso un contributo alla vita degli iracheni
Ma la popolazione irachena, per la quale la gran parte degli italiani ha chiesto che fosse risparmiata la tragedia della guerra, è più importante anche in questo momento sia di Berlusconi che di Bush.
È evidente che un sostegno alla costruzione di un sistema statale scomparso in Iraq è prima di tutto il sostegno ai cittadini comuni, quelli che non vogliono rubare il cibo, quelli che si aspettano ospedali attrezzati, quelli che vogliono riprendere ad andare a scuola, quelli che vogliono poter finalmente votare e che per farlo hanno bisogno che ci sia l'anagrafe ed una organizzazione civica. Tutto questo c'era ma era a servizio di un regime dittatoriale e si è liquefatto con il regime, appunto perché il suo scopo non erano i cittadini.
La scelta di pace si esprime dunque anche in questo momento nello stare ancora dalla parte delle persone che vivono e soffrono in Iraq, di starci anche direttamente da italiani, collaborando con loro alla realizzazione dei beni cui aspirano. A questo serve un intervento umanitario, specializzato, anche con la protezione di forze di polizia, in considerazione dell'ambiente rischioso in cui l'intervento si realizza e del fatto che la presenza di una forza di polizia è fra le esigenze della popolazione.

A nome di chi imporre l'ordine?
Sembra dunque giusto che l'Italia confermi la sua tradizione di cooperazione internazionale e sia disposta a collaborare con la popolazione irachena in questo disastro di cui non è responsabile.
Il punto essenziale è tuttavia proprio questo: come fare riferimento alla popolazione irachena in assenza non dico di un governo legittimo ma neppure di una qualsiasi forma di autorità locale?
A nome di chi i carabinieri italiani dovrebbero chiedere il rispetto della legge?
A che autorità dovranno chiedere il permesso per prendere posizione?
A chi consegneranno gli eventuali autori di reati?
Non sono questioni "bizantine": non riguardano noi italiani, che in potremmo anche rispondere per il meglio da parte nostra; sono domande che riguardano gli iracheni, cioè i destinatari del nostro intervento. È a nome loro che dobbiamo rispondere, preventivamente, con chiarezza. Altrimenti le tragedie che vediamo in tv diventano sono il pretesto per un intervento che vuole fare i presunti interessi nazionali italiani e non gli interessi delle persone irachene.

L'Iraq non è né la Somalia né il Kosovo
Né vale il paragone con i "precedenti", se non in misura molto limitata. Il riferimento ai "precedenti" è stato strumentalmente utilizzato dalla Destra italiana per attaccare la scelta dell'Ulivo di percorrere l'abbattimento di Saddam Hussein attraverso l'Onu e gli strumenti internazionali di pace. Ora viene riutilizzato, ma non è possibile.
In Iraq non è come in Somalia dove non c'era governo. In Iraq non è come in Kosovo, dove bisognava fermare l'aggressione di un potere. In Iraq c'è una forza di occupazione militare forte, quella angloamericana, che ha il comando del territorio e si ritiene in grado di fissare le regole per le azioni di eventuali altri attori.
Inevitabilmente la forza di intervento italiano sarebbe nella fase iniziale a comando americano di fatto (o addirittura di diritto); dovrebbe scegliere obiettivi e strumenti per raggiungerli sulla base delle esigenze delle forze militari occupanti; la stessa distribuzione degli aiuti umanitari potrebbe così essere decisa non in funzione di esigenze dei cittadini, ma sulla base di piani politici decisi dagli angloamericani.
Tutto questo non solo richiede una attenta valutazione del Parlamento, in quanto potrebbe portare l'Italia di fatto a partecipare alla fase finale di una guerra vietata dalla nostra Costituzione; ma soprattutto richiede che si limitino i rischi che l'intervento unilaterale continua a presentare anche nel dopoguerra.

Partire da un mandato dell'Unione Europea
La via più immediata, probabilmente quella più agevole, anche politicamente, è il ricorso ad una "presenza europea". Non dico che si possa in brevissimo tempo mettere in piedi una forza di polizia europea per l'Iraq. Questo richiede tempi medi non adeguati ai bisogni delle persone irachene. Va invece percorsa la strada di una decisione politica dell'Unione Europea, con il mandato ai paesi membri che sono pronti ad affrontare fin da subito i problemi aperti.
Se invece di affrettarsi ad obbedire a Bush, Berlusconi provasse ad esercitare un ruolo europeo che già gli è richiesto come membro della "Presidenza europea" e che dovrà svolgere in prima persona dall'1 luglio prossimo, potrebbe utilizzare un consiglio europeo già convocato per il 16 aprile per lanciare questa esigenza.
Mettendo sul tavolo non solo la propria proposta ma anche la disponibilità ad intervenire, l'Italia potrebbe facilitare l'intesa politica. Lo scenario è favorevole. L'Agenza europea per gli aiuti umanitari ha già posto infatti il tema del "comando" del territorio iracheno per poter intervenire. Tony Blair ha espresso la volontà di non restare un minuto in più in Iraq oltre la guerra: potrebbe avere interesse ad agganciare all'Unione Europea proprie truppe specializzate in ordine pubblico. Francia e Germania avrebbero modo di sperimentare una loro presenza e quindi favorire una successiva nuova risoluzione delle Nazioni Unite.
Questo è essere euroatlantici, cioè europei ed insieme voler lavorare per unire le due sponde dell'Atlantico. Questo è essere euromediterannei, cioè lavorare per un'area di sicurezza nel Mediterraneo. Non so se la Destra italiana sia euroatlantica ed euromediterranea.

13 aprile 2003

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15 aprile 2003
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