PARLAMENTO

Anche senza riscrivere il testo della Carta fondamentale
Stanno cambiando il progetto di società
scritto nella Costituzione

Le scelte della Destra incidono sulla qualità della cittadinanza e sulla vita quotidiana degli italiani

di Tino Bedin

Non critichiamo il governo perché non sta facendo. Non è che l'opposizione non lasci lavorare Berlusconi. Il fatto è che la Destra sta facendo troppo. L'avevamo detto in campagna elettorale: non sarebbe stato indifferente il nome del vincitore. Berlusconi e Rutelli non avrebbero fatto la stessa politica. Ora è chiaro che è così, anche a coloro che hanno ritenuto di non poter o dover fare una alleanza elettorale con l'Ulivo, considerando la coalizione della solidarietà insufficiente. Ora è chiaro che al governo c'è un'altra Italia.
È una maggioranza che pretende di vincere in ogni occasione e contro tutti per il solo fatto di aver vinto le elezioni.
Una maggioranza che si riterrà legittimata a cambiare la Costituzione, ma che comunque se riuscirà a portare a compimento tutto il suo programma avrà cambiato comunque la Costituzione reale pur non cambiando quella formale: lavoro, sanità, scuola, fisco non saranno più quelli di prima; saranno considerati strumenti a servizio dell'economia e non a servizio della persona, come prevede la Costituzione.
Prendiamo ad esempio il contenuto nelle deleghe previdenziale e fiscale, previste dalla Finanziaria. Esse si incardinano su due punti essenziali: l'abbassamento di 3-5 punti dei contributi previdenziali; il riordino dell'imposta personale sul reddito su due sole aliquote: il 23 per fino a 200 milioni di reddito, il 33 per cento oltre tale cifra.
Quali sono le conseguenze di queste scelte? Nel primo caso, il taglio dei contributi previdenziali per i neoassunti apre un pericoloso precedente nel sistema pensionistico pubblico, riduce il costo del lavoro per le imprese scaricandone l'onere sulle casse dello Stato, rovescia l'equilibro tra previdenza pubblica e privata a vantaggio di quest'ultima.
L'Inps ha pubblicato i costi della riforma proposta dal Governo e dalla Destra. Il buco per l'Inps all'inizio è piccolo: poche centinaia di milioni di euro, ma già tra cinque anni arriva a circa un miliardo di euro (duemila miliardi di lire). Tra 10 anni il maggior costo sarà di tre miliardi di euro (seimila miliardi di lire) E nel 2030, cioè nell'anno in cui la spesa per le pensioni dovrebbe toccare la famosa "gobba" il buco nelle entrate dell'Inps diventa una voragine: 15 miliardi di euro (29 mila miliardi di lire). Nel 2050 il minor gettito contributivo causato dal taglio di 5 punti dell'aliquota contributiva sui nuovi assunti raggiungerà i 79 mila miliardi di lire (41 miliardi di euro).
La volontà di ridurre la previdenza pubblica ad un sistema residuale, destinato a fare assistenza e non a garantire la cittadinanza, lo si coglie anche in un altro intervento, quello "famoso" del milione al mese per una parte minima di pensionati.
Un intervento per aumentare il reddito disponibile delle persone anziane più povere è opportuno. Che si sia scelto di farlo non attraverso una politica di reddito minimo d'inserimento, un assegno sociale in qualche modo organizzato attraverso i comuni e l'assistenza pubblica, ma intervenendo sulla previdenza è invece una scelta irresponsabile nei riguardi proprio del sistema previdenziale pubblico, per il quale si ritorna indietro ai tempi in cui ad esso era affidato appunto il ruolo di equilibrare la società; ed è irresponsabile nei confronti dei giovani, i cui versamenti previdenziali vengono così svalutati.
Per quanto riguarda il fisco, le scelte che il governo intende perseguire (ricordiamo che si vorrebbe abolire l'Irap che produce entrate per 50 mila miliardi ed abbassare al 12,5% tutte le imposte sui redditi finanziari) produrrebbero due risultati allarmanti: il primo è relativo ad una perdita di gettito fiscale che potrebbe significare, a regime, quasi centomila miliardi. Questo, inevitabilmente, metterebbe in discussione servizi e prestazioni sociali. Il secondo, si riferisce ad una gigantesca ridistribuzione a danno soprattutto dei redditi medi, a modesto vantaggio di quelli più bassi, agevolati dall'innalzamento della quota esente, ma soprattutto ad indiscutibile beneficio per quelli più alti: un reddito di 350 milioni avrebbe un "regalo" annuo di 50 milioni di minore imposta.

20 gennaio 2002

VAI ALLA PAGINA PRECEDENTE | STAMPA LA PAGINA | VAI A INIZIO PAGINA

20 gennaio 2002
og-005
home page
scrivi al senatore
Tino Bedin