EUROPEI

ANTOLOGIA

Corriere della Sera
25 gennaio 2016
Paolo Mieli

Verso l'incontro Merkel-Renzi
Italia e Germania:
la politica (sbagliata) dei toni alti

Tanto più le classi dirigenti esibiscono i propri successi, tanto meno a queste manifestazioni di autostima corrispondono lodi degli interlocutori. E viceversa

(…) (Il) nostro presidente del Consiglio (...) negli ultimi tempi si è esibito in un crescendo di veemenza laddove ha ribadito in più occasioni che il nostro Paese non si presenta più "con il cappello in mano", che quando è in campo l'Italia (cioè lui) "non ce n'è per nessuno", che pretendiamo "ciò che ci spetta" e cose simili.
Sono toni non nuovi nella storia d'Italia, che hanno precedenti nelle fasi più instabili del nostro passato e che quasi mai hanno prodotto esiti all'altezza degli enunciati. (…)
Nel nome dell'orgoglio italico il nostro Paese prese parte ai due conflitti che nel Novecento sconvolsero il pianeta, uscendone ammaccato e la seconda volta ferito quasi a morte.
Di seguito, iniziò la stagione migliore della nostra storia, quella del secondo dopoguerra, impersonata nella fase iniziale da Alcide De Gasperi. Stagione che produsse un "patriottismo sobrio" atto a favorire un trentennio di clamoroso sviluppo civile ed economico. D'incanto i politici italiani compresero come fosse disdicevole presentarsi nei consessi internazionali battendo i pugni sul tavolo, fare la voce grossa, manifestare in eccesso il loro orgoglio. E quanto più si abbassava il tono delle loro voci, tanto più cresceva la loro reputazione. "Questi italiani hanno un magnifico appetito, ma pessimi denti", aveva ironizzato il cancelliere Bismarck molti anni prima. Adesso invece arrivavano elogi sempre crescenti e non solo dai Paesi alleati; dagli incartamenti segreti venuti alla luce emerge un'equazione che ha il carattere di un dato scientifico: tanto più le classi dirigenti si sentono in dovere di esibire i propri successi, di svelare l'intimità a loro concessa dai partner internazionali, di magnificare le sorti dell'Italia al momento in cui governano (o hanno governato), tanto meno a queste manifestazioni di autostima corrispondono lodi degli interlocutori. E viceversa.
Con le crisi degli anni Settanta l'epoca virtuosa di cui si è detto volse al termine e nel decennio conclusivo della prima Repubblica fu la volta di leader, chi più chi meno, propensi a cantare i propri successi sulla scena mondiale.
Negli ultimi vent'anni poi quel vizietto italico è riemerso nei modi presenti alla memoria di chi non ha dimenticato Silvio Berlusconi e qualche suo oppositore.
Adesso la tentazione di insistere nell'assunzione di posture baldanzose appare di nuovo forte. Soprattutto nei modi (e non solo quelli della politica) di rivolgerci alla Germania, un Paese che prima e dopo la riunificazione ha realizzato qualcosa che porterà tutti i suoi leader, da Adenauer alla Merkel, ad avere un posto d'onore nei libri di storia.
Qualcuno, certo, può cedere alla tentazione di compiacersi per inciampi, come lo scandalo Volkswagen o il capodanno di Colonia, che sono lì a raccontarci come anche i tedeschi abbiano problemi da risolvere. E questo qualcuno può pensare di conseguenza che ci si possa presentare a Berlino con una qualche baldanza. Ma non è saggio. Un debito e una spesa pubblica come i nostri ci mettono in condizioni peggiori di quanto fossero quelle di oltre un secolo fa quando avevamo alle spalle Lissa e Custoza. E per quel che riguarda i nostri successi, il ruolo nuovo che abbiamo conquistato nel consesso internazionale, aspettiamo che siano gli altri a prenderne atto. Le lodi che ci diamo da noi, valgono poco. Anzi, niente.

Estratto dell'articolo a cura della redazione di Euganeo.it

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