EUROPEI

L'opinione pubblica europea non si pone domande sui movimenti di fuggiaschi; ne è impaurita e pretende solo protezione
Europei e migranti:
chi cerca il futuro e chi no

Sono in discussione le basi stesse dell'Europa: la sovranità condivisa,
il principio di solidarietà, un territorio comune,
una moneta comune, un continente di pace per il pianeta

di Tino Bedin

È più doloroso abitare una terra di emigrazione o una terra di immigrazione? L'Italia (quasi ogni regione d'Italia) è stata terra di emigrazione ed è oggi terra di immigrazione. Gli italiani dunque sono esperti sia dell'uno che dell'altro dolore e potrebbero dare una risposta netta: le sofferenze dell'emigrazione sono più profonde di quelle che sta provocando l'immigrazione. Lacerano famiglie, lacerano persone, lacerano chi deve ancora nascere e non nascerà più.
Sono sofferenze che lacerano il futuro. "Arriveranno milioni di migranti dall'Africa. Ci sforziamo di trattenerli, ma è difficile fermarli se non c'è un futuro", constata Abdusalam Omer, ministro degli Esteri della Somalia, che è uno dei più grossi serbatoi di fuggiaschi dall'Africa. "Le migrazioni di massa rappresentano per il continente africano la più dolorosa spoliazione di futuro dei tempi contemporanei", annota consapevolmente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella.
Fuggono da guerra e da fame. Pur di andare via sono disposti a tutto, anche a morire. Per quelli che salgono sui barconi l'attraversata del Mediterraneo è solo l'ultimo tratto di una via crucis di cui hanno già patito tutte le stazioni: spoliazioni, tradimenti, torture, bastonate, incarcerazioni. Il mare è il loro Golgota: per molti non c'è la resurrezione.
Non c'è stata resurrezione per il piccolo Alan, un corpicino con la maglietta rossa e le scarpe blu che onde pietose adagiarono sulla spiaggia dopo il naufragio in cui erano morti anche sua mamma Rehan e il fratellino un po' più grande Galip. Il piccolo Alan, siriano, scappato dalla guerra di Kobane, interrogò per qualche settimana le coscienze degli europei e le scelte dei loro governanti. Poi smise di "parlare" perché i bambini profughi continuano ad affogare e la guerra in Siria non è stata fermata.

Paura di una sfida apertissima. Il fatto è che l'opinione pubblica italiana - come le altre opinioni pubbliche europee - non ascolta e non si pone domande sui movimenti di massa di rifugiati e migranti; ne è impaurita e pretende solo protezione. La paura è così diffusa che Papa Francesco ha dovuto ricordare che i profughi "sono in pericolo, non sono un pericolo" e lo ha fatto vedere alzando un giubbottino salvagente che non era bastato a tenere in vita una bambina affogata nel Mediterraneo. E il papà del piccolo Alan, Abdullah Kurdi, ha dovuto prendere lui la parola, quando la foto del corpicino sulla spiaggia si era sbiadita: "Ai governi e alle persone spaventate dall'arrivo di tanta gente vorrei dire che non è più moralmente accettabile chiudere le porte in faccia a chi fugge dalla morte e dall'umiliazione. Chi si mette su un barcone non ha alternative, credetemi".
La paura degli europei ha un fondamento, che - proprio come la paura che muove i migranti - ha a che fare con il futuro: milioni di persone di culture e religioni diverse che desiderano vivere e abitare in Europa rappresentano infatti una sfida il cui esito non è possibile conoscere a priori.
Le società europee potranno ritrovarsi più giovani, più pacifiche, più ricche: in grado così di continuare - in forme nuove - il cammino iniziato dopo la seconda guerra mondiale. E la sfida sarà allora stata vinta.
Oppure, se il risultato della sfida sarà negativo, l'Europa come l'abbiamo conosciuta non ci sarà più.

Anticipazioni della "non Europa". Alcune "immagini" di questo possibile secondo scenario negativo sono già disponibili.
A metà maggio Germania, Austria, Svezia, Danimarca e Norvegia hanno chiesto e ottenuto una sospensione di Schengen, dunque il mantenimento dei controlli alle frontiere interne europee, per sei mesi. È stata fatta passare come ordinaria amministrazione. Si è minimizzato, commentando che si tratta di scelte compiute solo per tenere buone le opinioni pubbliche interne. Intanto però si circola già meno liberamente in Europa e si è avviato un processo così negativo che proprio dalla cancelliera tedesca Angela Merkel due settimane dopo è arrivato l'allarme politico: "Dire che si può semplicemente chiudere il Brennero non è così semplice: l'Europa sarebbe distrutta".
Altre immagini ancora documentano l'Europa che c'è e quello che potrebbe essere se la sfida del millennio sarà persa. Queste vengono da una delle frontiere esterne dell'Europa, dal Mediterraneo.
Si chiama Eunavfor Med la missione militare europea contro il traffico di esseri umani; la guida un ammiraglio italiano e vi partecipano 24 nazioni: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria. È una bella immagine, specie se completata con quella dell'operazione Triton, sempre nel Mediterraneo, nella quale sono presenti anche Austria, Croazia, Danimarca e Irlanda e nazioni che non fanno parte dell'Unione: Islanda, Norvegia e Svizzera. Su queste navi migliaia e migliaia di fuggiaschi hanno avuto salva la vita. Su queste navi operano europei che condividono obiettivi; sono militari di popoli di pace che usano le proprie forze armate per salvare invece che per uccidere. È proprio l'Europa faticosamente e coraggiosamente costruita fin qui.
Il film però non finisce: il secondo tempo fa vedere il futuro senza Europa. I migranti salvati nel Mediterraneo da una nave inglese o tedesca o danese o francese sono tutti sbarcati nei porti italiani. E non per l'urgenza umanitaria di tornare nuovamente in alto mare, ma perché una volta salvati i fuggiaschi diventano… un problema che non si vuole avere in casa.

Risentimento e paura dei cittadini. La conferma viene dal sostanziale fallimento del piano europeo di ricollocamento dei migranti. Ecco le cifre ufficiali dei primi sei mesi del piano Juncker: sono state ricollocate appena 674 persone dall'Italia (sulle 39.600 previste nel biennio 2015-2017) e 1.044 dalla Grecia (sulle 66.400 previste). In tutto 24 paesi europei hanno messo a disposizione 7.820 accoglimenti su un totale programmato di 160 mila in due anni.
Sono i numeri di un paradosso e di un'ipocrisia; sarebbero però la normalità senza l'Europa. "Non riesco a credere che un continente come l'Europa di 500 milioni di abitanti non sia in grado di accogliere 2 milioni di profughi", si è arreso sconsolato il presidente della Commissione europea Juncker.
Ciò avviene perché la paura questa volta non sta spingendo gli europei a cercare il futuro ma a cercare il passato.
Non è sempre stato così. Nella seconda metà del secolo scorso la paura di una nuova guerra ha spinto gli europei a provare e a riprovare cose nuove, a provare e a riprovare l'unione dell'Europa. Oggi succede invece che proprio quando ci sarebbe più bisogno di scelte condivise e di politiche continentali, quasi tutti gli Stati europei hanno imboccato la strada del passato.
La colpa non è dei migranti. I migranti sono la goccia che ha fatto traboccare un vaso già pieno di risentimenti e di paure delle opinioni pubbliche continentali. I migranti sono lo specchio impietoso di classi dirigenti che utilizzano l'orologio elettorale invece che quello della storia.
Su parti crescenti della popolazione europea sta incidendo la crisi economica e finanziaria, che non passa, riduce le opportunità per i giovani, mette a rischio la previdenza e la salute per i vecchi. I singoli Stati oggettivamente impotenti hanno indirizzato le loro opinioni pubbliche a chiedere conto all'Europa. L'Europa è rimasta ferma alle politiche monetarie, imponendo ai paesi più ricchi una solidarietà sempre più malvista e ai paesi più poveri un'austerità sempre più insopportabile con il risultato di essere poco apprezzata dall'Olanda alla Grecia.
Il terrorismo internazionale è arrivato a colpire anche in Europa, accrescendo nei cittadini il senso di impotenza, mentre i governi vi rispondono non accrescendo le cooperazioni internazionali, ma chiudendo le proprie "porte".
In questo scenario la crisi migratoria - meno impegnativa dal punto di vista economico di quella finanziaria e meno difficile da gestire di quella terroristica - sta diventando dirompente nelle opinioni pubbliche che vi vedono la somma delle altre due sofferenze: i migranti "rubano posti di lavoro", i migranti "sono musulmani". Moltissimi cittadini europei stanno così mettendo in discussione le basi stesse dell'Europa: il principio di sovranità condivisa, il principio di solidarietà, un territorio comune, una moneta comune, un continente di pace per il pianeta con il ripudio della guerra.

Rinuncia e debolezza dei governanti. Proprio la parola "guerra", dopo settant'anni di pace in Europa, è drammaticamente tornata sulle labbra di un capo di governo europeo. Per scongiurare l'uscita del Regno Unito dall'Unione Europea, il primo ministro inglese David Cameron ha ricordato che i fantasmi della seconda guerra mondiale potrebbero rimaterializzarsi: "L'Unione Europea ha aiutato a riconciliare paesi che sono stati in conflitto per decenni e a mantenere la pace. (…) Potremmo voltare all'indietro le lancette degli orologi verso un'era di nazionalismi in lotta fra loro in Europa. (…) Siamo sicuri che la pace e la stabilità siano garantiti al di là di ogni dubbio sul nostro continente? (…) La verità è che quello che avviene nel nostro vicinato ha importanza anche per il nostro paese. Ciò era vero nel 1914, nel 1940 e nel 1989". Sono le date della prima guerra mondiale, della seconda guerra mondiale e della caduta del muro di Berlino.
Per una volta Cameron ha accettato la sfida di una parte importante della sua opinione pubblica, nella quale i temi dell'immigrazione sono stati cavalcati anche per accrescere i consensi alla Brexit, nonostante il Regno Unito abbia una storica esperienza di immigrazione, tale da consentire che il sindaco della capitale Londra si chiami Sadiq Kahn, sia figlio di immigrati pachistani, sia di religione musulmana.
La scelta di Cameron è tuttavia molto isolata. Quasi tutti i governi europei, per paura degli elettori, scelgono politiche di corto respiro, che comunque non fermano il flusso di migranti, ma lo spostano in continuazione, sperando che i migranti seguano altre rotte.
E allo stesso modo i governanti nazionali si comportano quando decidono insieme nel Consiglio europeo. Ad esempio non hanno trovato di meglio che pagare un "mercenario", la Turchia, per fare il lavoro che non si sono sentiti di fare: bloccare, selezionare, respingere, imprigionare i profughi che percorrevano la rotta balcanica. Tutte operazioni che contrastano con lo spirito e la natura dell'Europa. Ma in questo modo il Consiglio europeo ha anche certificato la rinuncia alla sua sovranità.
Poco dopo in Giappone, alla periodica riunione del G7, il rappresentante dei governi europei Donald Tusk è andato a chiedere aiuto per fronteggiare l'immigrazione a Stati Uniti, Giappone e Canada: "La comunità mondiale deve dimostrarci la sua solidarietà e riconoscere che questa è una crisi globale. Abbiamo bisogno della leadership del G7. Sinceramente, se non viene da qui una leadership non verrà da nessuno": una confessione di mancata di autorevolezza che da sola spiega l'impotenza sia di fronte ai cambiamenti planetari sia di fronte alle paure che questi cambiamenti provocano nei cittadini.
Il problema gli europei ce l'hanno in casa. Non lo portano i migranti.

Cosa ti è successo, Europa? "Cosa ti è successo, Europa, umanistica, paladina dei diritti dell'uomo, della democrazia e della libertà? Cosa ti è successo, Europa terra di poeti, di filosofi, di artisti, musicisti, letterati? Cosa ti è successo, Europa madre di popoli e di nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?".
Papa Francesco ha rivolto queste pertinenti domande al presidente del Parlamento Europeo Martin Schultz, al presidente del Consiglio Europeo Donald Tusk, al presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker, l'alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini, al governatore della Bce Mario Draghi alla cancelliera tedesca Angela Merkel, al presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi, al re di Spagna Felipe IV, al Granduca di Lussemburgo Enrico, alla presidente della Lituania Dalia Grybauskaitè.
Erano arrivati in Vaticano per conferire al Papa il Premio Carlo Magno e Francesco non si è tirato indietro: ad una platea che rappresenta popolazioni e istituzioni tentate dal ritornare indietro nella storia, ha proposto una strada alternativa, che gli europei già conoscono, perché l'hanno costruita "i Padri fondatori dell'Europa. Essi seppero cercare strade alternative, innovative in un contesto segnato dalle ferite della guerra. Essi ebbero l'audacia non solo di sognare l'idea di Europa, ma osarono trasformare radicalmente i modelli che provocavano soltanto violenza e distruzione. Osarono cercare soluzioni multilaterali ai problemi che poco a poco diventavano comuni. (…) I progetti dei Padri fondatori, araldi della pace e profeti dell'avvenire, non sono superati: ispirano, oggi più che mai, a costruire ponti e abbattere muri".

10 giugno 2016


11 giugno 2016
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