EUROPEI

I referendum francese e olandese del 2005
Dieci anni dopo l'affossamento
della Costituzione europea

I bisogni sono sempre gli stessi: una dimensione demografica, una forza economica e una capacità decisionale adeguate alla globalizzazione

di Tino Bedin

Sono passati dieci anni dai due referendum, prima quello francese poi quello olandese, che interruppero la ratifica del Trattato che istituiva la Costituzione europea. Tra la fine di maggio e l'inizio di giugno del 2005 il lungo e faticoso cammino che aveva dato all'Europa una dimensione continentale e una moneta unica si fermò. E poiché la strada dell'Europa è necessariamente in… salita, fermare il passo ha significato scivolare indietro. Senza una Costituzione, quindi senza una base giuridica rafforzata, la dimensione continentale e la moneta unità da opportunità e speranze si sono trasformate in vincoli e delusioni.
In questo stesso decennio i governi nazionali, più premurosi verso i voti interni che verso il futuro comune, hanno alimentato nelle opinioni pubbliche la convinzione che è l'Europa a frenare le buone volontà locali.
Forse è anche per questo clima politico che il decennale dell'affossamento della Costituzione europea è passato pressoché inosservato: eppure ogni volta - e succede quasi ogni giorno - che ci si lamenta per "l'assenza dell'Europa" bisognerebbe ritornare a quel 2005 e allo scivolamento indietro cominciato allora. I bisogni sono infatti sempre gli stessi per i quali sono stati realizzati l'allargamento e l'euro e per i quali era stata progettata la Costituzione europea: avere una dimensione demografica, una forza economica e una capacità decisionale adeguate alla globalizzazione.
La prova l'abbiamo avuta - nostro malgrado - proprio in questo decennio: gli Stati Uniti hanno ritrovato la strada della crescita poiché dispongono di una struttura costituzionale più coesa rispetto all'Europa, frenata appunto dai due referendum di dieci anni fa e nella quale si è fatta largo la propaganda di governi e partiti che illudono i propri cittadini di poter andare da soli nel mondo globale.
È un mondo che non ci ha aspettato e non ci aspetta.

Verso il Trattato transatlantico. Sono in corso da molti mesi le trattative sul Transatlantic Trade and Investment Partnerschip (TTIP), il più grande accordo commerciale tra gli Stati Uniti e l'altra parte dell'Atlantico, cioè anche con noi italiani, che ovviamente non siamo in grado di dettare condizioni. Lo siamo come europei e lo saremmo più produttivamente se fossimo coinvolti in questi contenuti dell'Europa e non nei suoi limiti.
Il Parlamento europeo sta al riguardo facendo la sua parte ed anche oltre: non ha poteri diretti sulla trattativa, ma si è premurato di far sapere alla Commissione europea, titolare della discussione, quali sono i punti fermi dell'eventuale accordo commerciale, senza i quali il Parlamento non lo approverà. Ecco in sintesi i più importanti.
1) I servizi pubblici vanno esclusi dalle materie del negoziato.
2) Non sono negoziabili gli standard europei in materia di sicurezza alimentare, protezione dei lavoratori e tutela del benessere animale.
3) Vanno mantenute le norme europee in materia di tutela dei dati personali.
4) Pieno riconoscimento e tutela del sistema europeo delle indicazioni geografiche degli alimenti e dell'indicazione di origine dei prodotti.
5) Per la risoluzione delle controversie tra i singoli stati e gli investitori va abbandonato il modello dell'arbitrato privato e va istituita una Corte internazionale degli investimenti fornata da giudici indipendenti, nominati pubblicamente e in audizioni pubbliche.
Il rapporto del Parlamento europeo, come si vede, ha ben presenti anche alcuni interessi italiani, in particolare sull'origine degli alimenti. Sono interessi che finora non riusciamo da soli a tutelare adeguatamente.

Clima e cooperazione allo sviluppo. La scala planetaria dei problemi e delle loro soluzioni (e della relativa competizione) è ormai così consolidata da questa settimana è stata resa nota una proposta comune delle grandi aziende europee del settore energetico in vista della conferenza dell'Onu sui cambiamenti climatici in calendario a dicembre a Parigi. Eni (Italia), BG Group e BP (Regno Unito), Statoil (Norvegia) e Total (Francia) hanno sottoscritto una lettera collettiva agli organizzatori della conferenza nella quale suggeriscono di puntare sul gas e promettono di fare la loro parte per applicare le intese che auspicano al vertice Onu. In cambio chiedono un sistema di tariffazione sulle emissioni di anidride carbonica valido in tutto il mondo. Si tratta di grandissime società multinazionali, che tuttavia ritengono "inadeguata" la loro dimensione nel confronto globale e quindi superano la concorrenza reciproca per contare di più. Ad esempio, più delle compagnie americane: Exxon e Chevron hanno rifiutato di unirsi a quelle europee nella richiesta.
La proposta delle compagnie europee avrebbe ricadute dirette sull'Italia, non solo in materia di clima, ma anche di economia. L'amministratore delegato dell'Eni Descalzi ha anticipato che l'Europa dovrebbe adottare una politica energetica per favorire il flusso delle forniture dal sud. Italia e Spagna hanno da sole una capacità di distribuzione di gas in prevalenza nordafricano che basterebbe a compensare quello russo; oggi mancano le strutture distributive, che si potrebbero costruire in due o tre anni.
Prima dell'appuntamento di Parigi, l'agenda delle Nazioni Unite prevede a settembre a New York la verifica degli obiettivi per la politica internazionale per lo sviluppo. Si tratta di un tema strategico, specie dopo che le migrazioni di necessità verso l'Europa hanno assunto le dimensioni di un esodo. Non a caso la Germania ha inserito l'argomento nell'agenda del G7 che si svolge domenica 7 e lunedì 8 giugno. Presentando l'incontro dei capi di stato e di governo delle sette nazionali industrializzate più importante, la cancelliera tedesca ha ammesso: "Da soli, come G7, non possiamo superare queste sfide; abbiamo invece bisogno di molti altri partner".

Europa solidale e differenziata. Dunque né le grandi multinazionali dell'energia né i paesi del G7 ammettono di non bastare a se stessi. E noi italiani ci faremo bastare Salvini e Grillo e le loro parole autarchiche? E la domanda vale - ovviamente - anche i tedeschi, i francesi, gli olandesi, i britannici, i polacchi, i greci e via elencando gli europei, tra ognuno dei quali c'è chi predica l'isolamento.
Tornare a dieci anni fa, alla Costituzione europea, sarebbe ora irrealistico. Quella rottura e la successiva crisi economica hanno cambiato la storia e i cuori.
Realistico è riprendere una delle prospettive che all'inizio del secolo sono state approfondite e sono presenti nel Trattato dell'Unione: avere un'Europa insieme solidale e differenziata; avere cioè una doppia Europa, capace di difendere gli interessi ed il futuro di ciascuno degli Stati membri.
L'Eurozona deve accelerare la costruzione dell'integrazione economica e sociale, avvicinando i sistemi fiscali e le regole salariali. In questo modo avrebbe istituzioni più forti, in grado di adattarsi alle circostanze economiche e di intervenire nelle situazioni nazionali. L'insieme dell'Unione europea deve procedere con lo strumento fondamentale dell'integrazione continentale: il mercato unico. Questo va valorizzato in settori decisivi quali l'energia e il digitale.
In questo modo la dimensione continentale raggiunta con l'allargamento diventerà una effettiva forza planetaria, mentre l'euro sarà espressione non solo di scelte finanziarie, ma anche di comuni scelte fiscali e sociali, sarà cioè una moneta vera. A vantaggio degli europei e ad equilibrio del sistema economico globale.

7 giugno 2015


20 agosto 2015
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