Al Consiglio europeo del 19 e 20 marzo a Bruxelles il presidente del Consiglio italiano Matteo Renzi si è portato dietro una serie di indicazioni che gli erano state affidate dai parlamentari italiani. In particolare i senatori mercoledì scorso, dopo averlo ascoltato a Palazzo Madama, hanno detto a Matteo Renzi di fare particolare attenzione al Fondo europeo per gli investimenti strategici.
A questo Fondo il Senato ha fatto riferimento nei primi quattro punti della risoluzione approvata al termine della discussione, risoluzione nella quale il Fondo ritorna anche nella parte che riguarda le scelte europee in materia di energia.
La priorità che il Fondo riveste a giudizio dei senatori è giustificata certo dai contenuti del Fondo, ma prima ancora dalla scelta politica che è alla base della sua nascita: è la prima iniziativa presa dalla nuova Commissione europea, guidata da Jean-Claude Juncker, con la quale al centro dell'agenda politica dell'Unione Europea non sono più le cosiddette riforme strutturali e il rigoroso risanamento della finanza pubblica, ma il raggiungimento di accettabili tassi di crescita dell'economia europea. Il Senato ha chiesto a Matteo Renzi di lavorare perché questa priorità della crescita sia confermata e consolidata con decisioni concrete.
I due obiettivi. Il presidente Junker aveva preso l'impegno a far lavorare la Commissione europea in questa direzione fin dal suo discorso programmatico al Parlamento dell'Unione in autunno. È stato di parola: meno di due mesi dopo l'annuncio, a metà gennaio, la Commissione europea ha adottato la proposta legislativa sul Fondo europeo per gli investimenti strategici (FEIS), che sarà istituito in partenariato con la Banca europea per gli investimenti (BEI).
Il Fondo è destinato a mobilitare almeno 315 miliardi di euro di investimenti pubblici e privati in tutta l'Unione europea.
In dettaglio, il Fondo è stato pensato con due obiettivi.
Il primo obiettivo è di coprire il rischio insito in investimenti strategici di rilevanza europea a lungo termine nelle infrastrutture (in particolare la banda larga e le reti energetiche), nelle infrastrutture di trasporto (specialmente in agglomerati industriali), nell'istruzione, nella ricerca e nell'innovazione, nelle energie rinnovabili e nell'efficienza energetica. A questo obiettivo sono destinate tre quarti delle risorse del FEIS fornite dal bilancio dell'Unione europea, pari a 16 miliardi di euro.
Il secondo obiettivo è agevolare l'accesso ai finanziamenti del rischio per le piccole e medie imprese e per le imprese a media capitalizzazione, avvalendosi per gli aspetti operativi del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), che fa parte del gruppo BEI. A questo obiettivo sarà riservato circa un quarto delle risorse del FEIS messe a disposizione dalla BEI, pari a 5 miliardi di euro.
Dal ristagno al precipizio. Il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker aveva accompagnato la presentazione della proposta legislativa con questo commento: "Questa Commissione fa sul serio, compiendo un passo importante verso il ritorno degli europei nel mondo del lavoro e la riaccensione dell'economia dell'Unione. Conto ora sulla leadership politica dei colegislatori - Parlamento europeo e Consiglio - affinché la proposta sia adottata in tempi brevi, così che il Fondo possa essere operativo entro giugno aprendo il flusso dei nuovi investimenti. Questo e nulla meno si aspettano i cittadini d'Europa, e il tempo stringe".
Il tempo effettivamente diventa sempre meno. L'Europa è impigliata in una rete di difficoltà, che non è più possibile sciogliere: bisogna tagliarla. L'economia europea è in ristagno dal 2008. In alcuni Paesi dell'Unione si registra una vera e propria recessione, aggravata ultimamente dall'innesco della deflazione. La presunzione che attraverso il controllo dei bilanci pubblici e le miracolistiche riforme strutturali l'economia avrebbe trovato in sé la forza di riprendersi ha invece determinato ricadute sociali molto pensati, che hanno comportato il crollo della domanda interna, mentre gli Stati hanno ridotto drasticamente gli investimenti pubblici: in Italia - per limitarci al dato che ci riguarda più da vicino - la spesa per investimenti pubblici in percentuale rispetto al PIL, ha raggiunto, nel 2012, il valore bassissimo dell'1,85 per cento.
Sul piano degli investimenti non è che il privato abbia fatto meglio. La contrazione ha assunto le dimensioni del crollo in particolare in Italia, dove la riduzione cumulata è stata pari al 25 per cento, in Portogallo, dove è stata del 36 per cento, e in Grecia, dove si è registrato un meno 64 per cento.
Senza domanda privata e senza investimenti, il ristagno economico è destinato a diventare un precipizio. Una riduzione così forte degli investimenti priva l'Unione europea di infrastrutture moderne e idonee a reggere la competizione a livello internazionale. Abbiamo sotto gli occhi l'obsolescenza delle infrastrutture pubbliche in Italia, che anno dopo anno aumenta il differenziale di competitività rispetto alle economie più dinamiche, come gli Stati Uniti dove il sostegno pubblico agli investimenti in questo periodo di crisi ha prodotto ampi vantaggi per l'economia.
L'esame tempestivo. Finalmente anche l'Europa sta imboccando la strada percorsa proprio dagli Usa e lo fa appunto con il Fondo europeo per gli investimenti strategici.
La direzione appare condivisa dall'insieme delle istituzione europee, sia quelle dell'Unione sia quelle nazionali.
Il Consiglio europeo già due settimane fa ha messo a punto la propria proposta negoziale sul Fondo, in modo da poter discutere con il Parlamento europeo. Da parte sua, il Parlamento dell'Unione ha avviato tempestivamente nelle competenti commissioni l'esame della proposta della Commissione ed ha l'obiettivo di arrivare per giugno alla discussione nell'aula di Strasburgo, in modo da rispettare il calendario proposto da Juncker, secondo il quale i primi progetti potrebbero essere finanziati già a metà anno.
In Italia sia il Senato sia la Camera hanno avviato procedure specifiche di esame del Fondo europeo per gli investimenti strategici, in modo da fornire al governo valutazioni e proposte di miglioramento da far valere in sede europea.
Punti da precisare. Pur essendo largamente positiva la svolta impressa dalla Commissione europea, essa va meglio precisata sia nei meccanismi sia negli obiettivi.
Per quanto riguarda i meccanismi, un punto debole riguarda la fonte di finanziamento: nei 16 miliardi di euro messi dalla Commissione ci sono anche soldi già previsti dalla programmazione finanziaria 2014-2020 e destinati ai programmi "Connecting Europe" e "Orizzonte 2020". Il Parlamento italiano ha già osservato che in questa maniera si mettono a rischio iniziative già avviate e che comunque non si tratterebbe dunque di "soldi freschi".
Per quanto riguarda gli obiettivi, il nuovo Fondo europeo è stato pensato soprattutto come fondo di garanzia per investimenti che presentano un qualche rischio, con la finalità di sostenere particolarmente gli investimenti privati. In una lista di 44 progetti già presentati dagli Stati dell'Unione e scelti come teoricamente finanziabili da Commissione europea e Banca europea degli investimenti, è stato inserito anche il progetto italiano che prevede un investimento di 8,7 miliardi di euro per l'ammodernamento degli edifici scolastici. È indubbio che l'edilizia scolastica va rinnovata e che un investimento sull'infrastruttura culturale è strategico, ma è difficile vedere quale effetto "moltiplicatore" di ulteriori investimenti questi 8,7 miliardi possano avere.
Si tratta solo di esempi di casi in cui la proposta della Commissione va precisata in modo che il regolamento di attuazione sia il più vicino possibile all'obiettivo di cui l'Europa ha bisogno: investire sulla crescita per creare lavoro. Esattamente il primo punto affidato dal Senato a Matteo Renzi per la discussione in Europa: "Contrastare al meglio la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi".
22 marzo 2015