EUROPEI

La conferma di un'insufficiente scelta europea
L'Italia fa buchi nella rete di sicurezza
costruita dall'Unione Europea

Nella legge Comunitaria annuale non si recupera il grave ritardo nell'introduzione degli strumenti giudiziari e di indagine

intervento di Tino Bedin segretario della commissione Europa del Senato

Il disegno di legge Comunitaria che ogni anno il Governo presenta al Parlamento dovrebbe costituire innanzi tutto, da un punto di vista politico, un rinnovato impegno della Repubblica italiana (a livello statale e regionale) ad accrescere la condivisione di norme e di scelte politiche all'interno dell'Unione europea e delle sue istituzioni.
In questa prospettiva è stato a suo tempo pensato uno strumento normativo capace di recepire un numero rilevante di atti delle istituzioni comunitarie ed assicurare loro pronta esecuzione, prevenendo, quindi, violazioni per inadempimento degli obblighi comunitari ed una conseguente responsabilità giuridica e politica dello Stato italiano in sede europea.
Ora il disegno di legge di modifica della legge Comunitaria, che sta per essere definitivamente approvato proprio dal Senato per rendere tale strumento più agile ed efficace, si inserisce pienamente in questa linea. Infine La modifica del regolamento del Senato con l'istituzione della Commissione per le Politiche dell'Unione Europea, che si caratterizza proprio per la competenza nella legge Comunitaria annuale, ha ulteriormente valorizzato questo strumento.
Cercheremo in questo esame, il primo da parte della nuova quattordicesima commissione, non solo di essere all'altezza della sfida, ma anche di implementare il regolamento con una prassi virtuosa. Puntiamo a fare della legge annuale Comunitaria il momento in cui il Parlamento rinnova politicamente la propria volontà di piena adesione alle istituzioni dell'Europa unita.

Tre ministri eurofreddi
Questa volontà dovrebbe essere ovviamente presente anche nel governo, come organo collegiale. Non ho difficoltà a riconoscere l'impegno europeistico del ministro per le politiche comunitarie, evidenziato dalle difficoltà che egli stesso ha già rappresentate alla Commissione Europa del Senato, rispondendo ad alcune mie richieste di chiarimento a proposito della partecipazione delle regioni al processo normativo comunitario e all'ancora alto numero di norme europee non recepite nel nostro ordinamento.
Questa attenzione europeista non è tuttavia una caratteristica del governo nel suo insieme. Non mi riferisco solo una serie di comportamenti che vanno in senso diametralmente opposto, quali sono quelli in materia di collaborazione giudiziaria, ad opera soprattutto del ministro della Giustizia Castelli. Si tratta di una linea politica che si esprime anche attraverso i comportamenti del ministro degli Esteri e del ministro degli Interni.
Mentre nelle dichiarazioni pubbliche, agli organi di informazione e al Parlamento, invocano più Europa in tema di sicurezza, questi tre ministri (Esteri, Interni e Giustizia) preferiscono poi nelle scelte concrete gli accordi bilaterali o multilaterali, che non sono inutili, ma sono riduttivi rispetto ad una politica europea di contrasto al terrorismo e di creazione di un'area di sicurezza, libertà e giustizia in Europa.

Eppure avevano promesso sicurezza
Il 12 marzo scorso la Commissione europea ha presentato una propria comunicazione al Consiglio e al Parlamento europei su "Prevenzione della criminalità nell'Unione Europea". Questa comunicazione ha consentito di compiere una analisi dei risultati sia a livello dei singoli Stati che a livello di Unione europea. Sulla base di questi elementi, organi di stampa internazionali ed italiani stanno evidenziando nelle ultime settimane il clamoroso ritardo dello Stato italiano nel recepire una serie di atti comunitari in materia di collaborazione giudiziaria; primo tra questi la decisione-quadro in materia di mandato di arresto europeo.
Si tratta di ritardi inaccettabili, che minano la credibilità internazionale ed europea dell'Italia e rischiano di relegarci ai margini della collaborazione contro il crimine internazionale.
È evidente la gravità di questo comportamento, soprattutto in un momento in cui l'attacco della criminalità internazionale, anche terroristica, alle nostre società si fa più tragico. È sconcertante che un Governo che ha posto in cima alle sue priorità la "questione sicurezza" di dimostri non consapevole di ciò, o meglio non sia coerente con le proprie dichiarazioni programmatiche.
Ma su questi giudizi di carattere politico avremo modo di ritornare, sempre all'interno di questo dibattito congiunto, nell'intervento a proposito della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Europa. Ora ci interessa la legge Comunitaria annuale.

Il Parlamento tra cittadini ed Europa
Ho già detto che uno dei contributi che il gruppo Margherita-L'Ulivo cercherà di offrire nel corso del primo esame della Comunitaria nella Commissione Europa del Senato sarà di determinare prassi virtuose nell'esame di questa legge annuale.
È stato opportunamente segnalato all'inizio del percorso parlamentare della Comunitaria che materia di emendamenti può ora essere, sulla base delle nuove norme, esclusivamente l'oggetto della legge Comunitaria, che è definito nell'articolo 4 della legge La Pergola. Questa novità è stata indicata come un "limite" all'attività emendativa del Senato. Lo è certamente, se la nuova norma evita di fare della Comunitaria una legge omnibus, alla quale attaccare i rimorchi più disparati targati solo Italia e non Unione europea.
Ma l'articolo 4 della legge La Pergola stabilisce che il periodico adeguamento dell'ordinamento nazionale all'ordinamento comunitario sia assicurato, di norma, dalla legge Comunitaria annuale mediante "disposizioni occorrenti per dare attuazione, o assicurare l'applicazione, agli atti del Consiglio o della Commissione delle Comunità europee". Una delle attività del Parlamento è quindi quella di verificare l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea che conseguono all'emanazione di regolamenti, direttive e decisioni. Nel caso in cui questo adempimento non sia soddisfatto, è compito del Parlamento porvi rimedio attraverso emendamenti al disegno di legge governativo.
Invece che una limitazione, il nuovo regolamento, si prospetta quindi come una opportunità per il Senato di avere un ruolo propositivo nell'accelerazione della applicazione delle norme europee ed anche nell'individuazione di materie che rispondono alle attese dell'opinione pubblica. Da strumento interno alle istituzioni, la legge Comunitaria annuale può diventare così uno dei momenti di confronto fra cittadini ed Unione europea.
In questa visione ho richiamato fin dall'inizio le questioni relative al contrasto al terrorismo e alla criminalità transnazionale. Si tratta di una questione essenziale per le nostre opinioni pubbliche, alle cui attese possiamo dare una risposta proprio nella legge Comunitaria.

Sicurezza europea: la lista dei ritardi italiani
Gli strumenti messi in campo dall'Europa per la sicurezza negli ultimi anni, rilanciati dopo l'11 settembre 2001 e, purtroppo, dopo la strage di Madrid dell'11 marzo, in Italia non hanno avuto grande successo, non hanno sbloccato nessuna delle misure (e se ne contano almeno 10: convenzioni non ratificate; protocolli ignorati; decisioni quadro inattuate) ritenute strategiche dall'Unione europea per rafforzare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri. La mancata attuazione del mandato di arresto europeo è solo l'elemento di maggiore contrasto. Ma l'Europa parla anche di Eurojust, squadre investigative comuni, cancellazione del segreto bancario, estensione delle videoconferenze, semplificazione delle rogatorie, intercettazioni telefoniche più penetranti, estradizioni semplificate, misure più efficaci contro il riciclaggio di danaro sporco, sequestro e confisca degli strumenti e dei proventi del reato: in molti casi il Governo non si è neppure attivato; in altri, tutto è fermo, fuori e dentro il Parlamento.
In questo modo si vanifica la scelta fatta in Europa, vista la lentezza con cui si ratificano le Convenzioni, di ricorrere sempre più spesso alle decisioni quadro che, a differenza delle prime, hanno una scadenza. L'Italia ha superato il termine di scadenza oltre che per l'euromandato (31 dicembre 2003), per Eurojust (6 settembre 2003), per la lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti (28 maggio 2001), per il riciclaggio di danaro, il congelamento, il sequestro e la confisca dei proventi del reato (26 giugno 2001).
Riassumo nel dettaglio (utilizzando una scheda del Solo 24 Ore) la situazione delle convenzioni europee in materia di contrasto al terrorismo e alla criminalità.
1) Convenzione Ue relativa alla procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri Ue (estradizione semplificata). Bruxelles, 10 marzo 1995. È alla Camera e non è iniziato l'esame.
2) Convenzione Ue relativa all'estradizione tra gli Stati membri Ue (estradizione semplificata). Dublino, 27 settembre 1996. Anche questa è alla Camera, senza che sia iniziato l'esame.
3) Convenzione Ue relativa all'assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri Ue. Firmata a Bruxelles il 29 maggio del 2000, ne è solo iniziato l'esame alla Camera.
4) Primo protocollo addizionale sulle indagini bancarie e finanziarie, ottobre 2001. Non ha ancora avuto un seguito.
Per quanto riguarda le decisioni quadro, la situazione è la seguente.
1) Decisione-quadro Ue relativa alla lotta contro le frodi e le falsificazioni di mezzi di pagamento diversi dai contanti del 28 maggio 2001. Non ha ancora avuto un seguito.
2) Decisione-quadro Ue sul riciclaggio di denaro, l'individuazione, il rintracciamento, il congelamento o sequestro e la confisca degli strumenti e dei proventi di reato del 26 giugno 2001. Non ha ancora avuto un seguito.
3) Decisione quadro su Eurojust del 28 febbraio 2002. Approvata solo dalla commissione Giustizia della Camera.
4) Decisione quadro sul mandato d'arresto europeo del 13 giugno 2002. Approvata solo dalla commissione Giustizia della Camera.
Ci sono poi altri strumenti internazionali, che cito per completezza di rassegna, anche se non rientrano tra le norme da inserire nella legge Comunitaria.
1) Secondo protocollo addizionale della Convenzione di Strasburgo del 1959 sull'assistenza giudiziaria in campo penale (per semplificare le regole delle rogatorie), ottobre 2001. Non ha ancora avuto un seguito.
2) Convenzione penale sulla corruzione, fatta dal Consiglio d'Europa, gennaio 1999. Non ha ancora avuto un seguito.
3) Convenzione Onu sul crimine organizzato transnazionale e protocolli addizionali su traffico di armi, di migranti e di persone. Palermo, 12 dicembre 2000. Iniziato l'esame al Senato.

Rimediare subito alla sicurezza con la Comunitaria
La legge Comunitaria è l'occasione - se si vuole - per rimediare, almeno parzialmente, a questi ritardi ed omissioni. Da parte nostra intendiamo offrire al Governo un'opportunità per recuperare coerenza e credibilità europeistica e annuncio l'intenzione di presentare, in forma di emendamenti alla legge Comunitaria, disposizioni di attuazione degli atti normativi europei in materia di collaborazione giudiziaria, ogni qualvolta ciò sia tecnicamente possibile.
Sarà l'occasione per il Governo di chiarire se le reiterate dichiarazioni di intenti europeistici, corrispondono al vero, oppure se il vero volto della politica governativa è quello del ministro Castelli, del suo di isolamento dell'Italia dal resto d'Europa.
Ovviamente su queste materie non si potrà agire attraverso deleghe al governo, ma attraverso l'applicazione diretta. Ci sono motivi di opportunità (le attese dell'opinione pubblica e l'urgenza della situazione internazionale) e motivi di contenuto (si tratta di materie delicate, per le quali la competenza primaria del Parlamento non può essere in nessuna forma compressa). Ci sono però anche motivi più direttamente legati alla legge Comunitaria: i tempi di attuazione della delega, che il Parlamento dà al governo per attuare le norme europee.

Tre anni e mezzo per la delega
Sulla gestione delle deleghe c'è al comma 1 dell'articolo 1 una innovazione sulla quale esprimiamo molte perplessità: i termini di delega per i decreti sia attuativi che integrativi o modificativi sono fissati a 18 mesi dall'entrata in vigore della legge Comunitaria. Nella legge Comunitaria del 2003 questi termini erano di 12 mesi. C'è un aumento del 50 per cento del tempo a disposizione.
E non basta. Secondo il comma 3 dello stesso articolo 1, il governo dispone di altri tre mesi: è sufficiente che presenti il decreto in Parlamento nei trenta giorni precedenti la scadenza o successivamente e subito scattano altri 90 giorni.
E non basta ancora. Secondo il comma 4, il governo ha altri 18+3 mesi dall'entrata in vigore dei decreti per integrarli, per modificarli.
In tutto sono 42 mesi: tre anni e mezzo per attuare la delega. Un tempo enorme, al quale va aggiunto il tempo dalla presentazione della legge Comunitaria alla sua approvazione: tempo nel quale il governo, avendo scelto quali deleghe chiedere, può procedere comunque alla predisposizione degli strumenti da sottoporre alle regioni e al Parlamento.
Non ripeterò le osservazioni sullo svilimento del Parlamento che questa concezione della delega comporta: sarà la prossima legislatura a concludere l'iter che stiamo iniziando oggi. Rimandiamo a quello che è stato detto l'anno scorso e l'altr'anno. Resta tutto valido. Resta comunque una questione interna, tutta italiana, della democrazia in Italia.
Doppio il ritardo normativo dell'Italia. Questione europea - e quindi di stretto riferimento alla legge Comunitaria - è invece il fatto che in questa maniera si aumenta il contenzioso comunitario dell'Italia. Finché non è compiutamente attuata la delega il rischio di infrazione è certo (nei primi 18+3 mesi) e poi molto probabile (nei secondi 18+3 mesi).
La probabile giustificazione del governo per la richiesta di un aumento dei tempi a disposizione, cioè le difficoltà attuali di rispettare le scadenze, è dunque esattamente il contrario di quello che sarebbe necessario.
Il ministro delle Politiche Comunitarie Rocco Buttiglione ha ripetuto anche quest'anno quello che aveva già detto sia lo scorso anno che l'anno prima: gran parte del contenzioso per i ritardi dell'Italia non nasce né dal governo né dal Parlamento, ma dalla ritardata attuazione delle deleghe. E cosa fa il governo? Invece di darsi gli strumenti per porre rimedio a questa dichiarata inefficienza, aumenta i tempi a dismisura. Non è la soluzione giusta.
E così abbiamo 138 lettere di costituzione in mora e 64 pareri motivati emessi dalla Commissione europea per infrazioni al diritto comunitario; 37 ricorsi promossi davanti alla Corte di Giustizia; 16 sentenze di condanna emesse dalla stessa Corte di Lussemburgo; 10 procedure per l'irrogazione di multe per sentenze non applicate.
Tutto questo nonostante i miglioramenti che si sono registrati nel corso del 2003: l'Italia è passata dal quindicesimo al decimo posto per deficit di recepimento (ma, avverte la relazione, questi miglioramenti sono del tutto provvisori per il 2004). In ogni caso il deficit del 3 per cento: il doppio esatto del deficit fisiologico che il Consiglio europeo si era dato per il marzo 2004.

Il governo non sa quello che fanno le regioni
Questo 3 per cento è comunque riferito solo allo Stato italiano. E le regioni italiane? Anche le regioni e le province autonome hanno competenza nella trasposizione del diritto comunitario. Lo hanno fatto? "Non risultano, infine, disponibili i dati relativi all'attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome ai sensi dell'articolo 9 della legge La Pergola", è scritto nell'ultimo capoverso della relazione di accompagnamento della legge Comunitaria.
Insomma non si sa. Il governo non lo sa. Magari lo sanno le regioni e non lo dicono. O forse non lo sanno nemmeno le regioni. Aspettiamo che sia l'Unione Europea a farci sapere quello che non riusciamo a comunicarci in casa nostra?
Eppure il governo deve saperlo. Si è obbligato a sapere quello che fanno o non fanno le regioni. Lo ha fatto con la legge Comunitaria del 2003 e si addossa di nuovo l'obbligo anche con il disegno di legge Comunitaria per il 2004, al comma 5 dell'articolo 1. L'intervento suppletivo anticipato e cedevole del governo è stato ed è previsto per evitare l'insorgere di una responsabilità nei confronti dell'Unione europea a seguito dell'eventuale mancata attuazione delle direttive da parte delle regioni e delle province autonome. La legge non ha messo e non metterà in capo al governo solo un diritto, ma anche un dovere: il governo deve evitare inadempienze in questo settore e quindi deve mettersi in condizione di esercitare questo dovere.
Gli atti delle regioni sono pubblici; i Bollettini ufficiali regionali sono fonti autentiche: è sufficiente realizzare una banca dati non tanto complessa per tenere aggiornato lo stato di adempimento e fare subito gli atti che già la legge consente ed esige. Troppo semplice, troppo burocratico, poco istituzionale servirsi solo dell'informatica? Il governo aveva ed ha disposizione la Conferenza Stato-Regioni, una cui sessione è dedicata alle materie comunitarie. La Conferenza Stato-Regioni deve dare il parere al disegno di legge Comunitaria: non era quella la sede - con la dovuta preparazione - perché le Regioni facessero insieme allo Stato il punto sul recepimento? Non è quella la sede per confrontare non solo la legge Comunitaria statale ma anche gli strumenti comunitari regionali?
Ripeto: il governo ha dalla sua una legge già approvata dal Parlamento per richiedere questo.
Si ritiene invece che lo strumento legislativo in vigore non basti? Il governo proponga una norma in questa Comunitaria per integrare le disposizioni attuali e dotarsi della capacità di applicare la legge. Non si accontenti di prendere sconsolatamente atto che non sa nulla.

La cittadinanza a pagamento
Queste sono le osservazioni di carattere generale in questa fase della discussione del disegno di legge. Con gli emendamenti il gruppo Margherita-L'Ulivo proporrà alla Commissione e al Governo altre osservazioni su temi specifici.
Fin da ora voglio però richiamare l'attenzione sull'articolo 4. Si tratta di una disposizione che viene da lontano e di cui non faccio carico dunque solo all'attuale governo e all'attuale maggioranza. Con questa si prevede che il cittadino paghi il costo degli atti richiesti dall'Unione Europea. L'Europa è un privato? Le norme europee non sono parte delle norme che ci consentono di esprimere la nostra cittadinanza?
Infine preannuncio che una parte della nostra attività emendativa riguarda i contenuti degli allegati alla legge Comunitaria, con la verifica se per alcune direttive non sia più opportuno il passaggio dall'allegato A allegato B in modo che ci sia il controllo del Parlamento o addirittura non sia preferibile l'attuazione diretta. Solo per citare due esempi di sensibilità civile mi riferisco alle direttive sui lavoratori esposti all'amianto e alla direttiva sul trattamento dei dati da parte delle pubbliche amministrazioni.

23 marzo 2004
Intervento nella commissione Politiche dell'Unione europea.


30 marzo 2004
eu-052
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Tino Bedin