EUROPEI

La legge Comunitaria per il 2002
Il "buon" cibo per gli europei
e il "giusto" cibo per tutti

Dalla salvaguardia della qualità alimentare ad un impegno planetario per lo sviluppo dei popoli

dichiarazione di voto in Aula di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei del Senato

Il gruppo Margherita-l'Ulivo voterà a favore della legge comunitaria per il 2002. I punti che avevamo individuati come problematici nel testo sono stati o espunti (mi riferisco all'articolo sugli appalti) o meglio precisati, anche se non nella forma che noi ritenevamo migliore (mi riferisco in particolare all'articolo 16).
A proposito della delega sulle precisazioni alla legge sui licenziamenti collettivi, il Senato ha indicato comunque al Governo i limiti entro i quali deve essere esercitata per modificare la nostra legislazione, in funzione del ricorso della Commissione europea. Non ho poi dubbi sul fatto che attorno a questa delega ci sarà l'attenzione delle parti sociali. Anche rispetto a questo obiettivo abbiamo svolto il compito che ci spettava: evitare che la norma scritta dal governo passasse per un mero adempimento burocratico; ne abbiamo invece segnalarne il contenuto politico e sociale; se ne è discusso; esiste un ordine del giorno; la Camera dei deputati è avvertita e potrà migliorare il testo. Sotto questo punto di vista, quindi, possiamo ritenerci soddisfatti dell'azione parlamentare svolta.

La concretezza dell'Europa… in tavola. Con questa legge comunitaria si ampliano complessivamente le condizioni della concreta cittadinanza europea che si può esercitare in Italia, sia dagli italiani, sia dagli europei che vivono e lavorano in Italia e con l'Italia.
La gran parte delle direttive riguarda infatti i consumatori e quindi anche, direttamente, i produttori. Credo sia utile richiamare la circostanza che si è verificata questa mattina quasi all'ora di pranzo: in quest'aula, discutendo di legge comunitaria, si è discusso sulla pasta fresca, sulla cioccolata, sui succhi di frutta, sull'orario in cui fare il pane. Ciò rappresenta il segnale della concretezza della cittadinanza europea. Ma queste sono alcune delle direttive, quelle che fanno più notizia perché sono esplicite; altre, che sono contenute negli allegati, riguardano esse pure materia che interessa direttamente i cittadini, la loro vita quotidiana.
Ho richiamato questo particolare della nostra discussione e quindi della legge comunitaria, non per richiamare meglio l'attenzione dell'opinione pubblica, ma per tornare su un punto sul quale occorre riflettere insieme: la necessità che queste concrete normative europee siano esaminate anche dai Parlamenti nazionali prima che diventino direttive. Come ho ricordato in un precedente intervento nel corso di questo stesso dibattito, l'azione, che avevamo avviata nella scorsa legislatura, di indirizzo e di parere al governo sugli atti normativi europei prima che siano approvati deve essere ripresa dal Senato perché, specialmente sui temi concreti, l'opinione pubblica ha diritto di sapere e di partecipare alla loro definizione.
Negli ultimi anni la politica europea ha dovuto registrare un andamento oscillante, nei rapporti tra opinione pubblica e processo di integrazione, tra la domanda, da un lato, di un'Europa più leggera e meno invasiva nelle questioni che si ritengono, a torto o a ragione, di pertinenza degli ordinamenti nazionali e, dall'altro, una domanda di "più Europa" - come del resto ha sottolineato la Presidenza spagnola che si è appena conclusa - nei campi in cui si avverte l'assenza dell'Unione europea.
I cittadini chiedono meno Europa nei settori in cui comunque le istituzioni europee hanno ben funzionato costruendo le condizioni di un autentico mercato interno; essi evidenziano spesso fastidio per un eccesso di burocrazia, ma avvertono la necessità di colmare i vuoti in cui un'Europa più forte potrebbe, al tempo stesso, dare una rappresentanza unitaria al Continente e affrontare nella giusta scala i nuovi problemi non più risolvibili a livello nazionale.
È indispensabile allora fronteggiare il rischio di un ciclo politico caratterizzato dal populismo e dall'euroscetticismo migliorando l'offerta politica europea.

Nel mondo con la forza di una società coesa. Dopo il successo politico dell'euro i cittadini manifestano una consapevolezza incoraggiante della necessità di nuove missioni dell'Unione europea: non vi è infatti ruolo possibile come attore globale, se non vi sono nuove missioni da compiere per il nostro continente.
Voglio segnalarne due, anche per non passare sotto silenzio l'altro documento che è al nostro esame, la Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea, e per indicare al qoverno quello che ci aspettiamo al riguardo.
Tra le missioni che l'Unione europea deve svolgere urgentemente dal punto di vista istituzionale, ma anche dei cittadini, vi è certamente quella di dotarsi di una propria politica estera e di sicurezza comune. L'intervento che il presidente Dini, rappresentante del Senato italiano alla Convenzione, ha svolto proprio qualche giorno fa su questo tema, dal punto di vista del contenuto e delle indicazioni per il presente e soprattutto per il futuro, esprime una posizione non solo condivisibile, ma che riteniamo debba essere fatta propria da tutta la delegazione italiana alla Convenzione e dallo stesso Governo.
Si tratta infatti di realizzare un'unità di indirizzo nella politica di sicurezza e di difesa comune dell'Unione europea unificando in una sola figura il rappresentante della politica estera dell'Unione, nonché di proseguire nell'attuazione della forza rapida di intervento dando concretezza alla nostra difesa così come è avvenuto con l'euro; con l'euro abbiamo dato concretezza e visibilità alla nostra politica economica comune e, nel momento in cui esso è diventato moneta circolante, ne abbiamo visti i risultati anche dal punto di vista del suo valore; credo che nel momento in cui i giovani italiani potranno dirsi partecipi di un unico esercito europeo, l'Europa segnerà un passo significativo in avanti nella sua missione di pacificatore mondiale.
L'altra grande missione che l'Europa e, quindi, l'Italia in Europa devono promuovere è l'aiuto allo sviluppo dell'intero pianeta. Crediamo sia giusto impegnare l'Unione in un ruolo guida sul piano commerciale dell'assistenza allo sviluppo, degli aiuti umanitari e anche delle relazioni diplomatiche. Dobbiamo impegnarci a sostenere concretamente lo sviluppo del sud del mondo, seguendo le priorità definite dal segretario generale dell'Onu Kofi Annan: acqua, igiene, sanità, energia, agricoltura e biodiversità.
Inoltre, sempre nell'ambito dell'azione di politica estera e di sicurezza comune, non dobbiamo dimenticare gli aspetti socio-politici e quindi lo sviluppo della democrazia, il buon governo, il dialogo politico e le riforme sociali ed economiche.
I crescenti divari di reddito tra nord e sud del mondo si stanno allargando in maniera preoccupante, soprattutto in Africa. Come europei, dobbiamo invertire la tendenza ed evitare di erigere nuovi muri e barriere a livello mondiale.
Non basta affermarlo, occorre anche realizzarlo. L'azione di alcuni governi dell'Unione Europea è decisiva su questa materia all'ultimo Consiglio europeo, proprio per evitare nuovi muri. Purtroppo non non si è trattato del governo italiano che a Siviglia, relativamente al tema delle immigrazioni, ha portato avanti il tentativo di condizionare la cittadinanza di persone non europee sul nostro territorio ad accordi di riammissibilità con gli altri Stati e soprattutto di legare l'aiuto europeo allo sviluppo in questi Stati, alla loro accettazione della nostra politica dell'immigrazione.
Questa è una condizione che non aiuterebbe l'Europa a svolgere la sua missione globale: quella di essere cioè un attore non solo militare, ma soprattutto politico, in grado di realizzare a livello planetario la condizione che ha reso grande, forte e ricca l'Europa. Mi riferisco alla coesione sociale che mira non a far prevalere il mercato, ma a far vincere, comunque e sempre, le persone.

17 luglio 2002

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23 luglio 2002
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