
La legge Comunitaria per il 2002
Il parlamento nazionale uno dei luoghi della cittadinanza europea
A conclusione dei lavori della Convenzione un referendum popolare sull'Europa Unita
intervento in Aula di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei del Senato
L'esame della legge comunitaria e della Relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea è necessariamente, in questi mesi, soprattutto un guardare avanti. Dopo cinquant'anni di prosperità e di pace, l'Europa è infatti, al tempo stesso, un traguardo raggiunto, un modello di attrazione, un soggetto cui si chiede maggiore assunzione di responsabilità.
Questo ovviamente non ci esime da una valutazione di quanto è avvenuto e non significa dare per scontato un giudizio positivo o comunque non negativo sull'insieme delle attività del governo nel campo dell'Europa. Ne segnaleremo alcuni elementi critici sia relativamente alla legge comunitaria che relativamente alla partecipazione dell'Italia. Ma - come ho detto - è soprattutto al presente e al futuro dell'Europa che anche attraverso questo dibattito l'Ulivo e la Margherita nell'Ulivo intendono dare il loro contributo.
La nuova dimensione della sovranità popolare. L'Europa è infatti la dimensione della nostra vita e del nostro agire politico: l'Europa che con la messa in comune delle proprie risorse e dei propri valori democratici è stata capace di costruire basi solide ad un'unione di Stati e di popoli diversi fra loro; l'Europa che vive l'opportunità di rilanciare in contemporanea la sfida dell'allargamento e dell'approfondimento dell'Unione, condividendo con molti nuovi Paesi candidati le medesime possibilità di sviluppo e riformando, tramite la Convenzione, l'assetto delle istituzioni e delle regole che la disciplinano; l'Europa, infine, che dopo l'11 settembre sta costruendo il proprio ruolo di attore globale, non solo e non tanto per sé. L'assetto del pianeta richiede infatti un'Europa come potenza democratica globale.
Un'Europa più larga e più integrata politicamente rappresenta per noi non una cessione di sovranità ma la nuova dimensione in cui l'esercizio della sovranità ha risultati effettivi nel tempo della globalizzazione.
L'Europa è la prima risposta che la politica offre all'integrazione sovranazionale dell'economia, della tecnologia, della comunicazione. Perciò riteniamo che la costruzione europea non debba essere vissuta né come processo di esproprio della sovranità nazionale ad opera di tecnocrazie distanti né come edificazione politica di un'entità che non riconosca le diversità nazionali.
Una Camera nazionale europea.
Questo richiede un ruolo preciso da parte del Parlamento nazionale. La questione è istituzionale ed è in parte affidata alla Convenzione. Ma è innanzitutto una questione di democrazia, cioè di rappresentanza dei cittadini nelle istituzioni e soprattutto nelle decisioni dell'Unione europea.
Un'avvertenza va fatta subito. L'accento che poniamo sul ruolo dei Parlamenti nazionali, del Parlamento italiano, e quindi del nostro Senato, non deve assolutamente essere uno degli strumenti di cui alcune forze politiche, sia in Italia sia in Europa, intendono avvalersi per procedere alla rinazionalizzazione di una serie di decisioni che attualmente sono comunitarie. Un'interpretazione ristretta e spesso strumentale del principio di sussidiarietà potrebbe infatti portare, anche attraverso questa via, a perdere o comunque ad affievolire una delle caratteristiche istituzionali innovative con le quali l'Europa è pacifica, forte e coesa da oltre mezzo secolo.
La nostra visione è quella di un Parlamento nazionale che sa realizzare attorno a sé, senza pretesa di esclusiva, la sintesi delle diverse istanze rappresentative delle persone che abitano l'Europa essendo cittadini italiani. Mi riferisco al Parlamento europeo, al Parlamento nazionale, ai consigli regionali.
Ho citato le istanze legislative e non le istituzioni governative. Non si può lasciare ai governi la costruzione e la vita della rappresentanza popolare in Europa. Non è insomma nella visione del vicepresidente Fini, citata nella relazione, che si deve procedere, ma piuttosto in un cammino innovativo, anche se in parte da scoprire, che non può essere ripetitivo rispetto a quello che conosciamo perché la dimensione comunitaria dell'Europa è una realtà che abbiamo progressivamente costruito, spesso senza modelli.
I passi avanti nel ruolo del Parlamento, e soprattutto nell'effettiva rappresentanza democratica, si fanno ad esempio lavorando perché si costituisca, magari attraverso sperimentazioni e intanto esperienze pratiche, una Camera nazionale europea, sintesi degli organi a potere legislativo esistenti. Parlamentari europei, parlamentari nazionali, consiglieri regionali devono avere un luogo comune nel quale accompagnare l'Europa in Italia e l'Italia in Europa.
Con un'iniziativa di questo tipo - del resto qualche sperimentazione non così compiuta è stata già avviata in Europa, ad esempio con la Grande Commissione del Parlamento finlandese - l'Italia, il Parlamento italiano potrebbero essere di guida anche ad altri Parlamenti dell'Unione.
Insomma, non è il CNEL la sede per la sintesi della rappresentanza democratica italiana in Europa. Il ministro Buttiglione ha scelto quella sede per la presentazione e la discussione, certo lodevole e importante, dei libri bianchi dell'Unione europea. Si tratta di iniziative già prese dai governi dell'Ulivo e certamente utili. Noi riteniamo però che questo confronto debba avvenire in un organo rappresentativo, che abbia titolo poi per dare indirizzi a chi prende le decisioni.
E siccome le decisioni - lo specifica anche la legge comunitaria 2002 al nostro esame - non vengono assunte solo dal Parlamento ma anche dai consigli regionali, e poiché il Trattato di Nizza, di cui ci riferisce la relazione, prevede un ulteriore aumento della partecipazione del Parlamento europeo, è appunto a queste tre istituzioni che il governo deve fare riferimento.
Rilanciare il controllo preventivo sull'Europa.
Ma intanto il Governo deve ottemperare alla trasmissione costante dei progetti di atti comunitari già nella fase di elaborazione, come del resto è previsto dalla legge comunitaria del 2000 e come è stabilito dal Protocollo sui Parlamenti nazionali del Trattato di Amsterdam.
Nella scorsa legislatura si era dato avvio, proprio qui in Senato, ad una metodica attività di analisi e di pareri al Governo sugli atti preparatori della normativa comunitaria; attività che in questa legislatura non vediamo continuata con la sistematicità e con gli strumenti necessari. Se è giusto chiedere, come fa la relazione della Giunta per gli affari europei, che il Governo faccia quanto è stabilito, è indispensabile che anche il Senato compia la sua parte.
Che ne è dei Comitati Europa nelle singole Commissioni, annunciati dal presidente del Senato molti mesi fa? Noi abbiamo subito espresso interrogativi su quella formula, ma ne abbiamo condivisa e ne condividiamo la motivazione: rendere il controllo parlamentare sull'intera attività dell'Unione europea una delle attività costanti del Senato e di ciascun senatore. Mi auguro che la Presidenza del Senato individui ed indichi tempestivamente le innovazioni regolamentari che ci consentano di svolgere questo compito ed anche quelle relative al coinvolgimento costante degli altri livelli legislativi, quello europeo e quello regionale.
Questo va fatto senza aspettare le riforme istituzionali che la Convenzione europea riterrà di proporre alla Conferenza intergovernativa. Su queste riforme intendo esprimere intanto solo due convinzioni. La prima: è da escludere una seconda Camera europea accanto al Parlamento europeo, anche perché si tratterebbe, di fatto, di una terza Camera, visto il potere legislativo del Consiglio europeo. La seconda convinzione è che il controllo del principio di sussidiarietà, ma anche di quello di proporzionalità, non può essere affidato ad una Camera elettiva; noi riteniamo che la strada da percorrere porti piuttosto alla Corte di giustizia di Lussemburgo.
Mi sono soffermato ampiamente sulla partecipazione del Parlamento alla vita europea perché lo ritengo uno dei temi sui quali è determinante il contributo che il Senato della Repubblica, assieme alla Camera dei deputati, può dare. Per questo, nel valutare la legge comunitaria del 2002, mi pare indispensabile svolgere almeno due osservazioni di carattere generale che rimandano, anch'esse, al ruolo del Parlamento.
Semplificazione interna delle norme europee.
L'articolo 5, rinnova una delega al governo per l'emanazione di testi unici delle disposizioni di attuazione della normativa comunitaria, in modo da ordinare le norme secondo la materia. Si tratta di una volontà che il Parlamento aveva espressa fin dal 1996, con la legge comunitaria per il 1994, e che ha poi ribadito in tutte le più recenti leggi comunitarie, dal 1998 al 2002.
Non abbiamo però traccia, nella relazione del governo, di come esso abbia esercitato questa delega. In effetti, il Parlamento non ha avuto occasione di esaminare testi unici che rispondessero a questa volontà. Credo che il governo dovrebbe fare il punto sulla materia e riferire al Parlamento, in modo che eventualmente siano concertate procedure per rendere effettiva questa esigenza.
Si tratta, infatti, di una questione che ha rilevanza comunitaria sia sul piano interno che su quello europeo per quanto riguarda il nostro Paese. Internamente, si inserisce nel processo di semplificazione e di trasparenza, indispensabile anche per i cittadini europei che si trovano ad operare con l'Italia o a vivere in Italia. Sul piano europeo, va ricordato che uno degli obiettivi immediati dell'Unione, anche in vista della costituzionalizzazione dei Trattati, è quello di procedere preliminarmente a una loro riscrittura e semplificazione a Trattati immutati. L'azione interna dell'Italia potrebbe inserirsi in questo progetto più generale.
Al riguardo, visto che si tratta di una decisione confermata al Consiglio europeo di Nizza e quindi non superato dalla decisione presa in quella sede di istituire la Convenzione, appare indispensabile che il governo riferisca al più presto, sullo stato di quel progetto. Chiediamo inoltre che - secondo la procedura prevista dalla legge comunitaria 2000 - il Governo trasmetta formalmente al Parlamento il progetto di testo consolidato attualmente disponibile. Credo infatti che il Parlamento debba essere messo nella condizione di non trovarsi di fronte ad una situazione ormai definitiva. Osservo - in aggiunta - che questo è un modo molto concreto di affiancare a livello nazionale il lavoro della Convenzione, affrontando un aspetto della Conferenza intergovernativa che non rientra nel mandato dei convenzionali.
Intervenire prima di finire in giudizio a Lussemburgo.
Un altro aspetto che va rilevato è il carattere che definirei "innovativo" che questa legge comunitaria assume: più che uno strumento per portare l'Italia in Europa, essa sembra assumere le caratteristiche di una sanatoria della legislazione interna dopo sentenze sfavorevoli della Corte di giustizia. Nel testo originariamente predisposto dal Governo per il Senato, sei articoli dei dieci della seconda parte erano infatti dedicati a sanare infrazioni. Dei cinque articoli aggiunti in Commissione, due sono destinati allo stesso scopo.
Occorre evitare che la legge comunitaria segua questa evoluzione. Sarebbe, per il Parlamento, andare esattamente nella direzione opposta a quella verso cui per tutta la scorsa legislatura si è cercato di andare, cioè di evitare che il Parlamento abbia compito di mera ratifica delle scelte contrattate dal Governo a Bruxelles e trasformate in direttive. Ora, la struttura di questa legge comunitaria ci incammina addirittura sulla strada di dover prevalentemente rispondere non più a Bruxelles, ma alla Corte di Lussemburgo.
Dobbiamo fermarci subito e naturalmente non bastano le buone intenzioni. Appare indispensabile che il governo metta il ministro per le politiche comunitarie e il Parlamento nelle condizioni di verificare costantemente l'attuazione delle disposizioni comunitarie recepite con la legge comunitaria o con altre leggi, ma anche di avere il quadro del contenzioso aperto, in modo da poter intervenire tempestivamente prima della sentenza. Il tema è già stato sollevato nel dibattito sulla passata legge comunitaria. La dimensione che le sanatorie assumono in questa legge comunitaria evidenzia la giustezza delle preoccupazioni di qualche mese fa e l'urgenza che il Governo vi ponga mano.
La conoscenza tempestiva e diretta del Parlamento sul contenzioso tra Repubblica italiana e Unione europea è indispensabile anche per perfezionare il meccanismo dell'articolo 117 della Costituzione riformata, che questa legge comunitaria, all'articolo 5, comma 3, richiama. Il Parlamento deve infatti, a nostro avviso, disporre delle informazioni complessive che riguardano anche il contenzioso che potrà eventualmente essere prodotto da decisioni regionali.
Infine, la tempestiva conoscenza del contenzioso consentirà al Parlamento di conoscere dettagliatamente le esigenze dell'Unione europea in modo da calibrare su di esse le proprie decisioni, senza ampliare eccessivamente le deleghe al Governo. Ne abbiamo un esempio proprio in questa legge comunitaria, all'articolo 16. La richiesta di delega che il Governo fa attraverso l'articolo 16 "è per dare completa attuazione alla direttiva 98/55/CE". Questa delega risulta eccessiva rispetto alle richieste che la Commissione europea, e quindi la Corte di giustizia, ci fanno. Essa costituisce un caso esemplare della conoscere preventivamente quello che l'Unione ci chiede per poter decidere.
Non si tratta del solo caso di eccesso di delega. Un problema, ad esempio, si pone per gli articoli 2, comma 1, lettera c), e 3 del disegno di legge, che di fatto contengono una delega in bianco relativamente alle previsioni di sanzioni penali. Al riguardo, è da segnalare come la Corte costituzionale abbia rivolto moniti al legislatore, stigmatizzando il rinvio eccessivamente ampio in materia di delineazione dei tratti delle fattispecie di reato al legislatore delegato. Mi rifaccio, per tutte, alla sentenza 53 del 1997.
Dai parlamenti forza alle conclusioni della Convenzione.
Torno ora alla relazione sulla partecipazione dell'Italia all'Unione europea e sulla relazione della Giunta per gli affari europei. La relazione della Giunta cita una proposta a cui ha collaborato anche il Presidente del Senato italiano: quella di sottoporre i risultati della Convenzione ad una valutazione dei Parlamenti nazionali prima dell'inizio della Conferenza intergovernativa. Comprendiamo le ragioni della proposta; per quanto ho fin qui detto, ne individuo addirittura la necessità. Occorre però valutare attentamente i tempi di questa iniziativa singola e congiunta insieme dei Parlamenti internazionali.
Noi vediamo l'opportunità che ci sia un momento nel quale i singoli Parlamenti contemporaneamente valutano lo stato della possibile evoluzione dell'Europa, ma ci pare che questa valutazione collettiva debba essere collocata prima delle conclusioni della Convenzione, cioè nel momento in cui la Convenzione sarà in grado di proporre un testo e dovrà poi scegliere l'opzione da presentare al Consiglio europeo per la Conferenza intergovernativa. Se a quel punto la Convenzione, oltre che del proprio lavoro, potrà disporre anche delle valutazioni dei Parlamenti nazionali, sarà messa nelle condizioni di proporre con ancora maggiore consapevolezza, e soprattutto con ancora maggiore forza, la propria opzione.
Il rischio da evitare non è solo che, conclusa la Convenzione, si riapra una discussione generale in tutta Europa, i cui esiti possono non essere scontati (il referendum irlandese sul Trattato di Nizza è lì a farci scuola). Occorre evitare il rischio che la posizione della Convenzione nei confronti della CIG risulti indebolita da una serie di altre opzioni che alla stessa Conferenza intergovernativa potrebbero arrivare dai Parlamenti nazionali. Noi siamo tra coloro i quali ritengono che, dopo la positiva esperienza fatta con la Carta europea dei diritti fondamentali e dopo il consolidamento con la preparazione alla Conferenza intergovernativa, un organismo sul modello della Convenzione debba entrare fra le istituzioni dell'Unione e quindi siamo interessati al suo successo e alla sua autorevolezza.
L'ultima parola a tutti i cittadini della Grande Europa.
Siamo contemporaneamente interessati ad una nuova legittimazione per una nuova Europa. Un'Unione europea che si ponga l'obiettivo di assumere il ruolo di "attore globale", che a questo fine individui le sue nuove missioni dopo un cinquantennio di pace e prosperità e che modifichi in senso democratico le sue regole di funzionamento, per evitare che l'allargamento ai nuovi candidati provochi la paralisi delle sue istituzioni, deve trovare una nuova legittimazione fra i suoi cittadini.
Come ha detto il presidente della Commissione Romano Prodi alla Conferenza dei presidenti dei Gruppi politici al Parlamento europeo "al cuore del progetto europeo, si deve collocare il concetto di cittadinanza europea… una cittadinanza che non si sostituisce a quella nazionale, ma si aggiunge ad essa come una nuova dimensione e la rafforza". "Costruire una società democratica europea - ha aggiunto Prodi - significa costruire una società in cui si diventa europei attraverso l'esercizio dei diritti e dei doveri di cittadinanza europea".
Nel 1989, i cittadini italiani votarono, contestualmente all'elezione del Parlamento Europeo, un atto di indirizzo con il quale si sperava di conferire all'Assemblea neo eletta un mandato costituente. Quindici anni dopo, le nuove regole adottate dalla Convenzione e approvate dalla Conferenza Intergovernativa possono essere una realtà che modificherà la vita quotidiana di 500 milioni di cittadini europei.
La Margherita-L'Ulivo sostiene la proposta di svolgere, assieme alle elezioni per il nuovo Parlamento, un referendum confermativo del lavoro svolto in questi due anni, che trovi l'approvazione di una doppia maggioranza: la maggioranza dei cittadini dell'Unione e la maggioranza degli Stati membri. Questa scelta obbligherebbe a produrre uno sforzo ulteriore per avvicinare l'Europa ai cittadini, che sarebbero chiamati a pronunciarsi sulla base di una unica grande circoscrizione elettorale, favorendo il consolidamento di una dimensione politica autenticamente europea.
16 luglio 2002 |