
La legge Comunitaria per il 2002
Il governo costretto alla sanatoria anche nei confronti dell'Europa
Deve correre ai ripari dopo le sentenze della Corte di giustizia. Sul piano interno, una rischiosa delega in tema di lavoro
Nel corso della seduta del 5 giugno la Giunta per gli Affari europei del Senato ha continuato l'esame della legge comunitaria annuale, cioè dello strumento legislativo con il quale annualmente la normativa comunitaria viene introdotta nell'ordinamento nazionale. Il senatore Tino Bedin, segretario della Giunta, ha svolto un intervento critico che riportiamo.
intervento in commissione di Tino Bedin
segretario della Giunta per gli Affari europei
Nel valutare la legge Comunitaria 2002 mi pare che sia indispensabile fare almeno due osservazioni di carattere generale. Mi soffermerò poi sull'articolo 15, che riguarda la materia del lavoro.
Fare ordine nella legislazione di derivazione europea
L'articolo 5 rinnova una delega al Governo per l'emanazione di testi unici delle disposizioni di attuazione della normativa comunitaria, in modo da ordinare le norme secondo la materia.
Si tratta di una volontà che il parlamento aveva condivisa fin dal 1996, con la legge Comunitaria per il 1994 e che ha ribadito in tutte le più recenti leggi comunitarie dal 1998 al 2002.
Non abbiamo però traccia nella relazione del Governo di come esso abbia esercitato questa delega. In effetti il Parlamento non ha avuto occasione di esaminare testi unici che rispondessero a questa volontà. Credo che il governo dovrebbe fare il punto sulla materia e riferire al Parlamento, in modo che eventualmente siano concertate procedure per rendere effettiva questa esigenza.
Si tratta infatti di una questione che ha rilevanza comuniataria sia internamente che esternamente al nostro paese. Internamente si inserisce nel processo di semplificazione e trasparenza, indispensabile anche per i cittadini europei che si trovano ad operare o a vivere in Italia o con l'Italia. Esternamente va ricordato che uno degli obiettivi immediati dell'Unione, anche in vista della costituzionalizzazione dei Trattati, è di procedere preliminarmente ad una loro ristesura e semplificazione a trattati immutati. L'azione interna dell'Italia potrebbe inserirsi in questo progetto.
Sta diventando una legge-sanatoria
Un altro punto che va rilevato dalla nostra Giunta è il carattere innovativo che questa Comunitaria assume: più che uno strumento per portare l'Italia in Europa, essa sembra assumere le caratteristiche di una sanatoria della legislazione interna dopo sentenze sfavorevoli della Corte di Giustizia.
Sei articoli dei dieci della seconda parte sono infatti dedicati a sanare infrazioni. Occorre segnalare che la legge Comunitaria non può avere questa evoluzione. In secondo luogo appare indispensabile che il governo metta il ministro per le politiche comunitarie ed il parlamento nelle condizioni di poter costantemente verificare l'attuazione delle disposizioni comunitarie recepite con la legge comunitaria o con altre leggi, ma anche di avere il quadro del contenzioso aperto in modo da poter intervenire tempestivamente, prima della sentenza.
Una direttiva europea sul lavoro
Ho richiamato nella precedente seduta la opportunità che ogni norma che possa essere inserita nel processo di Lisbona prima e di Barcellona ora sia oggetto di attenta valutazione da parte della nostra Giunta, proprio per una verifica.
Ribadisco questa esigenza, anche perché la direttiva che dà lo spunto all'articolo 15 della legge Comunitaria per il 2002 si inserisce nel solco che avrebbe poi portato a Lisbona e a Barcellona, richiamando nei considerando la "Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali".
Questa citazione mi induce oggi a richiamare l'attenzione dei colleghi su un altro aspetto problematico di questo articolo 15. La richiesta di delega che il Governo fa attraverso l'articolo 15 è "per dare completa attuazione della direttiva 98/55/CE".
Richiamo l'attenzione su alcuni punti.
Innanzi tutto la direttiva ha subito nel tempo un'evoluzione: la Carta sociale europea è diventata un patrimonio di tutta l'Unione, e non più di soli 9 stati membri come era il 20 luglio 1998. Alla giurisprudenza fondata su questa Carta si è sostituita la giurisprudenza fondata sulla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea, che ha precisi riferimenti alla parte sociale e del lavoro, per cui una delega dovrebbe comunque fare riferimento anche a questa Carta per non far arretrare la nostra legislazione rispetto al cammino che da allora l'Unione ha compiuto.
Il secondo punto su cui richiamo l'attenzione è che non siamo di fronte alla delega per il recepimento di una direttiva.
La direttiva risulta recepita di fatto nella legislazione italiana; anzi potremmo dire - viste le date - che è un insieme di normative italiane che sono state codificate nella direttiva richiamata dalla delega. Infatti la legge nazionale con cui questa direttiva viene correlata e di cui si chiede delega per la modifica è una legge ben anteriore, essendo la legge 223 del 23 luglio 1991, cioè di sette anni prima della direttiva.
Anche la direttiva-madre, che ora è codificata in quella del 1998, è successiva alla legge italiana, essendo del 1992. Da dieci anni quindi non abbiamo richieste di adeguare complessivamente la legge del 1991 alle disposizioni dell'Unione.
Che cosa ci chiede la Commissione europea? Ci chiede non il cambiamento di contenuti, ma la introduzione di una dizione più adeguata all'attuale mercato del lavoro.
Va infatti ricordato che la Commissione europea ha presentato ricorso alla Corte di Giustizia di Lussemburgo, rilevando che la disciplina italiana è limitata alle "imprese", mentre la direttiva ne richiede l'applicazione a tutti i "datori di lavoro" di diritto privato, certo con i possibili limiti di organico e altre fattispecie citate espressamente dalla direttiva.
Anche riferendosi alla definizione che di "Impresa" dà l'articolo 2082 del Codice Civile ("chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi") la Commissione chiede di sostituire il termine oppure di aggiungere quanti svolgano attività in ogni caso non rientranti nella suddetta definizione (ad esempio gli studi professionali).
Questo chiede la Commissione attraverso la sua causa e questo basta alla Commissione. Basta dunque introdurre in questa legge comunitaria un emendamento lessicale a quella legge del 1991. Non occorre chiedere una delega per l'attuazione completa della direttiva.
Non serve una delega al governo
Che cosa significa infatti chiedere una delega senza di fatto limiti, perché la citazione della causa in corso è solo nella rubrica dell'articolo, ma né il suo titolo né il suo contenuto sono poi richiamati dal testo dell'articolo?
Significa rivedere attraverso un decreto legislativo, ad esempio, il limite dei 15 lavoratori previsto dalla legge italiana; limite che è consentito senza riserve dalla direttiva, che tuttavia indica come limite comunque da rispettare quello di 20 dipendenti?
Ed è solo un esempio, perché tra i più sensibili in questa fase.
Come è possibile chiedere di poter agire per decreto in una materia come quella dei licenziamenti, nella quale la contrattazione e la concertazione sono indispensabili, ma per la quale il Parlamento deve essere messo in grado di valutare e di decidere, come interlocutore non solo del governo ma anche e soprattutto della società?
Io credo che la stessa maggioranza dovrebbe chiedere al governo di ritirare questo articolo e di sostituirlo -come ho detto - con uno specifico emendamento lessicale alla legge 223 del 1991.
Si tratta anche in questo di rispettare la direttiva da cui si vorrebbe trarre spunto per avere mano libera in un settore delicatissimo: non è casuale che una sezione della direttiva, la seconda, abbia per titolo "Informazione e consultazione". Come è possibile applicare correttamente lo spirito della direttiva in questa sezione, se nel momento in cui si fissano le regole del gioco non è prevista la informazione e la consultazione perché si agisce con decreto legislativo?
La inosservanza comunitaria di questo articolo è - a nostro parere - così rilevante che in sua presenza dovremmo esprimerci con un parere negativo sull'intera legge comunitaria.
5 giugno 2002 |