SICUREZZA E DIFESA
L'insegnamento del 4 Novembre 1918
Il futuro si può vivere pacificamente
solo insieme

La novità dell'attuale generazione di europei

Il senatore Tino Bedin ha rappresentato la Federazione provinciale dell'Associazione nazionale combattenti e reduci alla celebrazione della Giornata del 4 Novembre a Torreglia. La cerimonia ufficiale si è svolta domenica 6 novembre ed ha avuto il suo momento centrale nella celebrazione della santa messa di suffragio nella chiesa parrocchiale di Torreglia. Successivamente il sindaco Mario Bertoli e il senatore Tino Bedin hanno deposto la corona di alloro al monumento ai caduti nella via principale del paese.
Riportiamo la commemorazione del senatore Bedin.

di Tino Bedin senatore

Novant'anni sono passati dall'inizio per l'Italia della guerra che fu chiamata la "Grande Guerra": grande per la durata, per il coinvolgimento dei tanti Stati dell'Europa e oltre oceano; dolorosamente grande per i seicentomila morti italiani. E poi i morti degli altri popoli in guerra, i feriti e i mutilati e le famiglie amputate, distrutte. Una somma spaventosa di dolori, di tragedie, di cui solo dopo il 4 novembre del 1918, cioè dopo la vittoriosa conclusione che oggi commemoriamo, gli italiani come popolo avrebbero avuto la dimensione.
Nelle famiglie però non era stato necessario attendere l'armistizio di Villa Giusti a Padova per soffrire e piangere. Così per decenni la data del 4 novembre ha suscitato, e suscita ancora oggi, commozione in chi ha potuto ascoltare dalla bocca dei padri e dei nonni i racconti degli anni di sangue della Grande Guerra, la guerra delle trincee e degli assalti alla baionetta, la guerra del Monte Grappa, dell'Isonzo e del Piave.

All'origine della nostra storia. La guerra, ogni guerra è soprattutto questo. Ci porta inevitabilmente, tragicamente davanti ai monumenti ai Caduti. E noi, i sopravvissuti, noi i discendenti, giustamente, cristianamente iniziamo questi appuntamenti con la santa messa di suffragio.
È importante continuare a ricordare l'origine di questa Giornata dell'Unità nazionale, nella quale l'Italia repubblicana si stringe attorno alle sue Forze Armate, nel ricordo della Grande Guerra e della Vittoria del 1918, perché il 4 Novembre deve rimanere, anzi, deve rafforzarsi come solennità civile della Repubblica, con i propri esempi, sia quelli noti alla storia comune che quelli noti alle storie familiari; persone che ci riportano non ad esaltazioni nazionalistiche ma alla memoria della nostra origine.
In questa giornata si danno nomi e cognoni, volti conosciuti ed amati ai valori di un popolo che così diventa Nazione, vive l'integrità della Patria, apprezza l'autorità e l'indipendenza delle sue istituzioni. Grazie a loro, i valori dell'unità nazionale, del Risorgimento, dell'indipendenza si perpetuano nell'Italia delle libertà civili.

Non bastò l'unità politica e geografica. Giornata dell'Unità nazionale e Festa delle Forze Armate: il ricordo dei Caduti e delle battaglie della nostra storia risorgimentale - di cui la guerra del 15-18 costituisce anche l'ultimo capitolo - non può andare disgiunto dal patrimonio di cultura, di lingua, di arte che ha cementato il popolo italiano, che lo ha portato ad essere libero e unito, anche attraverso la terribile prova della Grande Guerra.
Una prova che per milioni di italiani non si concluse con il 4 Novembre 1918.
La smobilitazione delle Forze Armate e il ritorno agli affetti non furono come li avevano sognati i fanti nella solitudine di una trincea, durante un freddo e interminabile turno di guardia. Non c'era lavoro. Le terre promesse non venivano distribuite. Il premio di congedamento, una sorta di buona uscita corrisposta agli smobilitati, veniva in breve tempo "bruciato" dal vertiginoso aumentare dei prezzi. I reduci si sentirono come truffati. Credevano di avere stretto una sorta di patto con lo Stato. Avevano la sensazione che lo Stato, giunto il momento di mantenere le promesse, non intendesse più onorare gli accordi.
L'unità politica ed istituzionale della nostra Penisola non era ancora una unità di speranze.
Bisognava passare per l'altra ancor più terribile prova della Seconda Guerra mondiale e poi della Lotta di Liberazione per realizzare pienamente l'Unità nazionale.

Dal Risorgimento, alla Liberazione, alla Costituzione. La celebrazione di questo 4 Novembre cade nell'anno in cui ricordiamo il Sessantesimo anniversario della Liberazione e della fine del secondo conflitto mondiale. Cronologicamente si pone a metà del percorso che ci porterà l'anno prossimo al sessantesimo anniversario del referendum del 2 giugno 1946 con cui gli italiani scelsero la Repubblica.
Non è solo una concomitanza cronologica. Il 4 Novembre è un tassello essenziale nel percorso della memoria che ha il suo perno nella Festa del 2 giugno, la nascita, per volontà del popolo, della Repubblica. Le Istituzioni hanno il dovere di irrobustirlo, per consentire alla comunità nazionale di celebrare i propri valori. Ma soprattutto devono tenere fede all'eredità dei padri di questa società democratica e libera.
Sessant'anni fa, miracolosamente, rapidamente, l'Italia uscita dagli anni di guerra, di bombardamenti, di distruzioni, di sanguinosi conflitti, ritrovò una nuova unità, invocata a gran voce il 2 giugno 1946, quando gli italiani parteciparono con entusiasmo alle prime elezioni politiche libere dopo la dittatura. Vi presero parte, per la prima volta, anche le donne, elettrici e candidate. Gli italiani scelsero la Repubblica; indicarono i nomi di coloro che dovevano scrivere il testo della Costituzione repubblicana.
La Costituzione è la base della convivenza civile dell'intera Nazione. È la Costituzione che ha consentito la rinascita morale e materiale della nostra Patria, le grandi trasformazioni istituzionali e sociali, la creazione di un sistema di equilibri tra i poteri, che ha garantito e garantisce la libertà di tutti. Nella Costituzione repubblicana c'è tutto intero il Risorgimento italiano, che il 4 Novembre 1918 giungeva a compimento con l'unificazione all'Italia di Trento e Trieste.

Anche cimiteri di guerra austroungarici. Il nostro Risorgimento, ispirato a ideali di fraternità fra tutte le nazioni, libere e indipendenti, ci ha trasmesso - insieme con la ritrovata coscienza dell'unità nazionale - una ricca eredità di ideali europeisti.
Doveva però passare più di un secolo perché quell'eredità fosse ritrovata. Dovevamo - noi italiani, noi europei - erigere migliaia di monumenti ai caduti in due guerre mondiali. Poi - finalmente - nazioni che nei secoli si sono formate, ciascuna, come comunità di valori e di storia, insieme hanno saputo creare un'area di democrazia e di solidarietà sociale fondata su radici comuni: l'Unione europea.
Anche in questa più larga cittadinanza, continuiamo a onorare i nostri caduti, gli eroi del Piave, i ragazzi del 1899. I soldati di quella guerra hanno un posto stabile nella costruzione di un'Italia libera e unita e al tempo stesso animata da un anelito di pace tra i popoli europei.
C'è un episodio minore, che testimonia come quella speranza di pace europea fosse ben presente anche nel 1918, alla fine del conflitto.
Mentre le operazioni di smobilitazione erano in pieno svolgimento e l'organizzazione sanitaria provvedeva alla cura delle migliaia di feriti da restituire guariti alle famiglie, 15 ufficiali, 35 cappellani militari e settemila soldati procedevano, dallo Stelvio al mare, alla ricerca e alla tumulazione delle salme insepolte ed al riordino dei piccoli cimiteri allestiti dalle truppe a ridosso delle trincee.
La pietà, più che le convenzioni internazionali, fece sì che non venissero discriminati i caduti dell'Esercito avversario. E così abbiamo sul nostro suolo, particolarmente in Veneto, anche cimiteri di guerra austroungarici.

Europa, dimensione della pace. Monumenti e cimiteri di guerra sono il comune passato; e non lo si deve dimenticare. I popoli europei lo ricordano, affinché quelle tragedie non si ripetano. Ma odi e rancori sono stati lasciati alle spalle da un'Europa finalmente in pace, dopo secoli di guerre.
Un mondo nuovo è risorto dalle rovine lasciate dalle stragi del Novecento. L'Europa unita, che lasciamo in eredità ai nostri figli, è cresciuta sulle fondamenta di una antica civiltà comune, che ha le sue radici nella storia, nella cultura, negli ideali civili e religiosi della nostra Italia.
I primi passi compiuti dai popoli europei sulla via della riconciliazione non sono stati facili. Abbiamo avviato insieme un processo di purificazione della memoria, di rilettura critica del nostro passato.
Abbiamo condannato e respinto ogni forma di totalitarismo.
Abbiamo scelto come nostra bandiera, come premessa necessaria della ritrovata unità e concordia, la democrazia; la libertà e l'indipendenza dei popoli; il rispetto dei diritti dei cittadini e delle minoranze.
Abbiamo posto l'accettazione di questi principi come condizione per poter essere accolti nell'Unione Europea.
Da allora abbiamo rivolto lo sguardo al futuro, un futuro nuovo e diverso, che abbiamo, passo dopo passo, tenacemente costruito.
L'Europa deve crescere unita: nella politica, nell'economia, nella difesa. Solo così potremo difendere gli interessi di tutti i cittadini, dare risposte comuni a sfide globali.
Il rafforzamento dell'Unione Europea significa la sicurezza di un futuro comune fra popoli che condividono la stessa storia, la stessa civiltà e che perseguono gli stessi interessi. Il nostro europeismo non nega, anzi presuppone, l'amor di patria.

I molti che hanno combattuto. Associare al sentimento nazionale una comune identità europea è quanto occorre fare giorno per giorno. È quanto, a nome degli italiani, fanno in questi anni, in questi mesi le nostre Forze Armate, che oggi celebriamo.
La celebrazione è innanzi tutto omaggio ai combattenti e reduci della Grande Guerra. Ai molti che sono caduti in guerra e ai commilitoni che sono tornati a casa e che lungo gli anni li hanno raggiunti nell'Eternità. Per loro abbiamo pregato.
Ma in questa festa dell'Unità nazionale e delle Forze armate, l'onore va in particolare a coloro che hanno scelto di combattere per l'Italia nell'ultima guerra, perché molti sono tra noi, perché il loro ricordo è nei figli e nei nipoti, perché ancora stiamo vivendo della loro eredità.
Fa parte della nostra storia la Resistenza delle centinaia di migliaia di militari deportati, che preferirono una durissima prigionia, che costò la vita a tanti di loro, al ritorno in Italia al servizio della dittatura.
Fanno parte della nostra storia le unità del nostro esercito ricostituito, che combatterono con valore per l'onore della nuova Italia democratica. Fanno parte della nostra storia i soldati alleati, venuti da tutti i continenti per liberare, a costo di perdite immense, tutti i popoli europei dalla feroce tirannide nazifascista.
Fanno parte della nostra storia i trentamila emigrati italiani negli Stati Uniti, caduti in terra di Francia nelle file dell'Esercito americano, convinti che sarebbero stati portati a combattere in Italia.
Essi volevano un'Italia libera per tutti, unita. Il loro ricordo non vuole alimentare divisioni, vuole insegnarci la concordia, insieme con l'amore per la Patria e l'amore per la Costituzione, fondamento delle nostre libertà.
Questo è il significato profondo delle giornate della memoria che noi celebriamo: occasioni per ricordare ai giovani i valori ispiratori di quella libertà che essi hanno il privilegio di vivere e il dovere di custodire.

Il contributo di questa generazione. Oggi sono circa 11 mila i nostri militari operano al di fuori del territorio nazionale, in teatri che vanno dall'Africa sahariana fino all'Iraq e all'Afghanistan, attraversando il Mediterraneo, i Balcani, il Medio-oriente, il Golfo Persico e l'Oceano Indiano settentrionale. L'ultimo impegno è per un contingente di circa 220 militari dispiegato in Sudan sotto l'egida dell'ONU.
Se ai militari impegnati in missioni di proiezione esterna aggiungiamo quelli delle componenti di supporto operativo - fra cui le strutture interforze di comando, controllo e comunicazione strategica e per l'intelligence, i reparti per il trasporto strategico e il sostegno a grande distanza - raggiungiamo la considerevole cifra di circa oltre 20.000 uomini e donne impegnati quotidianamente in operazioni reali.
In tutte le missioni internazionali, anche nelle più difficili, al militare italiano vengono riconosciute da tutti, insieme con la professionalità, la flessibilità, la capacità di comprensione, di dialogo, dei nostri ragazzi, in una parola la nostra "umanità".
Forze armate per la pace, per la difesa della libertà e della democrazia, per portare la pace a chi ancora non l'ha, per difendere la pace, per portare la pace a chi soffre per la violenza e la guerra.
È l'eredità della nostra generazione alle generazioni future: l'idea della pace come condizione essenziale, irrinunciabile, da condividere, da difendere. Dai nostri padri abbiamo ricevuto l'articolo 11 della nostra Costituzione che cancella la guerra dal nostro orizzonte. Ai nostri figli consegnamo un'Italia che si impegna in maniera attiva per la pace, a volte pagando di persona, sapendo che il futuro si può vivere pacificamente solo insieme.
Insieme a tutti gli uomini.
Viva l'Italia. Viva le Forze armate. Viva la pace.

Torreglia, 6 novembre 2005


7 novembre 2005
sd-146
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Tino Bedin