SICUREZZA E DIFESA
Un decreto legislativo all'esame del Parlamento
La ristrutturazione delle Forze armate
ignora il personale e i cittadini

Mancano il ruolo centrale dell'Italia nel Mediterraneo e la politica europea di sicurezza

Il governo ha presentato alle Commissioni Difesa del Senato e della Camera uno schema di decreto legislativo sulla riforma strutturale delle Forse armate. Il testo è stato oggetto di rilievi critici e di osservazioni da parte di numerosi senatori sia di maggioranza che di minoranza. In discussione generale sul decreto ha parlato a none del gruppo Margherita-L'Ulivo il senatore Tino Bedin, di cui riportiamo l'intervento.

di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa

Lo schema di decreto legislativo sulla riforma strutturale delle Forze armate si inserisce a pieno titolo nel processo di ristrutturazione delle Forze armate avviato nel corso della legislatura dell'Ulivo sia con la legge 464 del 1997 che con il relativo decreto legislativo 464 del 28 novembre 1997, incentrato appunto sulla riforma strutturale delle Forze armate.
L'attuale proposta del governo vorrebbe proseguire nella stessa linea e secondo le finalità di quel decreto del 1997: riorganizzazione dell'articolazione dei comandi e degli enti in funzione della profonda modificazione dello strumento militare, caratterizzato dalla progressiva riduzione quantitativa del personale in servizio e dalla sua modificazione qualitativa, attraverso un forte processo di professionalizzazione, ammodernamento e rinnovamento tecnologico dei sistemi e degli equipaggiamenti; adeguamento delle Forze armate ai compiti che sono chiamate a svolgere nel nuovo scenario internazionale, nel contesto delle organizzazioni di cui l'Italia è parte, in particolare l'Alleanza atlantica e l'Unione europea.
Cito la genesi dello schema sottoposto al parere del Parlamento, anche come espressione di gratitudine istituzionale e di affetto politico a Beniamino Andreatta che con determinazione, impegno e lungimiranza ha avviato una riforma strutturale delle Forze armate italiane che aveva allora dell'incredibile e che secondo alcuni non si sarebbe riusciti a realizzare in un ventennio. Anche grazie al suo operato da ministro della Difesa, oggi possiamo esaminare i passaggi conclusivi di questo processo riformatore che dovrà fornire nei prossimi decenni uno strumento militare adeguato alle esigenze di difesa e di politica internazionale del nostro Paese come parte costitutiva dell'Unione europea e dell'Alleanza Atlantica.

Più ruolo al Parlamento con l'esercito professionale. Questi passaggi conclusivi del processo riformatore avvengono in un contesto nazionale ed internazionale del tutto particolare, da cui non si può prescindere anche nell'esame del decreto proposto dal governo al parlamento.
È del 30 giugno l'anticipata cessazione dal servizio degli ultimi scaglioni di militari in servizio di leva obbligatorio. Si completa così la trasformazione delle Forze armate italiane da servizio costituzionale diretto dei cittadini a servizio professionale delegato. In questo momento è giusto rendere "l'onore delle armi" al servizio di leva, per la funzione insostituibile svolta non solo nel settore della difesa e sicurezza ma anche in quello della formazione della Repubblica e della Nazione italiana.
L'avvenuta trasformazione delle Forze armate è un elemento essenziale di cui tenere conto nel valutare la proposta ora presentata dal governo al parlamento. Questa riforma strutturale deve essere, a parere della Margherita-L'Ulivo, funzionale e servente alla professionalizzazione dell'esercito.
Questa circostanza merita una prima considerazione politica: un esercito professionale è un esercito che richiede una capacità di indirizzo, di direttiva e di controllo politico più accentuata e più approfondita di un esercito di leva, per sua natura popolare e sostanzialmente destinato alla difesa del territorio nazionale contro (ormai improbabili) massicce invasioni dall'esterno. Occorre, quindi, che tutti gli strumenti di indirizzo e di ispezione politico-parlamentare che il nostro regolamento ci mette a disposizione vengano d'ora in poi valorizzati e praticati molto più che in passato, in un dialogo-confronto costante con l'Amministrazione della Difesa.
Lo schema di decreto presentato dal governo non è coerente con questa esigenza: lascia infatti piena autonomia ai capi di Stato Maggiore nel determinare il presente ed il futuro di larga parte della struttura militare italiana.

Manca la formazione al supporto di azioni di polizia. Il secondo elemento di "contesto" è costituito dalla difficilissima situazione internazionale di questi giorni e, più in generale, di questi mesi. A seguito della recrudescenza della minaccia terroristica, si discute sull'impiego delle Forze armate in compiti di supporto alle Forze di polizia. Il governo ha presentato proprio in queste settimane un proprio atto su questo argomento. Su quell'atto ho espresso un voto di astensione sull'utilizzo delle forze armate per funzioni di sicurezza interna, perché sono contrario alla militarizzazione stabile di alcune funzioni tipicamente di polizia. Si tratta del resto di una prospettiva che suscita perplessità sotto più di un profilo che riguarda direttamente la ristrutturazione dell'esercito:
1) innanzitutto il ridimensionamento numerico dei contingenti delle Forze armate renderà più difficile il ricorso a tali operazioni di "affiancamento" alle Forze di polizia;
2) mi sembra, inoltre, che Forze armate specializzate, quali sono quelle che ci avviamo ad avere più difficilmente si prestino ad operazioni di generico controllo del territorio o di presidio di postazioni sensibili;
3) se anche - in limitati casi - ciò potrà avvenire, si rende necessaria una specifica formazione del personale militare da impegnare.
A questo proposito mi piacerebbe che qualcuna delle strutture di formazione menzionate nello schema di decreto legislativo si facesse esplicitamente carico della formazione - soprattutto dei quadri - delle Forze armate per ciò che riguarda queste funzioni ausiliarie di polizia giudiziaria e di sicurezza: penso soprattutto alla Scuola di applicazione (N. 1 dell'annesso 2) e alla Scuola di guerra (n. 8 della tabella B).

Dove si formano gli "operatori di pace e di sicurezza"? Ma è soprattutto sulla destinazione degli appartenenti alle Forze armate ad operazioni di peace-keeping che mi sembra doveroso uno sforzo di precisazione ulteriore da parte del governo nello schema di decreto. Si tratta infatti di una funzione sempre più essenziale nella configurazione delle nostre Forze armate. È anche la funzione che più di ogni altra connette il valore della difesa della Patria (articolo 52 della Costituzione) con il principio di promozione della Pace e di apertura internazionalistica (articolo 11 della Costituzione). Invece nessuna delle strutture destinate a nascere dalla riorganizzazione della quale oggi discutiamo ha ad oggetto specifico la formazione del personale destinato ad operazioni di peace-keeping.
Chiedo al Governo, su questo punto essenziale, uno sforzo di maggiore chiarezza che renda più facilmente verificabile l'impegno delle Forze armate per la preparazione dei nostri "operatori di pace e sicurezza".

Rinuncia ad un ruolo-guida nel Mediterraneo. In generale lo schema di decreto legislativo non contiene un'analisi del contesto strategico militare e politico nel quale esso si inserisce. Dalla lettura della proposta governativa si ricava una sottovalutazione delle numerose novità geopolitiche: dai traffici commerciali con il Sud del mondo, alla gestione della sicurezza collegata all'immigrazione, dai nuovi scenari aperti dall'allargamento dell'Unione Europea e della Nato, alla recrudescenza del terrorismo internazionale, con il correlato intervento sullo scacchiere internazionale delle Forze armate italiane.
Datata oggi, dopo i lunghi mesi di confronto sul futuro dell'Europa avvenuto sia nella Convenzione europea che nella Conferenza intergovernativa, questa riforma delle Forze armate italiane dovrebbe avere come riferimento la Politica europea di sicurezza e di difesa, prevista dal Trattato costituzionale di Roma, che non è in vigore ma che l'Italia ha già ratificato. L'indicazione della dimensione europea nella riforma delle Forze italiane è indispensabile, perché la Pesd prevede che ogni stato membro disponga di un paniere di capacità di difesa di vario tipo (operative, logistiche, di comando e controllo, terrestri, aerei, navali, ecc.) che siano di qualità, proiettabili a distanza, sostenibili, combinabili tra loro o con assetti contenuti nei panieri di altri paesi. In questo modo, al verificarsi di una crisi, l'Unione Europea potrà essere in grado di costituire un insieme di forze commisurate alla situazione da affrontare.
Nessuna di queste prospettive è descritta dal decreto legislativo. Paradossalmente anzi l'Italia sembra sottrarsi ad uno dei suoi compiti essenziali nella Difesa europea, compito che nasce dalla sua collocazione al centro del Mediterraneo.
È sufficiente una lettura anche superficiale dello schema di decreto per comprendere come i provvedimenti di riorganizzazione e soppressione di strutture militari penalizzino il Mezzogiorno. Mentre per il passato la sicurezza nazionale era legata inevitabilmente al Nord dell'Italia, oggi la nuova frontiera strategica dell'Europa è il Mediterraneo. L'Italia viene a trovarsi in una posizione chiave all'interno dell'Unione Europea ed appare quindi opportuno assicurare la presenza di strutture militari efficienti e al massimo della operatività nel Mezzogiorno. Questo consentirà all'Italia si svolgere sia un ruolo di coordinamento delle politiche europee sul fianco sud, sia di costituire un riferimento per la collaborazione in materia di sicurezza e di pace con i paesi rivieraschi non europei.
Ma senza adeguate strutture e specializzazioni questo ruolo naturale dell'Italia finirà con l'essere coperto da altri paesi, magari più piccoli.

La ridistribuzione territoriale delle Forze armate. La riduzione delle capacità militari nell'Italia mediterranea appare ulteriormente paradossale sia alla luce dell'attuale dinamica demografica del Mezzogiorno sia in considerazione dell'entrata in vigore della sospensione anticipata della leva obbligatoria e del conseguente inserimento nelle Forze Armate del personale volontario, per la maggior parte proveniente dal Meridione.
Questo paradosso ci introduce ad un altro elemento in base al quale approfondire ed analizzare lo schema di decreto legislativo sulla riforma strutturale delle Forze Armate: le sue conseguenze sull'organizzazione delle nostre Forze Armate nell'ambito del territorio nazionale.
La redistribuzione delle Forze armate sul territorio deve essere attuata tenendo conto:
- delle esigenze strategiche sia nazionali ed internazionali, come ho già spiegato;
- delle tradizioni storiche dei vari Corpi e anche delle esigenze di reclutamento, in quanto non vi è dubbio che l'esistenza di strutture militari in prossimità delle località da cui provengono le maggiori richieste di reclutamento agevolerebbe le procedure di assunzione;
- delle esigenze addestrative, in quanto non è facile individuare territori sui quali far gravare servitù militari, non sempre viste con favore dalla popolazione residente.
Il fatto che gran parte delle strutture oggetto di radicale riorganizzazione, fino ad arrivare allo smantellamento, siano collocate nell'Italia meridionale ed insulare, non rappresenta un buon equilibrio fra questi tre tipi di esigenze. Crea anzi ulteriori problemi.

Che sorte toccherà ai lagunari? Cito solo come esempio, non perché sia la situazione più grave, la Scuola di amministrazione e commissariato dell'Esercito che storicamente ha sede in Maddaloni e che viene ridislocata nella sede di Roma (n. 21 della tabella B). Mi domando se sia opportuno eliminare completamente una struttura che da moltissimi anni ha una sua tradizione e che, soprattutto, costituisce un simbolo di presenza qualificata (è una scuola ufficiali) dello Stato in un territorio flagellato dalla criminalità organizzata - contribuendo, tra l'altro, all'economia locale - per andare, invece, ad ingolfare ulteriormente le strutture della capitale; strutture che mi sembrano vengano messe a dura prova dall'afflusso di nuove funzioni previste dal decreto: si veda, ad esempio, anche la Scuola di sanità trasferita da Firenze a Roma.
In generale la programmata organizzazione sanitaria delle Forze armate, determinerà situazioni fortemente sbilanciate sul territorio nazionale: intere aree geografiche saranno del tutto sguarnite e si tratta di aree nelle quali, anche per accordi internazionali come in Puglia, si concentra una parte importante di attività delle Forze armate con compiti di pattugliamento.
Gli esempi potrebbero continuare. Altri colleghi della Commissione ne hanno fatti di ancor più significativi. Ma non è nel dettaglio che intendo entrare, quanto appunto nella filosofia di un disegno che non sembra coerente con le condizioni sia internazionali che nazionali, su molte delle quali il testo è "silenzioso".
Lo schema di decreto legislativo, ad esempio, giunge alle commissioni parlamentari dopo un intervento sulla stampa del Capo di Stato Maggiore della difesa che, facendo riferimento alle esigenze strategiche della difesa, ravvisava la necessità di più incursori e meno marescialli. È difficile leggere quanti incursori in più e quanti marescialli in meno, eventualmente, risulteranno dalla riforma descritta dal decreto.
Al riguardo pongo una questione, che mi interessa particolarmente, riguardando direttamente la mia regione: si potrebbe essere più precisi sulle modalità di riconfigurazione di un corpo d'élite del nostro esercito - e quindi meritevole di specifica attenzione, sotto tutti i punti di vista - quale il Reggimento lagunari "Serenissima" (N. 23 dell'annesso 2)?

Il personale militare oggetto e non soggetto della ristrutturazione. Il fatto che il decreto legislativo non nasca con lo spirito rivolto al futuro si può ricavare da una serie di "spie" anche linguistiche, che confermano la necessità di una revisione del decreto. Ad esempio, all'articolo 1, nella ristrutturata Direzione generale della Leva, non viene aggiornata la denominazione del dipendente Ufficio per il collocamento dei giovani congedati senza demerito: eppure nel frattempo è entrata in figure la legge 226/2004, che all'articolo 26 precisa che le procedure di collocamento riguardano ora i volontari di truppa sia in ferma breve che prefissata.
Ritorno così all'inizio del mio intervento, per ribadire che questo schema di decreto legislativo dovrebbe essere funzionale alla trasformazione professionale delle nostre Forze armate e quindi avere tra le finalità quella di offrire al professionista una prospettiva di vita dignitosa per sé e per la propria famiglia e la possibilità di migliorarsi come uomo e come professionista. L'organizzazione militare deve infatti conciliare le esigenze di servizio con quelle personali e familiari delle persone con le stellette.
La relazione che accompagna lo schema di decreto legislativo nulla dice al riguardo. Il personale subisce le conseguenze della riforma strutturale, ne è oggetto e non uno dei soggetti.
Invece è giusto mettere nel conto della riorganizzazione (e tra gli elementi di valutazione) anche il numero delle famiglie coinvolte nella ristrutturazione. Quanti coniugi dovranno cambiare lavoro per seguire il lavoro del coniuge militare; quanti figli dovranno cambiare scuola; quante famiglie si ritroveranno con i loro riferimenti parentali ed amicali lontane. E quale è la distanza media di questi trasferimenti imposti dalla ristrutturazione. Quante risorse finanziarie sono preventivate per ridurre o compensare i disagi. Ma soprattutto: quali le regole per i trasferimenti. Nell'ambito di una normale ristrutturazione d'impresa, questi elementi organizzativi e finanziari che riguardano il personale sono indispensabili, normali. Nella ristrutturazione delle Forze Armate il governo non ne fa cenno.

C'è già una "storia" di incertezze per le persone. Sempre in riferimento alle condizioni di vita delle persone delle Forze armate, non va dimenticato che quella progettata non è che l'ultima fase della ristrutturazione che si trascina ormai dal 1997 ed in modo alquanto tormentato.
Nelle fasi precedenti vi sono stati momenti di confusione quando si è passati dalla sede legislativa a quella esecutiva della ristrutturazione. Probabilmente, all'inizio è mancata una strategia chiara sul come procedere e spesso sono state adottate delle modifiche, anche importanti, salvo poi a "rimangiarsi" le decisioni adottate e ritornare alla situazione antecedenti.
Anche qui un piccolo esempio, neppure tra i più importanti: la Direzione di Amministrazione di Padova, a seguito di un provvedimento di ristrutturazione, è stata trasferita alla Regione Militare di Torino. Tutta la documentazione amministrativa, comprese le pratiche pensionistiche di diverse centinaia di ufficiali sono state inviate a Torino. Il provvedimento non sembrava definitivo, per cui tutta la documentazione è stata "congelata". Infatti dopo qualche tempo c'è stata la controristrutturazione e la Direzione è stata trasferita nuovamente a Padova. In tutto questo tempo le pratiche pensionistiche sono aumentate a dismisura. Risultato: centinaia di ufficiali dopo molti anni non hanno ancora la pensione definitiva.
Ho citato l'ingarbugliata esperienza della Direzione amministrativa di Padova, anche per richiamare l'attenzione su quello che potrebbe succedere ad Orvieto.
Il ministero della Difesa ha ad Orvieto due enti entrambi dislocati nella caserma "Nino Bixio": la 16ª divisione della Direzione generale personale militare (Persomil), e il distaccamento aeronautica militare, facente parte dell'Area tecnico operativa e dipendente dallo Stato Maggiore Aeronautica. Questo distaccamento (annesso 1, punto 30) è compreso tra gli enti per i quali lo Stato Maggiore Aeronautica ha previsto la soppressione nel 2007 in quanto non più considerati rispondenti alle proprie esigenze operative. Ma la funzione primaria del distaccamento è sempre stata quella di supporto tecnico logistico amministrativo alla 16ª Divisione Persomil. Se il distaccamento venisse soppresso, il Persomil si troverebbe nelle condizioni di non poter sopperire alle funzioni (che vanno dalla manutenzione delle strutture all'attività amministrativo-contabile, compresi stipendi e pensioni), con conseguenti gravi disservizi e pensantissimi disagi per il personale: gestisce infatti la documentazione di tutta la truppa aeronautica dalla classe 1887 a quella attualmente alle armi.
Ma al di là dei difetti attuativi, ogni riorganizzazione determina nel personale, sia militare che civile, preoccupazione per il futuro immediato. È noto che qualsiasi ristrutturazione comporta la mobilità del personale (con al seguito la famiglia ed i tanti problemi connessi). Le situazioni di disagio che ciò comporta sono probabilmente inevitabili, ed in qualche modo regolate da apposite leggi (almeno per i civili), ma devono essere la conseguenza di provvedimenti chiari e definitivi; provvedimenti logici e sostenibili non solo dalla struttura ma dalle persone coinvolte.
Poco di tutto questo troviamo nel decreto legislativo proposto dal governo.

Riscrivere il decreto. L'insieme delle insufficienze e dei silenzi che ho ricordati, assieme a quelli citati da altri colleghi, mi portano a sostenere la necessità che il governo prenda atto della discussione parlamentare che è avvenuta, ritiri lo schema di decreto legislativo e ne ripresenti una nuova edizione alla ripresa dei lavori parlamentari a metà settembre, ampiamente in tempo per l'adozione definitiva che deve avvenire entro il 31 dicembre 2005.

13 luglio 2005


14 luglio 2005
sd-139
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Tino Bedin