SICUREZZA E DIFESA

L'esigenza emersa durante il dibatto in Senato sul decreto di finanziamento
Insufficienti le informazioni
ai militari e al Parlamento
sulle missioni internazionali

Le operazioni cambiano spesso natura: il caso emblematico di Enduring Freedom, ma anche nei Balcani ci sono novità

Nella seduta antimeridiana di mercoledì 12 marzo 2003 il Senato ha discusso ed approvato il decreto-legge 20 gennaio 2003, n. 4, che contiene "Disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali. Modifiche al codice penale militare di guerra".
Il senatore Tino Bedin ha esposto le posizioni e gli interrogativi del gruppo Margherita-L'Ulivo, intervenendo nella discussione generale sul provvedimento e riproponendo questioni che aveva già sollevato in commissione Difesa, senza ottenere risposte dal governo.
Questo il testo dell'intervento.

intervento in Senato di Tino Bedin
capogruppo Margherita-L'Ulivo in commissione Difesa

Il decreto-legge che stiamo esaminando contiene disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana a operazioni militari internazionali e anche, dopo l'esame della Camera dei deputati e, per iniziativa dell'Ulivo, modifiche al codice penale militare di guerra.
Questo strumento è il tradizionale mezzo con il quale il Governo prima e il Parlamento poi assicurano tranquillità normativa e copertura finanziaria ai militari italiani impegnati in operazioni internazionali. È dunque con riferimento principalmente ai militari che dobbiamo esprimere la valutazione parlamentare, anche se sono rilevanti i contenuti politici, sui quali infatti mi soffermerò più avanti e che abbiamo evidenziato anche con la presentazione di emendamenti.

Garantire i nuovi stipendi ai militari all'estero
Comincio dagli aspetti finanziari. Nel testo all'esame del Senato c'è una questione specifica riguardo al finanziamento. La Commissione bilancio del Senato nel suo parere ci ha segnalato l'inesattezza dell'importo relativo all'autorizzazione di spesa indicata all'articolo 1, comma 8, in quanto non recepisce i miglioramenti approvati nel corso dell'iter parlamentare alla Camera dei deputati, relativi alle indennità di missione. Insomma, sulla base di proposte presentate dall'Ulivo, si è deciso di eliminare alcuni tagli alla diaria dei militari, ma non si sono inserite nel decreto le nuove somme che servono.
Lo stanziamento complessivo previsto dal decreto-legge sembra soddisfare anche le nuove spese, ma non è poi così scontato.
Ricordo che il sottosegretario Molgora, rispondendo alle considerazioni svolte dal relatore della Commissione bilancio, ha osservato che il problema della mancata modifica dell'autorizzazione di spesa indicata all'articolo 1, comma 8, potrebbe essere risolto (cito dal Resoconto della seduta) "alternativamente, mediante l'aumento della predetta autorizzazione di spesa ovvero incrementando gli importi relativi agli articoli 3, commi 1 e 3-bis". Quale che sia la strada che si percorra, essa porta, secondo il Sottosegretario, ad una modifica del decreto-legge qui in Senato.
Sulla stessa linea è il parere della Commissione bilancio. Pur offrendo un appiglio procedurale per evitare modifiche, il parere annota: "La Commissione rileva che sarebbe, tuttavia, opportuno riformulare nei termini anzidetti la citata autorizzazione di spesa per escludere i possibili effetti che deriverebbero dall'applicazione del comma 6-bis dell'articolo 11-ter della legge 5 agosto 1978, n. 468, e successive modificazioni e integrazioni, secondo cui "le disposizioni che comportano nuove o maggiori spese hanno effetto entro i limiti della spesa espressamente autorizzata nei relativi provvedimenti legislativi"".
In vista di una necessaria modifica e quindi di un terzo passaggio del decreto-legge alla Camera, l'Ulivo ha consentito procedure accelerate nell'esame in Commissione difesa, non formalizzandosi sul rispetto dei tempi. Con l'approvazione rapida in Commissione, ci sarebbero state altre due settimane per perfezionare il decreto-legge prima della scadenza (se, come ho sostenuto in varie occasioni in quest'Aula, avessimo esaminato prima il provvedimento).
Da parte sua, il Governo non è stato invece in grado di dire una parola chiara in Commissione, anzi ha fatto carico il Senato di assumere l'iniziativa attraverso un ordine del giorno; troppo poco per una questione delicata e assai concreta. Poiché il senso immediato di questo decreto-legge è garantire gli stipendi ai militari italiani in missione, il forte dubbio che riguarda la copertura ci ha costretti in Commissione ad una posizione assai prudente. Vedremo in Aula se il Governo vorrà e potrà dare assicurazioni sul pagamento degli stipendi anche con una copertura finanziaria sbagliata. Il Governo ha presentato un emendamento: evidentemente, ha dato ragione alle nostre preoccupazioni; vedremo il prosieguo del dibattito.

"Libertà duratura" ha cambiato natura
Il secondo aspetto riguarda la posizione giuridica dei militari.
Premetto che sarebbe stato più giusto e più limpido dal punto di vista politico e parlamentare fare una distinzione tra le varie operazioni militari internazionali, che presentano caratteristiche e finalità molto diverse fra di loro.
Su diciotto missioni che vedono impegnati i militari italiani, ne condividiamo senza riserve diciassette e mezzo. Il nostro Gruppo ha addirittura chiesto in Commissione, attraverso un emendamento, l'ulteriore proroga della partecipazione alla missione ISAF, a guida ONU, in Afghanistan fino alla fine dell'anno. In proposito, il fatto che in Commissione il Governo abbia espresso parere contrario su questo emendamento mi auguro non preluda ad un disimpegno italiano da tale missione dopo il 30 giugno. Lo verificheremo fra poco in Aula.
A nostro parere, la natura della partecipazione italiana all'operazione "Libertà duratura" in Afghanistan richiederebbe invece ulteriori approfondimenti e avrebbe dovuto essere disciplinata in uno specifico provvedimento. Al di là dell'iniziale volontà del Parlamento, infatti, l'invio degli alpini non può essere inquadrato nell'ambito di una missione di peace keeping, in quanto si sta assistendo ad un cambiamento della natura e della finalità dell'operazione "Libertà duratura". Il Presidente del Consiglio lo ha detto nella sua conferenza stampa di fine anno, ma a quell'affermazione non sono seguite informazioni al Parlamento.
Su questo punto, anche nella discussione del decreto-legge in Commissione difesa il Governo è stato reticente in merito al trasferimento di comando, alle regole di ingaggio e all'esigenza di tutelare l'incolumità dei nostri soldati. Anche in questo caso, il Governo ha lasciato tutta la responsabilità al Parlamento. A rispondere ai nostri dubbi sono stati, infatti, solo colleghi della maggioranza.

La chiarezza è dovuta ai soldati e al parlamento
Anche per questa mancata assunzione di responsabilità le risposte sulle regole di ingaggio dei nostri militari non appaiono soddisfacenti. A nostro modo di vedere, la maniera migliore per esprimere solidarietà ai militari italiani è quello di chiarire che cosa andranno a fare e chi li comanderà; il silenzio della maggioranza su questi temi non rende un buon servizio alle Forze armate.
Il contingente Nibbio è già in Afghanistan ed il Parlamento non è stato ancora informato sulle caratteristiche del transfer of authority, né sulle regole di ingaggio. Noi chiediamo che il Governo si pronunci su tali aspetti nell'ambito della discussione di questo decreto-legge. Sarebbe infatti un'omissione particolarmente grave sotto il profilo politico limitarsi a prorogare la partecipazione alla missione "Enduring Freedom" senza fornire un chiarimento su tali questioni.
Ciò in considerazione del fatto che nelle ultime settimane si è manifestata una evidente contraddizione tra le dichiarazioni del portavoce dell'operazione "Enduring Freedom" - il quale rappresenta la catena di comando cui farà riferimento il contingente italiano - e le affermazioni rese dal Ministro della difesa. C'è quindi la necessità di un chiarimento in quanto su tali questioni il Parlamento deve essere adeguatamente informato.
In particolare per quanto riguarda il tranfer of authority, poiché il Parlamento deve essere tempestivamente informato sulle sue caratteristiche, se effettivamente si sia giunti ad una sua definizione, se si preveda un ruolo del comando italiano sul campo, anche in termini di poteri di veto rispetto alle direttive del comando americano.
Il Parlamento deve essere informato su tali aspetti e in primo luogo sulle regole di ingaggio. Per la fase emendativa abbiamo proposto un emendamento che stralcia di fatto la missione Nibbio da "Libertà duratura". E non per consentirci un voto diverso da quello della maggioranza, ma per spingere il Governo a chiarire che siamo di fronte ad una realtà diversa. Come ho detto, il Presidente del Consiglio lo ha fatto in televisione; lo dica in Parlamento, traduca questa diversità in atti legislativi coerenti.
Il Governo non ci ha dunque fornito elementi certi su due aspetti fondamentali del decreto. Questa latitanza dell'Esecutivo ha determinato finora incertezza sulla copertura finanziaria e insufficiente chiarimento sull'ingaggio dei nostri militari all'interno dell'operazione "Libertà duratura", che ci hanno impedito di esprimere un voto in Commissione. Mi auguro che di qui al voto finale dell'Aula del Senato il Governo si assuma sui due temi le responsabilità che gli competono per rassicurare le Forze armate e per consentire al Senato di esprimere un voto certo.

Cambiare il metodo di esame da parte del Senato
C'è un'altra osservazione sui comportamenti politici che riteniamo di fare: questa volta non nei confronti del Governo, ma della Presidenza del Senato.
Il disegno di legge in esame, pur avendo un contenuto tecnico, riflette una precisa volontà politica; esso non può essere ridotto al solo finanziamento delle missioni. Non lo è nei fatti politici italiani, non lo è nella realtà internazionale. Trattandosi di un capitolo di politica estera, non posso non rilevare come la Camera dei deputati abbia seguito un percorso diverso da quello che sta seguendo il Senato. Nell'altro ramo del Parlamento la Presidenza ha assegnato il decreto-legge all'esame delle Commissioni difesa ed esteri; la Presidenza del Senato ha invece assegnato il disegno di legge di conversione solo alla Commissione difesa.
Poiché credo che nessuno di noi voglia dare credito all'impressione che Governo e Presidenza del Senato intendono militarizzare la politica estera italiana, ho chiesto al Presidente della Commissione di segnalare la questione alla Presidenza del Senato. So che questo è avvenuto. Mi auguro che per il futuro questo tema venga almeno discusso e possibilmente abbia uno svolgimento parallelo tra i due rami del Parlamento. Per intanto, mi sembrerebbe opportuno almeno che la nostra discussione qui in Aula abbia luogo alla presenza anche di un rappresentante del Ministero degli esteri, al fine di chiarire gli intendimenti del Governo in riferimento alla evoluzione del quadro internazionale in cui si collocano le varie missioni.

Un quadro legislativo certo per le missioni all'estero
Esprimendo l'augurio che per il futuro ci siano procedure simili tra Senato e Camera, ho forse rinunciato a priori ad una speranza: che la presenza dei nostri militari italiani in missioni internazionali di pace diventi la normalità della loro vita e della nostra legislazione.
Poiché queste missioni sono finalizzate a costruire nel mondo più forti, stabili e durature condizioni di pace, a nome della Margherita-l'Ulivo voglio innanzitutto rinnovare alle donne e agli uomini che rappresentano l'Italia in situazioni comunque difficili ogni possibile sentimento di gratitudine per l'impegno personale e professionale che continuamente profondono, unito alla più ampia solidarietà per il rischio che corrono nell'unico intento di garantire ad altri uomini e donne migliori condizioni di vita.
Ciò che oggi non può essere messo in discussione è la partecipazione dell'Italia a queste missioni, in cui l'Ulivo si è lealmente speso nella sicurezza di offrire alla causa del mantenimento della pace un fattivo contributo.
Ciò che oggi possiamo e dobbiamo mettere in discussione è il metodo attraverso il quale il Governo giunge alla proroga di tale missione. Il Senato si trova infatti, ancora una volta, ad affrontare il delicato argomento della proroga di missioni internazionali attraverso lo strumento del decreto-legge.
Ciò che fatichiamo a comprendere è la ragione per cui il Governo continui ad insistere sulla decretazione d'urgenza, anziché scegliere la via più ragionevole della procedura di una pianificazione organica ed ordinata della materia delle missioni internazionali di pace delle nostre Forze armate.

Le novità della missione di polizia in Bosnia
Riguardo al decreto, due sono le questioni che vorrei sottoporre all'attenzione dell'Aula.
La prima è di carattere formale e tecnico. Il provvedimento che stiamo esaminando si presenta come una sorta di decreto omnibus, in cui sono contenute disposizioni varie e molteplici che vanno dalla Macedonia all'Albania, dal Kosovo ad Hebron, dall'Etiopia all'Eritrea, dalla Bosnia-Erzegovina all'Afghanistan.
La seconda questione concerne invece maggiormente il merito delle vicende di cui ci stiamo occupando. Su queste missioni internazionali - ed in particolare su quella che opera in Afghanistan - crediamo sia giunto il momento di fare definitivamente chiarezza. Ma sulla questione dell'Afghanistan mi soffermerò in sede di illustrazione degli emendamenti.
Più in generale, posso osservare che, ad oggi, il Senato non è stato ancora posto in condizione di valutare appieno i risultati ottenuti nell'ambito di ciascuna di queste missioni, né è stato pienamente informato circa l'eventuale cambiamento della loro natura e funzione.
Si tratta di questioni già comprese nel decreto-legge o che matureranno nel tempo della sua validità. Di questo sarebbe importante conoscere per il Parlamento, oltre che doveroso spiegare da parte del Governo, i cambiamenti (ad esempio delle missioni nei Balcani) o commentare le preoccupazioni di fonti autorevoli, sempre per restare nei Balcani, secondo cui la missione in Bosnia, lungi dal pacificare quelle popolazioni, starebbe scatenando un clima di radicalizzazione tra etnie.
Ci sono elementi di novità importanti, come la missione di polizia in Bosnia-Erzegovina, che ha iniziato l'attività il primo gennaio 2003, sostituendo la missione dell'ONU. Sappiamo che l'obiettivo della missione, il cui mandato è di tre anni, è stabilizzare il Paese e avvicinare le condizioni della polizia bosniaca alle norme europee.
L'Unione Europea gestirà per la prima volta una missione come "capofila" e questo le permetterà di affermarsi come operatore credibile per il mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. La sua missione, che ha avuto il sostegno della comunità internazionale, copre non solo l'inquadramento delle forze di polizia, ma anche il rafforzamento dello Stato di diritto. La forza di polizia militare non potrà essere esercitata interamente, in quanto la missione dell'Unione Europea non ha un ruolo esecutivo.
L'impossibilità di avere tale ruolo porterà la Polizia europea ad utilizzare "il bastone e la carota" per arrivare ai suoi scopi? Dovrebbe servirsi della condizionalità dei programmi della Commissione europea sul posto (in particolare, il programma CARDS) e della possibilità di dare al capo missione il potere di licenziare i poliziotti locali non adatti?
Sono domande alle quali più che il Ministro della difesa dovrebbe rispondere il Ministro degli affari esteri.
Al Ministro della difesa, al Governo, noi chiediamo: come si fa in questo decreto a prorogare di sei mesi una missione che insieme si è stabilito duri tre anni?

Il cambio di comando da Nato a Ue in Macedonia
E per restare sempre in questa parte della nostra Europa, ci piacerebbe sentire qualche commento e qualche indicazione italiana sui contenuti del Consiglio dell'Unione europea sugli affari generali e le relazioni esterne del 24 febbraio scorso.
Sappiamo che il Consiglio ha preso nota della relazione presentata da Solana, Alto rappresentante dell'Unione europea per la PESC, e dalla Presidenza greca sulla sostituzione del comando della SFOR in Bosnia-Erzegovina da parte dell'Unione e di un contributo franco-britannico al riguardo.
I due documenti sottolineano la necessità di una missione con un mandato forte, che lavori in stretta cooperazione con la NATO e che potrebbe essere operativa nel 2004. Entro maggio queste idee verranno concretizzate per arrivare ad un concetto generale che definisca compiti e necessità della missione che il Consiglio dovrà approvare. Qual è la linea sostenuta dall'Italia in questa pianificazione?
Sempre in quella riunione del Consiglio i Ministri hanno anche preso nota dei passi avanti fatti per preparare la futura missione militare dell'Unione Europea in Macedonia che deve sostituire la missione NATO. L'eventualità di un cambio il 15 marzo, questa settimana, quindi, è confermata?
Non possiamo continuare a leggere sui resoconti del Parlamento europeo i particolari delle missioni cui partecipano anche i militari italiani. Apprezziamo l'assunzione del comando dell'operazione in Macedonia da parte dell'Unione Europea, ma riteniamo che il Parlamento avrebbe dovuto essere informato prima, specialmente per quanto riguarda le conseguenze finanziarie della nostra partecipazione.
Il Consiglio, il 24 febbraio, ha infine preso nota dei lavori per preparare accordi permanenti tra l'Unione Europea e la NATO - in base all'accordo Berlin Plus - e ha adottato l'accordo di sicurezza tra l'Unione Europea e la NATO sulle informazioni riservate tra l'Unione e l'Alleanza. Poiché i nostri militari dovranno operare in base a questi accordi, vuole il Governo riferircene perché il Parlamento non si trovi solo a ratificare ma anche perchè, attraverso il Parlamento, le nostre Forze armate sappiano quali sono i loro diritti e il loro compito?
Infine, un'ultima questione che il dibattito su questo decreto dovrebbe spingere il Governo a chiarire.
Qualche giorno fa, in occasione della riunione comune della Commissione affari esteri del Parlamento dell'Unione e di una delegazione dell'Assemblea parlamentare della NATO, il Ministro greco della difesa ha ammesso che occorreranno forse due anni in più del periodo inizialmente previsto perché la Forza di reazione rapida dell'Unione raggiunga i 60.000 uomini. Due anni di ritardo sono drammatici nell'attuale situazione internazionale. Ce ne vuole parlare il Governo?
Insomma, c'è molta materia per un confronto sul merito del provvedimento e non solo sulla copertura finanziaria. Lo sollecitiamo al Governo. Da parte nostra credo si tratti di rispetto per coloro che ci rappresentano e, anche a nome nostro, fanno una parte significativa della politica estera italiana con il proprio lavoro ed il proprio rischio.

12 marzo 2003

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16 marzo 2003
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