SICUREZZA E DIFESA

La proroga al 31 dicembre delle missioni militari italiane
Conservare il ruolo di pace
delle nostre truppe all'estero

I limiti del decreto-fotocopia predisposto dal governo

Nella seduta pomeridiana di mercoledì 5 giugno l'Aula del Senato ha cominciato l'esame del disegno di legge di "Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 16 aprile 2002, n. 64, recante disposizioni urgenti per la prosecuzione della partecipazione italiana ad operazioni militari internazionali", già approvato dalla Camera dei deputati.
Nella discussione generale è intervenuto a nome del gruppo Margherita-L'Ulivo il senatore Tino Bedin, capogruppo nella Commissione Difesa. Riportiamo il testo dell'intervento.

intervento di Tino Bedin
capogruppo Margherita commissione Difesa

Comincio dai diecimila militari italiani, che sono i primi destinatari del decreto che proroga le loro missioni di pace all'estero.
Certo, questo atto parlamentare riguarda scelte politiche, strategie internazionali, alleanze, che sono la cornice, le motivazioni del provvedimento e sulle quali tornerò brevemente. Desidero però sottolineare che le ragioni del nostro consenso alla conversione anche di questo decreto-legge hanno come riferimento innanzitutto le persone, e i militari italiani prima di tutte. Attraverso questo provvedimento, confermiamo la fiducia che abbiamo in loro, certifichiamo che il Parlamento condivide l'azione che svolgono, dimostriamo che la nostra partecipazione alle loro tragedie (che abbiamo espressa in Senato poche settimane fa) non è solamente istituzionale, ma personale.
Anche altre persone, destinatarie indirette dell'azione dei nostri militari, motivano la decisione legislativa che prendiamo oggi. Mi riferisco alle centinaia di migliaia di persone che possono vivere con minore preoccupazione, che forse possono nutrire qualche speranza in più sul loro futuro prossimo, misurato sulla vita quotidiana, sulla possibilità stessa di avere un futuro. Sono le persone che vivono nei luoghi in cui c'è bisogno anche della presenza militare italiana. Sono le donne e i bambini, i ragazzi e gli anziani dei Balcani e di Kabul e di tutti gli altri luoghi in cui è precaria la vita stessa. È della loro speranza che ci facciamo carico votando il proseguimento delle missioni italiane per il mantenimento della pace.

Per la vita e la libertà delle popolazioni
È questa del resto l'originalità della presenza italiana ed europea in situazioni di crisi. Lunedì scorso, al Parlamento europeo (dove erano presenti anche rappresentanti del Senato italiano), il commissario Chris Patten, responsabile per le relazioni esterne dell'Unione europea, ha ricordato un rimprovero che ha ricevuto a proposito della presenza europea a Kabul con la missione Isaf. "Qualcuno ci ha rimproverato - ha detto - perché a Kabul le truppe europee sembrano fare più politica sociale che politica militare". "È vero - ha aggiunto il commissario europeo - pensiamo alla popolazione, pensiamo a restituire i diritti alle donne, pensiamo alla sicurezza dei bambini. Forse, se anche in passato la comunità internazionale avesse fatto più politica sociale in Afghanistan, non si sarebbe trovata nella condizione di dover riacquistare dagli afgani i missili che aveva loro regalato".
Ho citato Chris Patten perché condivido la sua valutazione, ma anche perché esprime una delle motivazioni per cui sosteniamo le missioni militari italiane ed anche perché le sue parole indicano la prospettiva verso cui queste missioni devono tendere, quella della salvaguardia della condizione di vita e di libertà delle popolazioni.
Ne abbiamo un esempio in Macedonia, dove dal 1° gennaio prossimo sarà l'Unione europea, e non più la Nato, a svolgere compiti di polizia internazionale. Sempre nei Balcani, alcuni Paesi si sono evoluti ed hanno chiesto all'Unione europea di partecipare alla partnership for peace: è un segno che vogliono porsi nelle condizioni di essere membri della nostra comunità pacifica.

Ora a Kabul c'è un governo riconosciuto
Questa scelta, che contraddistingue le motivazioni per cui la Margherita-L'Ulivo voterà a favore della continuità dell'azione militare di pace italiana, spiega anche la critica ad uno dei contenuti del decreto-legge, sul quale a nome del Gruppo ho presentato un emendamento.
Mi riferisco alla continuità che il governo assicura all'applicazione del codice militare penale di guerra ai militari che operano nella missione "Enduring Freedom" e nell'intervento internazionale ISAF, sempre in Afghanistan. Noi riteniamo che tale continuità non sia da sostenere in questo momento fondamentalmente per ragioni di carattere politico. In questa fase, anche con il nostro riconoscimento diplomatico - tanto è vero che a Kabul l'Italia ha un'ambasciata - stiamo dando assicurazioni al governo provvisorio di Kabul e alla popolazione afghana che intendiamo lavorare non più in un teatro di guerra, ma in un Paese che ha deciso di costruire il suo futuro nella pace. Non so come il governo provvisorio di Kabul prenderà la decisione del Parlamento italiano, se dovesse essere confermata la decisione che i nostri soldati in quella sede sono considerati ancora in guerra.
Oltre a questa ragione politica e diplomatica, va aggiunto che è cambiato lo scenario in cui la decisione fu adottata qualche mese fa; oggi la guerra in Afghanistan dal punto di vista militare si può dire conclusa o comunque non sono diverse le condizioni in cui operano i nostri soldati nelle vallate del Kosovo o tra le montagne della Macedonia.

L'Ulivo: far proseguire anche la missione di pace
Come ho detto, su questo punto ho presentato un emendamento. Non si tratta, però, solo della correzione puntuale su questo aspetto del decreto del governo; è anche la segnalazione di un difetto più generale di questo decreto-legge, quello di conglobare tutte le missioni italiane in un'unica normativa.
In questa omologazione il governo aveva paradossalmente fatto una sola eccezione, che fortunatamente è stata corretta dalla Camera: secondo il governo, solo che l'operazione di pace Isaf a Kabul doveva durare fino al 30 giugno, mentre tutte le altre venivano prorogate alla fine dell'anno. Il termine è stato spostato al 31 dicembre anche per la missione Isaf. Questo è avvenuto certamente perché tra l'emanazione del decreto e la discussione alla Camera, come ha ricordato il relatore, è intervenuta una decisione delle Nazioni Unite; devo però ricordare, per completezza di informazione rispetto a quanto ha detto il relatore, che questa modifica è stata apportata su richiesta dell'Ulivo e non su richiesta del Governo, pur in presenza di una decisione delle Nazioni Unite.
Anche questo episodio evidenzia, come ho avuto modo di dire il commissione Difesa, un fatto molto negativo: in questa occasione il Senato è stato privato di una discussione importante e interessante. Questo, infatti, non è un decreto fotocopia rispetto agli altri, anche se così viene presentato.

Proprio ora meno carabinieri in Palestina
Richiamo l'attenzione sulla circostanza che questa è di fatto la prima volta nella quale il Parlamento si trova nella condizione di discutere del futuro e non del passato in relazione alle missioni militari. Solitamente, i decreti-legge venivano in discussione a conclusione del periodo al quale si riferivano, per cui, pur con tutte le valutazioni, si trattava di codificare avvenimenti del passato. In questa circostanza abbiamo di fronte quasi sette mesi per valutare come e con che finalità le nostre truppe possono e debbono agire all'interno degli organismi internazionali.
Per esempio, sarebbe stato interessante discutere con il governo perché, proprio nel momento in cui la situazione in Palestina è quella tragica che tutti conosciamo, il Corpo dei carabinieri a Hebron viene ridotto. Discutendo sul futuro, probabilmente avremmo potuto dare, anche in questo caso, il nostro contributo come Parlamento.
Avremmo potuto discutere di come la già citata missione Nato in Macedonia verrà trasformata in missione dell'Unione europea, di come il governo italiano, a livello di ministro degli Esteri e di ministro della Difesa, stia partecipando a questa trasformazione e quale ruolo avrà l'Italia nel corpo di spedizione europea.

Cosa fare dell'alleanza antiterrorismo
Avremmo potuto discutere dell'operazione "Enduring Freedom" e dire se abbia raggiunto i suoi scopi. In fondo, avevamo dato il nostro consenso a questa operazione perché sarebbe dovuta servire a catturare Bin Laeden, che però non è stato catturato. Essa, inoltre, avrebbe dovuto togliere potere al Mullah Omar, ma quest'ultimo è sparito.
Soprattutto dovremmo valutare se sia ancora valido il concetto sul quale si fonda "Enduring Freedom". Questa operazione - lo ricordo - è l'unica alla quale il nostro Paese partecipa non come ad un corpo di spedizione multilaterale, bensì muovendosi sulla base dell'articolo 5 dell'Alleanza atlantica, cioè in "soccorso" di uno Stato membro: c'è un rapporto singolare tra i vari Paesi e gli Stati Uniti tant'è vero che il comando delle operazioni è affidato agli Stati Uniti, ma soprattutto ha sede a Tampa, sempre negli Usa. Avremmo potuto, dunque, domandarci se questo tipo di collocazione giuridica di "Enduring Freedom" sia ancora valida, pur ritenendo noi opportuno che in questo momento l'operazione continui e che prosegua la presenza militare italiana ed europea nello scenario dell'Afganistan.

Nessun allargamento del conflitto
Infatti, ho già preannunciato il voto favorevole del mio Gruppo al provvedimento, pur ribadendo che sull'aspetto giuridico della nostra partecipazione avremmo potuto interrogarci. Alla Camera - e questo è un altro degli aspetti positivi scaturiti dal dibattito svoltosi presso l'altro ramo del Parlamento - è stata fatta chiarezza ed è stata inserita all'interno del decreto-legge la limitazione geografica dell'intervento dell'operazione "Enduring Freedom". Noi siamo contrari ad ogni allargamento del conflitto, così come all'eventuale utilizzo di questo strumento per altri interventi. Del resto, lo scenario drammatico che in quella parte del mondo, con lo scontro tra India e Pakistan, si sta delineando, rende indispensabile che qualsiasi novità di partecipazione italiana in quello scacchiere sia oggetto di uno specifico provvedimento legislativo e di uno specifico mandato parlamentare.
A proposito del conflitto India-Pakistan, colgo l'occasione per segnalare per chiedere al Governo se è vero e se gli risulta - come ha riferito questa mattina, in un'intervista al GR1, uno dei nostri militari che operano nella forza di monitoraggio Onu in Kashmir - che i nostri soldati non hanno libertà di movimento in India mentre ce l'hanno in Pakistan.
Restano dunque aperte le molte domande politiche sulla partecipazione italiana alle operazioni in difesa della dignità delle persone e della loro possibilità di vita in varie parti del mondo. La nostra approvazione non si traduce comunque in un mandato al Governo, al quale non diamo carta bianca per il futuro, ma piuttosto è un mandato al Parlamento, in particolare a questo ramo, affinché sia protagonista in questa materia.

5 giugno 2002

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16 giugno 2002
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