Italia in Iraq

 
IN DIALOGO TRA CITTADINI

Veneto, 10 febbraio 2004

Appello ai parlamentari
"No" al rifinanziamento
della missione militare e civile in Iraq

Non ci sarà nemmeno il tempo di discutere sul ruolo e sul compito dell'Italia


Gentile Parlamentare, Le scrivo per chiederle di votare affinché la missione militare e civile in Iraq non venga rifinanziata: nonostante l'uso dell'espressione "missione umanitaria" si tratta di una missione sotto il comando di una forza di occupazione, nel quadro di un'operazione di guerra specificamente vietata dalla nostra Costituzione.
Si unisca alla maggioranza della popolazione italiana, si faccia portavoce dei milioni di bandiere di pace che ancora sventolano dai balconi delle nostre città. Faccia un gesto che contribuisca con chiarezza a ripristinare la legalità internazionale. Saremo in tanti, ma proprio tanti, a camminare al suo fianco.
Mai una guerra fu tanto contestata, prima ancora di essere scatenata, al suo solo annuncio, come la guerra all’Iraq. Oggi, gli stessi massimi responsabili di quella guerra riconoscono che l’accusa delle "armi di distruzione di massa" che l’Iraq avrebbe posseduto, era priva di fondamento; lo stesso Segretario di Stato degli USA, Colin Powell, ammette che forse la guerra non era necessaria… Sono tutte cose che Lei sa, non può non saperle, vista la responsabilità di cui è investito. Le chiedo di considerarle, serenamente ma responsabilmente.
Le forze di occupazione non riescono a garantire la sicurezza nemmeno a sé stesse, e di fatto tutelano solo un numero ristretto di presidi economici, militari e delle comunicazioni, oltre agli impianti di estrazione petroliferi. Tutte le infrastrutture civili sono esposte all’abbandono e al saccheggio, nell’indifferenza o nell’assenza delle forze di occupazione. Gli approvigionamenti alimentari, l’erogazione di acqua potabile e luce elettrica, i servizi sanitari, tutto è compromesso e deficitario. Queste cose da sole non fanno la libertà, ma senza tutte queste cose, quale popolo può dirsi libero? Senza queste cose la vita è quotidiana sofferenza ed umiliazione.
E’ amaro e tragico doverlo ammettere, per chi crede nella democrazia e ha in odio la dittatura –e sono certo che in questo io e Lei coltiviamo profondamente gli stessi sentimenti- è amaro doverlo ammettere, dicevo, ma la popolazione irakena oggi sta peggio di quanto non stesse sotto il regime di Saddam Hussein: vive molto peggio. E anche chi, nella variegata società civile irakena, era nei primi mesi di occupazione "rimasto alla finestra", oggi si oppone con forza crescente alla occupazione. E’ tempo di ammetterlo: in Iraq non c’è nessuna "missione di pace". Non c’è nessuna "forza" di pace, se non quelle (la cui "forza" poggia sull ’umanità e sulla natura preziosa del servizio che prestano a comunità bisognose), dei volontari civili umanitari, delle strutture di cooperazione impegnate nella ricostruzione di infrastrutture civili o nei presidi elementari di sanità, in quelle di monitoraggio sul rispetto dei diritti umani. Saprà che l’ultimo voto in materia del Parlamento di cui Lei fa parte, ha tolto risorse a questo tipo di interventi –cioè alla cooperazione internazionale delle Organizzazioni Non Governative- per riversarle sulla missione militare (chiamandola "di pace"). E’ un errore, è una beffa, è una grave e imperdonabile offesa alla giustizia e alla verità. La prego di fare ciò che è in suo potere, perché il nostro Parlamento cancelli quell’errore, ponga fine alla complicità italiana nell ’umiliazione del popolo irakeno e nella copertura di una guerra e di una occupazione ingiuste e disgraziate.
Non c’è nessuna "missione di pace" in Iraq: non prenda, il Parlamento, in giro con leggerezza e cinismo gli italiani, non prenda in giro con leggerezza e cinismo i militari tuttora là impiegati e le loro famiglie, non prenda in giro il sentimento della maggior parte dei cittadini italiani, amanti della democrazia, della pace, della solidarietà, ed alieni a ogni comportamento o pregiudizio coloniale o neocoloniale.
Le chiedo scusa per la lunghezza, che le avrà sottratto un po’ del suo tempo, ma credo che comprenderà. Per chi non ha voluto ascoltare voci che potevano –lo comprendo- parergli di parte, c’erano quei milioni di bandiere a ricordarlo per mesi e mesi: le ragioni della pace e della non aggressione sono le ragioni della maggior parte degli Italiani.
Per tutti questi motivi, Le chiedo un voto che sia NO alla guerra, NO all’ ulteriore coinvolgimento italiano in una occupazione ingiusta e nefasta. NO a compromessi ambigui (astensioni o uscita dall’aula) che guardino agli equilibri fra partiti, alle alchimie verbali, e neghino la realtà, e le responsabilità che essa comporta. Non tradisca questa richiesta. Non deluda l’attenzione con cui io –e tanti, come me e con me- guardo a ciò che il Parlamento dirà e a ciò che verrà deciso.    

Cittadine e cittadini del Veneto
Risponde Tino Bedin

Sono centinaia le poste elettroniche che mi arrivano da tutte le province del Veneto; a ciascun cittadino ho risposto personalmente perché ritengo importante questa partecipazione, perché ritengo decisiva l'azione dell'opinione pubblica nell'orientare l'Ulivo ad voto contario.
Come coloro che mi hanno scritto, penso che la pace meriti una discussione anche lunga, se serve. Invece sulla pace la maggioranza al Senato ha prima liquidato il decreto in commissione in una seduta nottura, ora si appresta nella prossima settimana a concludere il voto contingentando i tempi a disposizione dei gruppi parlamentari. Personalmente avrò appena sei minuti per discutere in Senato sui compiti dei nostri militari e sul loro ritiro; un'altra decina di minuti ci è assegnata per illustrare gli emendamenti: neanche mezzo minuto ad emendamento, anche se si tratta di proposte e non di ostruzionismo.

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14 febbraio 2004
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Tino Bedin