BATTAGLIA TERME
La celebrazione del 25 aprile a Battaglia Terme
La libertà non passa alla storia
La memoria civile e religiosa ci restituisce sempre la vita

L'amministrazione comunale e le associazioni patriottiche di Battaglia Terme hanno celebrato con solennità il 60° anniversario della Liberazione con alucni singiificativi appuntamenti nella giornata del 25 aprile. Il sindaco Velia Bevilacqua ha inviato il senatore Tino Bedin, parlamentare degli Euganei, a tenere il discorso commemorativo. Riportiamo il discorso del senatore Bedin.

di Tino Bedin capogruppo Margherita in Commissione Difesa

Gentile sindaco, rappresentanti della municipalità di Battaglia Terme,
ex combattenti e partigiani, abitanti di Battaglia Terme.
Siamo qui, sessant'anni dopo il 25 aprile del 1945, per una celebrazione che non è solo memoria. La Festa della Liberazione è per l'Italia il giorno del proprio futuro: lo è stata allora; lo è oggi.
Certo abbiamo aperto questa giornata con la memoria.
La memoria civile onorata con la deposizione della corona presso l'abitazione della famiglia Rosada in via Ortazzo: memoria delle vittime non combattenti della guerra. "Effetti collaterali" chiamano questi morti in tv oggi. La memoria aiuta a riconoscere tragedie anche là dove le parole le nascondono; anche quando non appartengono alla storia ma alla vita. E poi la memoria religiosa, nella chiesa parrocchiale, con la liturgia presieduta dall'arciprete. Alla luce della fede, questa memoria consente di partecipare ancora della vita che allora fu interrotta ma che sappiamo non è stata annientata.
Ora siamo qui, in un luogo dal duplice significato: ancora memoria davanti al monumento ai caduti e alle vittime civili; ma anche presente e futuro in questa Piazza della Libertà.

La libertà dei patrioti. La Libertà, la Liberazione appartengono alle generazioni che le vivono.
Basta leggere le lettere, i bigliettini, i graffiti di centinaia di combattenti alla vigilia dell'esecuzione della loro condanna a morte o di una missione rischiosissima: il nome dell'Italia, negli scritti dei partigiani, si coniuga con Libertà.
Il ruolo militare della Resistenza è stato importante, in quanto ha tenuto occupate varie divisioni tedesche nel nord. Non c'è però l'esaltazione della lotta; non c'è il mito della guerra in coloro che sarebbero morti e che oggi onoriamo; in cima alla loro vita (e quindi anche alla loro morte) c'è la libertà.
La pace, attesa, invocata, sperata non era la ragione della lotta di Resistenza, quella dei partigiani e quella dei militari dell'esercito regio. La pace era la condizione per esercitare la libertà.
La pace era tornata, tra il 25 e il 29 aprile 1945 quando un'insurrezione simultanea liberò le città del Nord prima dell'arrivo degli eserciti alleati.
Era tornata la pace, ma per molti continuava la lotta: per la Costituente, per la Repubblica, per un'Italia tutta nuova. Lo richiedeva la libertà.
Il maggior merito della Resistenza è quello di essere esistita e di aver preparato un ricambio politico, un potere che poteva sostituirsi al fascismo con più credibilità di Badoglio. Senza la Resistenza gli italiani non avrebbero riacquistato il diritto di disporre di un proprio futuro politico: per questo il 25 aprile generò l'Assemblea costituente, la Repubblica, la Costituzione e il sistema democratico.

Senza quell'eredità saremmo senza patria. La Resistenza ha anche difeso l'onore del paese. Grazie alla presenza degli eserciti partigiano e regio molti italiani sentirono di non essere degli sconfitti. L'Italia della Resistenza si era presentata unita agli stranieri, anche agli stranieri amici come gli anglo-americani.
Se quell'insurrezione non fosse esplosa, se non fosse stata preparata da 20 mesi di lotta armata contro gli occupanti tedeschi e i loro collaboratori fascisti, che cosa sarebbe accaduto dell'Italia? Quali sarebbero state le clausole del trattato di pace sottoscritto il 10 febbraio 1947, già di per sé punitive e durissime? Avremmo seguito la sorte della Germania, cui fu negato un trattato di pace e con questo un'identità.
Questa è un'eredità. Questa è la nostra identità condivisa.
Sessant'anni sono passati da quel 25 aprile del 1945 che segna l'arrivo dell'Italia alla democrazia, e qualcuno vorrebbe metterci una pietra sopra. Non è possibile. Questa storia non si cancella, non si cambia: semplicemente perché non è il passato. È la vita di oggi. È la casa che abitiamo. Resteremmo senza casa, senza cittadinanza, senza presente se provassimo a rinunciare alla nostra storia.

Ancora con gli occhi dei ventenni. Proprio perché è la nostra identità, questo 25 aprile ci obbliga a guardare avanti. Così come guardavano avanti gli italiani nel 1945. Guardavano con gli occhi dei giovani. Perché la Liberazione, la libertà sono il risultato della scelta compiuta prevalentemente dai giovani.
Sono stati i ventenni, italiani nati dopo il 1922 e quindi vissuti interamente nell'era fascista, che seppero voltare le spalle all'ideologia di cui rimasti vittime fin da bambini. Chi entrava nell'esercito partigiano doveva affrontare rischi grandissimi e munirsi di tanto coraggio. Trovarono nella loro giovinezza, nell'insegnamento dei loro genitori, quelli che la dottrina del regime non aveva loro dato.
Erano poco più che ventenni anche i soldati italiani catturati dai tedeschi nei Balcani e in altre regioni d'Europa i quali preferirono essere internati nei campi di concentramento tedeschi piuttosto che giurare fedeltà ad un regime che li spogliava di ogni onore.
Merita ricordare i numeri: degli 810 mila militari italiani catturati dai tedeschi, appena 14 mila dopo la cattura scelsero di diventare combattenti; altri 80 mila scelsero di fare gli ausiliari. Ma gli altri 716 mila diventano IMI, Internati militari italiani. E se per qualcuno di questi nel corso dei mesi le condizioni diventarono insopportabili fino a far cambiare condizione, altrettanto e molto di più successe nelle file repubblichine, che furono falcidiate dalle diserzioni: molti degli arruolati con la forza andarono ad alimentare le formazioni partigiane.
Avremmo voluto che a quanti tra costoro, sono ancora tra noi con la loro vita, la loro memoria e la loro fierezza, la Repubblica consegnasse un riconoscimento. In un disegno di legge avevamo anche trovato il nome: l'Ordine del Tricolore. Così come a sessant'anni dalla fine della Prima Guerra mondiale ci furono i Cavalieri di Vittorio Veneto, così ora avevamo immaginato di avere tra noi i Cavalieri del Tricolore, tanti padri della Patria, testimoni della Libertà.
Non è stato possibile. In Parlamento non si è trovata la maggioranza necessaria ad approvare questo riconoscimento perché qualcuno si è ostinato a parlare della Guerra di Liberazione, dei militari italiani del regno d'Italia e dei Partigiani come di italiani contro italiani.
Sappiamo che la morte non ha colore; che potremmo confondere le storie, le morti di quegli anni; che le memorie individuali vanno rispettate nella loro diversità.
Ma sappiamo che dalla parte giusta si è collocato chiunque abbia inteso favorire la vittoria della civiltà contro il nazismo. La Liberazione dopo il fascismo e la guerra è una conquista per cui dobbiamo essere grati agli alleati e ai militari italiani e ai partigiani che combatterono al loro fianco.

La libertà ha continuato a produrre la pace. La scelta della parte giusta ha consentito di ampliare la libertà. In Italia e non solo in Italia.
Questa libertà condivisa ha continuato a produrre la pace. Viviamo a sessant'anni dal 25 aprile 1945 in un'Europa Unita. Viviamo i primi sessant'anni di pace di pace in Europa.
"Centomila tedeschi oggi a Roma", titolava ieri il Gazzettino in prima pagina. Sessant'anni fa un titolo così sarebbe stato carico d'angoscia.
È stata l'"invasione tedesca per l'inizio del pontificato", come lo stesso giornale spiegava poi nel titolo della pagina interna, annotando che da Bolzano è arrivato un centinaio di volontari che parlano tedesco, il cui compito è quello di assistere nel modo più agevole i fedeli di lingua tedesca. Allora la lingua tedesca era ostile.
Questa è oggi la nostra Europa. L'abbiamo costruita in questi sessant'anni, passo dopo passo, fino alla prima Costituzione dell'Unione che il Senato italiano ha ratificato in questo mese.
Si tratta di una Costituzione che è figlia della pace e della libertà, a differenza della nostra Costituzione che è figlia della tragedia della guerra e della dittatura. Tutte e due però contengono il desiderio di guardare avanti, aprono nuove prospettive, non sono fatte solo per codificare la storia.
Qui oggi idealmente dobbiamo onorare i militari alleati e i partigiani di tutti paesi europei, dalla Francia alla Finlandia. Anche così questa data non sarà è una memoria, ma una festa. La festa di compleanno della Libertà italiana ed europea.
Viva l'Italia. Viva la Libertà. Viva la Costituzione

25 aprile 2005


21 maggio 2005
bt-005
scrivi al senatore
Tino Bedin