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Il valore perenne della Liberazione e della festa del 25 aprileIl senatore Tino Bedin ha inaugurato domenica 25 aprile il monumento ai caduti i guerra
di Urbana. Il monumento è collocato nella rinnovata piazza davanti alla scuola del
capoluogo ed è opera dello scultore montagnanese Franco Trevisan. Il parlamentare della
Bassa padovana ha anche svolto la relazione ufficiale, dopo aver portato il saluto della
Federazione provinciale combattenti e reduci, e dopo lintervento del sindaco Roberto
Soliman e alcune testimonianze degli alunni della scuola elementare e della scuola media.
Nella chiesa arcipretale era stata in precedenza celebrata una messa per la pace.
Questo il testo del discorso del senatore Bedin.
Il monumento che è stato inaugurato e benedetto ha una intitolazione, che è un
progetto, un proposito: "Per un unico desiderio di pace".
Le persone, le vite, le storie che, attraverso i nomi che vi sono riportati, questo
monumento rende ora parte della esperienza quotidiana in particolare degli alunni, tutte
queste vite hanno avuto e continuano ad avere, un progetto: la pace. Essa è desiderio,
speranza, necessità soprattutto.
La pace come necessità.
La avvertivano i combattenti, le loro famiglie; la avvertivano i militari che hanno fatto
il loro dovere, dalla parte dellItalia. Combattevano, aspettavano, soffrivano
nellattesa e nel desiderio che la guerra lasciasse il posto alla pace.
Eppure erano cresciuti con la guerra. La prima metà di questo secolo è stata costellata
di guerre, di ragioni di guerra. Fare il soldato significava avere molte probabilità di
sparare.
Rispetto ad allora, questa seconda metà del secolo ci lascia unaltra eredità. Le
democrazie, faticose ma alla fine giuste nei confronti della maggioranza dei cittadini
europei, hanno saputo realizzare lunghi decenni di pace. Fare il soldato non significa
più oggi automaticamente sparare.
Ci riconosciamo in quel popolo in fuga. Per questo in
queste settimane, in queste ore, la guerra imprevista, la guerra incomprensibile che un
governo ha proclamato contro i suoi abitanti al punto da spingere altri governi a farsi
carico del popolo kosovaro utilizzando a loro volta lo strumento della guerra; per questo
la guerra ci appare in tutta la sua assurdità; per questo la pace, che allora era un
desiderio, oggi è una necessità.
Le immagini di un popolo in fuga ci colpiscono non solo per la tragedia a cui danno
evidenza. Colpiscono perché riportano indietro la nostra storia. I carretti pieni di
donne, vecchi e bambini richiamano la condizione di vita ben viva nell memoria delle
persone che hanno vissuto la guerra e la resistenza, qui in questi paesi: richiamano gli
anni in cui tutti erano contadini, in cui agli animali della stalla si chiedeva di fare di
tutto; riportano stagioni in cui il freddo non si vinceva e rendeva ancora più dura la
vita.
Anche per questo la pace è una necessità. Lo sentiamo: non possiamo vivere tranquilli
finché una parte della nostra Europa vive in condizioni di guerra e di difficoltà che
noi, grazie al lavoro ma anche grazie alla democrazia, abbiamo superate.
Oggi siamo chiamati a fare memoria della tragedia europea ed italiana di oltre mezzo
secolo fa attraverso laffetto per i caduti, la riconoscenza alle donne (mamme,
mogli, fidanziate) che hanno sofferto con i combattenti. Siamo chiamati a farne memoria
anche attraverso un impegno attuale a favore di una immediata pacificazione nei Balcani.
Dal Diario di Anna Frank. La pace è un desiderio, una
necessità, ma non è fine a se stessa. Non è uno star bene da soli. Non è egoistica la
pace.
La mia generazione, quella che è nata dopo la guerra, sui banchi di scuola ha imparato
poco della guerra come storia: non si usava, allora. E tuttavia quella guerra ci è
arrivata (oltre che nel racconto dei genitori) anche attraverso un libro che i nostri
insegnanti non ci hanno fatto mancare. La lettura del Diario di Anna Frank, di questo
giovanissima ebrea, poi vittima dellOlocausto, ci ha aiutati a metterci in sintonia
con vicende che noi ragazzi non potevamo immaginare.
Cè una frase in quel diario: "Se uscirò da questa soffitta, farò qualcosa
per gli altri". Ecco il senso della pace. Ecco cosè la pace. Ecco perché oggi
lEuropa è in guerra: per fare qualcosa per gli altri.
Avremmo potuto stare per conto nostro. Avremmo potuto continuare a pensare, come per il
passato, come prima che lEuropa conoscesse il nazismo ed il fascismo ed il
comunismo, che la pulizia etnica era una questione interna ad uno Stato sovrano, che non
ci riguardava se non per il numero di persone umane in fuga che essa da tempo scaricava e
scarica nelle nostre società.
Invece abbiamo deciso di fare qualcosa per gli altri, anche se ci costa: ci costa
economicamente, ci costa politicamente, potrebbe costarci dei sacrifici ancora più
pesanti.
Certo, non tutto è chiarito: il nuovo principio della ingerenza umanitaria va precisato;
vanno costruire nuove regole internazionali; bisogna evitare che chi è più forte
prevarichi magari in nome della giustizia. A tutto questo occorrerà lavorare.
Anche i combattenti che oggi onoriamo non avevano tutto chiaro davanti a loro. Forse
avevano qualche dubbio; si domandavano cosa sarebbe stato dellItalia. Fra i
combattenti cerano idee diverse sullItalia: lo sapevano; le successive vicende
lo avrebbero reso evidente. Ma non hanno aspettato di aver tutto chiaro per combattere.
Lo hanno fatto da resistenti, da partigiani. Lo hanno fatto da soldati.
Una festa sempre più nazionale. La ormai lunga storia
democratica dellItalia ci ha progressivamente, definitivamente portato a celebrare
questo 25 aprile come una autentica festa nazionale. Festa nazionale perché la fine di
una guerra, la riconquista della pace è comunque una festa. Festa nazionale perché alla
ragioni della divisione (è stata in parte una guerra civile) si sono progressivamente
sovrapposte le ragioni complessive di un popolo, che anche in questa guerra, come
per la Grande Guerra si vede rappresentato dalla Forze Armate.
La presenza qui oggi delle associazioni combattentistiche e darma; il fatto che
liniziativa di questo monumento abbiamo avuto lideatrice nella sezione
dellAssociazione combattenti e reduci; il monumento stesso con i suoi nomi, molto
sta ad indicare il ruolo che alle Forze armate viene riconosciuto.
Sono stati voi lo sapete 87 mila i militari caduti durante la guerra; 530
mila quelli che hanno combattuto a fianco degli alleati; 59 mila i prigionieri dei
tedeschi per aver rifiutato la collaborazione; 80 mila quelli che hanno militato nelle
formazioni partigiane.
La Resistenza è guerra di popolo non solo per lo spirito di autonoma ricerca della
libertà che ha animato i partigiani e la popolazione civile; è guerra di popolo anche
per le cifre dei militari che venendo dal popolo hanno scelto di stare dalla parte della
patria, cioè dalla parte della libertà della loro terra. Anche in queste nostre zone non
si sono fatti intimidire dal comando della Gestapo che stava a Bevilacqua. I morti lungo
il Fratta o quelli impiccati sul ponte del Frassine li hanno certo spaventati ma non li
hanno fatti fuggire davanti alla responsabilità che la libertà della patria chiedeva a
tutti.
E da questo spirito che un popolo provato, un popolo diviso, ha avuto la forza e la
consapevolezza di sentirsi in grado di costruirsi un proprio avvenire nuovo, partecipato,
nel quale ciascuno avesse titolo di decidere della propria storia e della propria vita.
Il popolo italiano ha vinto la pace. Alla fine della
guerra la diplomazia e la politica internazionale hanno deciso che lItalia non
dovesse essere né tra gli sconfitti né tra i vincitori. Ci volle tutto lorgoglio
di Alcide De Gasperi per rivendicare i diritti del popolo italiano ed evitare ulteriori
umiliazioni.
Ma la storia avrebbe chiaramente dimostrato che lItalia, il suo popolo, i suoi
soldati, i suoi partigiani erano tra i vincitori della difficile prova: un popolo umiliato
non avrebbe trovato in se le forze per fare una rivoluzione pacifica, per allargare a
tutti i propri concittadini, cioè anche alle donne, il diritto di voto, per cambiare la
monarchia in repubblica, per darsi una Costituzione che pone alla sua base e quindi a
fondamento della cittadinanza il principale diritto che dà liberto, il diritto al lavoro,
per iniziare dopo un secolo dedicato ad unire lItalia (ricordate, è del 1848 la
prima guerra dindipendenza) un processo autonomistico mettendo in Costituzione la
organizzazione regionale della Repubblica. Tutto questo è fra i risultati della guerra di
Liberazione: quindi non solo la dignità di stare al tavolo del futuro dellEuropa e
del mondo, ma anche la propria dignità di cittadini, di protagonisti, non più sudditi.
Mai più sudditi.
Ecco perché questa celebrazione non invecchia. Certo passano gli anni e i ricordi si
allontanano; alcuni dei protagonisti ci hanno lasciato. Ma la Liberazione non è stato un
episodio.
Certo è stato anche il momento preciso in cui insieme sono finite definitivamente la
guerra e la dittatura. Doppiamente liberi, doppiamente liberati. E stato il momento
in cui è esplosa la gioia per il venir meno delle bombe che arrivavano dal cielo e non
sapevi quando e dove toccava andare a contare i morti, quando e dove andare ad ammucchiare
le macerie.
La Liberazione è anche una storia cominciata allora e che continua, senza fermate.
Il Comune interprete dei desideri dei cittadini. Liberare
un paese dalla dittatura e dalla guerra significa realizzare istituzioni che corrispondano
meglio alle esigenze delle persone, costruire un sistema economico civile capace di
rispondere alla parte più debole a cui dare la speranza e le condizioni per partecipare
alle decisioni e al benessere, vuol dire rafforzare le autonomie: quelle delle istituzioni
ma anche quella delle parti sociali, partendo proprio dai Comuni che oggi sono fra gli
strumenti più avanzati per la difesa di quella grande battaglia popolare che fu la guerra
di Liberazione.
I Comuni, i cui poteri sono stati alimentati dai principi costituzionali nati con la
resistenza e con il rifiuto del fascismo, hanno questo compito: di garantire libertà
democratica, pluralismo, autonomia, di interpretare il desiderio della gente.
Lappuntamento di questa mattina qui ad Urbana ne è un esempio. In questo monumento
che il sindaco Roberto Soliman ha voluto assieme alla amministrazione comunale cè
anche la risposta a questo ruolo dei Comuni: fare memoria del passato, cioè tenere unita
una comunità nei suoi valori, per consolidare insieme il presente e per cercare insieme
il futuro. A questo presente e al futuro non poteva essere data in questo 25 aprile 1999
un nome più adatto: pace.
Una nuova meta per lEuropa. Certo non potevate
immaginare, non potevamo immaginare, quando si è fatto questo progetto, quando si è
scelta questa data, che il 25 aprile 1999 sarebbe stato un giorno di guerra e non di pace;
non potevamo immaginare che il pensiero non sarebbe andato solo ai ricordi ma soprattutto
alle immagini che, come ho detto, richiamano il nostro passato ma sono tragicamente
quotidiane.
Non potevamo immaginare che sarebbe venuta così rapidamente e così drammaticamente a
scadenza una cambiale che lEuropa aveva firmata assieme alla propria pace, che era
stata rinnovata dieci anni fa quando il crollo dei regimi totalitari dellEst europeo
e lapertura di altri popoli alla democrazia politica ed economica hanno dato inizio
ad una nuova storia, quasi una seconda pace.
La cambiale che è giunta a scadenza è quella della capacità dellEuropa di avere
un proprio sistema di sicurezza, una propria politica estera, una condivisa e convincente
capacità di costruire totalmente la propria storia.
Sapevamo che lEuropa doveva impegnarsi. Fatta la moneta unica, create le condizioni
per lallargamento, è il tempo dellEuropa politica. Forse non pensavamo che ci
toccasse subito, a rendere ancora più decisivo un anno importante per lEuropa quale
è questo, con lintroduzione delleuro (il 4 gennaio), lentrata in vigore
del nuovo Trattato dellUnione (il Trattato di Amsterdam, dal 1° maggio), con il
rinnovo del parlamento europeo (il 13 giugno). In queste settimane abbiamo capito che di
fronte a noi cè un nuovo progetto importante, decisivo. Una nuova sfida da proporci
e da proporre, proprio partendo dalla conclusione della guerra che oggi celebriamo per
ricavarne elementi non solo di giudizio, ma anche di costruzione.
Un desiderio di pace sta davanti a noi. E un desiderio grande: grande come
lEuropa. Allora, nel 1945, aveva i confini della nostra terra, dei nostri paesi.
Oggi sappiamo che la pace non è divisibile, che nessun luogo è protetto se cè una
guerra.
Dal lontano 1945 ricaviamo però quello spirito di solidarietà che è stato alla base
della vittoria contro il nazismo, quella speranza che è stata allorigine della
sconfitta del fascismo. Sono anche oggi le condizioni per vincere la sfida della pace.
Rendere onore ai caduti, ricordare le sofferenze, ribadire gli impegni non è tanto
"fare storia"; è vivere la nostra vita, la vita dellItalia, la vita
dellEuropa. Italia ed Europa in pace.
Tino Bedin
25 aprile 1999
25/4/1999 webmaster@euganeo.it |
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il
collegio senatoriale di Tino Bedin |